Seppur magra, la Milano Fashion Week Men’s si è conclusa dopo aver aperto venerdì 12 gennaio il fashion month internazionale, quel periodo in cui ci sono le sfilate più importanti nelle quattro capitali della moda. Alcune collezioni autunno inverno 2024-25 hanno stupito, altre meno, e il sistema ha già voltato pagina volando a Parigi per un’altra sessione di fashion show. È, però, importante mettere ordine tra le idee per comprendere lo stato di salute della moda maschile italiana.
Milano Fashion Week. Il tipico abbigliamento formale
Incasellare i marchi in definizioni monolitiche è sbagliato e impossibile, essendo ciascuno il risultato di processi creativi differenti, ma si possono comunque decifrare delle categorie che ritornano. La prima? Sicuramente il formale, che risiede da Gucci nell’esemplificazione dei completi e nella sensualità velata, al limite tra anni Novanta e Duemila. Dolce&Gabbana, invece, dedica platealmente la propria collezione a ciò che è Sleek, come suggerisce il titolo della sfilata, quindi liscio ed elegante: bluse perlate e pelliccia eco da zar russo, blazer che si chiudono con fiocchi e stivali da cavallerizzo sono alcuni degli elementi che attingono a un archivio rispolverato, attualizzato con pochi accorgimenti. L’altrettanto formale Prada rappresenta gli abiti borghesi, ma non rinuncia al divertimento degli accessori e dei colori, che rendono tutto meno prevedibile e preparano il terreno per una rivoluzione estetica già in atto. Giorgio Armani decostruisce costantemente il formale, ammorbidendo le linee e illuminando sia gilet che giacche.
Milano Fashion Week. L’abbigliamento formale rivisitato
C’è chi, poi, il formale lo camuffa in maniera molto abile, mantenendone i codici. Fendi si è fatto convincere dal fascino della campagna, senza lasciare in città il senso dello stile. Via libera, quindi, a stratificazioni fatte di canotte su polo e calzettoni su leggings ma sotto stivali e cappotti in lana, a giacconi in pelle rossa intarsiati su colli e tasche, e borse di qualsiasi forma, soprattutto large. È un uomo che pensa a una vita alternativa rispetto alla frenesia dei grandi centri, e per questo più attuale che mai. Attuale come Zegna, che metta in scena un’eleganza spontanea, nascosta nei materiali come il cashmere, nei colori come il bianco e nella linearità di giacche che sembrano cardigan o cardigan che sembrano giacche. Emporio Armani, invece, rispolvera i propri ricordi degli Anni ‘80, contestualizzandoli in un porto chic dove la tenuta può essere una giacca con ricami floreali, bluse impreziosite da borchie acuminate e completi morbidissimi dagli scolli profondi. MSGM continua a rivolgersi a un giovane uomo che non vuole rinunciare alla propria adolescenza, e alle ballerine indossate con i calzettoni, agli short argentati, alle polo rosa in paillettes con il collo in pelo. Il tempo però vola, quel momento in cui ci si diverte prima o poi finisce, e lo stilista Massimo Giorgetti lo sa: per questo ambienta la sfilata nella dinamica fermata delle metropolitana di Porta Venezia, celebrando al contempo l’architetto e progettista Franco Albini, che ha ideato la segnaletica, e l’allestimento della linea M1 di Milano.
Milano Fashion Week. Le alternative all’eleganza classica
Ma ancora, c’è una categoria in cui le regole valgono poco e le definizioni ancora meno. A partire da JW Anderson, che fa sfilare uomini in collant neri sensuali, camicioni simili a vestiti strutturati sul petto, opere dell’artista Christiane Kubrick raffigurate su abiti lunghi in maglia e altri la cui chiara ispirazione è il film Eyes Wide Shut. Federico Cina oggettivizza i “colori del nulla”, creando qualcosa di impensabile: abiti quotidiani ma godibili tra giochi di scudi fatti di cycling short sotto pantaloncini, camicie sopra maglioni a collo alto e sotto cardigan. L’importante però è l’evoluzione dello stilista, che affina il proprio metodo verso il raggiungimento della perfezione. Quella che a Simon Cracker non interessa, perché l’imprecisione del flusso di coscienza joyciano sancisce l’avvicinamento al sonno e alla scelta della vestaglia anziché del completo, delle ciabatte al posto dei mocassini. Intanto il punk è diventato gentile, quasi accondiscendente: “Siamo dei ribelli ma oggi l’unica vera forma di ribellione è la gentilezza”, dice lo stilista Filippo Biraghi. Pure Jordanluca sdrammatizza il punk, enfatizzando le emozioni come elementi non negoziabili dell’esperienza umana: dalla spalla del bomber Bulldog che esprime la determinazione di quando si è sotto pressione e la rabbia verso il mondo, alla camicia Clover con doppio colletto che ribalta la formalità: un simbolo disfunzionale.
Il futuro della moda maschile in Italia
Giunti a questo punto, cosa si può dedurre? Che finalmente a Milano la moda ritorna a essere meno unidirezionale, e che è meglio aver difficoltà a individuare cosa sarà di tendenza tra un anno, anziché capire troppo e non scoprire nulla. C’è però bisogno di nuovi nomi che arricchiscano l’offerta creativa, arenata numericamente a qualche stagione fa. Questo è un aspetto fondamentale per lo sviluppo della Milano Fashion Week e il mantenimento della rilevanza guadagnata con fatica, apparentemente sostituita dalla pigrizia nel cercare voci alternative.
Giulio Solfrizzi
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