Lo stilista Dries Van Noten si ritira dalla moda. Breve storia dei “sei di Anversa” che fecero la rivoluzione
Il Belgio è stato centrale per la moda sperimentale e da decenni consegna talenti al fashion system. Tutta la vicenda, dagli innovatori storici ai designer più in voga del momento
Lo stilista belga Dries Van Noten ha annunciato il ritiro ufficiale dal mondo della moda, lasciando la direzione creativa del proprio marchio omonimo dopo circa 40 anni di carriera. Basti pensare che la sua prima collezione uomo fu lanciata nel 1991, e solo due anni dopo arrivò quella donna, che mantenne l’approccio poetico che contraddistingue il fashion designer. Ad alcuni potrebbe suonare poco familiare come nome, ma è stato tra i personaggi principali della scena modaiola di Antwerp (ovvero Anversa), che tra gli Anni Ottanta e Novanta si è consolidata alla pari di Londra, Milano, Parigi e New York, le cosiddette capitali della moda.
Come gli Antwerp Six hanno cambiato la moda globale
Nel 1986, un gruppo di stilisti laureati alla Royal Academy of Fine Arts di Antwerp decisero di portare le proprie collezioni a Londra e di mostrarle al mondo. Erano in sei, i loro nomi belgi risultavano complicati da pronunciare per gli addetti ai lavori e ognuno di loro proponeva uno stile unico e personale che meritava un’attenzione dedicata. L’innovazione e la sperimentazione applicate al fashion design erano, però, tratti che accomunavano Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkembergs, Ann Demeulemeester, Dries Van Noten, Marina Yee e Dirk Van Saene, oltre alla loro provenienza che li ha consegnati ai libri di storia della moda come The Antwerp Six (I Sei di Anversa). La loro è stata una rivoluzione estetica che ha cambiato il modo di concepire la moda e il mercato stesso: le collezioni presentate in passerella presero per la prima volta le distanze dalla tradizione e dalla classica fetta di mercato di grandi spenditori a cui si era sempre mirato, puntando per la prima volta i riflettori sui giovani con minori possibilità economiche, ma capaci di far leva sul potere d’acquisto dei genitori. Questa svolta dal punto di vista strategico ha implicato una evoluzione concettuale che ha ridato ai giovani un ruolo nella società come solo Vivienne Westwood e Malcolm McLaren erano stati capaci di fare negli Anni 70. A differenza del punk, però, il movimento generato dai sei fashion designer belgi ha ridiscusso le regole in modo sottile e sotteso, nutrito dalla profondità della ricerca artistica e dal valore dello studio sulle forme, spostando dai margini i movimenti giovanili e le sottoculture e rendoli nuovi player nella struttura economica mondiale.
Non solo sei: altri pionieri dal Belgio
Al loro fianco, altri stilisti belgi estremamente influenti hanno portato il concetto di vestire verso nuove direzioni, nomi inconfondibili che hanno guidato le fila del settore negli ultimi cinque decenni, plasmando il gusto estetico tra essenzialismo e sperimentazione. Raf Simons, originariamente fashion designer di interni rivoltosi al fashion proprio ad Antwerp, nel 2022 ha annunciato la chiusura del suo omonimo brand menswear, ma prosegue ancora oggi il suo viaggio di investigazione nel design minimale come direttore creativo di Prada, a quattro mani con Miuccia Prada. Martin Margiela, altro talento emerso dalla Royal Academy of Fine Arts contemporaneo dei famosi sei, fu maestro della decostruzione sartoriale con orli tagliati a vivo e cuciture in vista, iniziatore dell’upcycling e pioniere dell’anonimato del fashion designer con gli iconici quattro punti sui capi a denotare l’assenza dell’etichetta.
L’eredità belga nella moda moderna
Nuove generazioni di stilisti belgi hanno raccolto la preziosa (e a volte pesante) eredità dei loro iconici predecessori, continuando a illuminare il panorama moda con visioni innovative. Ludovic de Saint Sernin ha elevato il filone della moda genderfluid con la sensualità sottile e poetica che è oggi il suo marchio di fabbrica; Marine Serre porta avanti con fierezza un brand all’avanguardia capace di collocarsi nel settore del lusso restando fuori dalle logiche di corporate, dimostrando il valore dell’indipendenza nel processo creativo; Haider Ackermann sviluppa collezioni in grado di mixare con intelligenza riferimenti streetwear nella sua haute couture, come ha dimostrato nella collezione di Jean Paul Gaultier SS23 presentata alla Paris Haute Couture Week; Botter, brand presente a Parigi, fa della sperimentazione sovversiva il suo credo con un occhio importante alla sostenibilità; Glenn Martens, incaricato di rinfrescare il concept del denim firmato Diesel, sta facendo sognare gli amanti dello stile alternativo con le nuove collezioni e con il suo Y/Project. Infine, impossibile non citare Demna Gvasalia, stilista di origini georgiane e direttore creativo di Balenciaga che porta lo stile della storica maison francese ogni stagione un passo più in là nella ridiscussione dei canoni e nella definizione di nuovi limiti.
Elena Canesso
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