Ci sono talenti più ricordati di altri. Non si sa il perché, oppure sì e non si fa nulla per cambiare questa dinamica di oscurantismo. È accaduto e accade tutt’oggi nella moda: lo stilista Walter Albini lo conferma. Era necessario il 40esimo anniversario dalla sua morte affinché si dedicasse una grande mostra ad un talento pioniere del prêt-à-porter e promotore sia del Made in Italy sia della Milano Fashion Week, a cui ha partecipato insieme a pochi altri nel 1971, prima ancora che fosse tale, stravolgendo l’usanza di sfilare a Firenze e consacrando il capoluogo lombardo come nuova capitale della moda italiana.
Aperta il 23 marzo al Museo del Tessuto di Prato la mostra Walter Albini. Il talento, lo stilista, visitabile fino al 22 settembre 2024 e curata da Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini, ricostruisce la dimensione privata dello stilista così come la carriera dello stesso, stroncata nel 1983 a causa di una morte prematura. Che ha sottratto alla moda un talento capace di ribaltarla più volte ma di cui non si è persa realmente traccia grazie all’archivio presso il CSAC dell’Università degli Studi di Parma, e all’Università Bocconi di Milano che conserva l’archivio storico della Camera Nazionale della Moda Italiana o una sola.
Vita e carriera di Walter Albini
Ma chi è Walter Albini? Stilista nato il 9 marzo 1941 a Busto Arsizio (Varese), mostrò fin da bambino una propensione per il disegno di abiti. Nel 1956 riuscì ad iscriversi all’Istituto statale d’arte per il disegno di moda e del costume di Torino: era l’unico ragazzo in una scuola femminile. Nel 1960 iniziò a collaborare con Silvana Bernasconi come disegnatore e illustratore per i giornali Mamme e Bimbi, Vanità e il Corriere Lombardo. Poi è stato un susseguirsi di collaborazioni come stilista freelance per boutique e ditte di confezioni: da Billy Ballo a Montedoro, Paola Signorini e Annaspina, tra cui anche la Rinascente. Solo in qualche caso il suo ruolo veniva comunicato sull’etichetta dei capi. Il 27 aprile 1971, con la società di distribuzione FTM, Albini si presentò a Milano con una collezione disegnata da lui, ma prodotta da cinque diverse aziende. Nel 1978 iniziò una nuova fase della carriera dello stilista: la fine del contratto con Mario Ferrari, un distributore di abbigliamento diventato pure produttore, gli consentì di presentarsi di nuovo sulle passerelle milanesi con il marchio Walter Albini. Continuarono i tira e molla con varie aziende fino al momento in cui, nel 1980, lo stilista si dedicò alla maglieria e poi morì.
La mostra su Walter Albini al Museo del Tessuto di Prato
“Questo designer e stilista di prêt-à-porter parla della moda con umana gentilezza“, si legge su un numero di Vogue Italia del 1967, in una rubrica dedicata agli stilisti emergenti. “Preferisce il prêt-à-porter perché va incontro alla vita, perché è per tutte le donne e le aiuta a non rinunciare“: le creazioni di Albini sono esattamente questo; ed esattamente questo si percepisce dal grande numero, più di 1700, di abiti, accessori e disegni attraverso cui è possibile ricreare una linea del tempo che definisce la figura quasi mitologica di Albini.
Così Walter Albini. Il talento, lo stilista si articola su due piani: il primo tratta del tema della formazione scolastica e delle esperienze del giovane fashion designer, tra aziende per cui faceva il disegnatore di moda e altre per cui creava intere collezioni; il secondo invece è diviso a sua volta in due sezioni, una dedicata all’avvio di una prima linea a marchio WA e di una seconda linea a marchio Misterfox (1973-1975), e una che racconta i diversi periodi in cui Albini, dopo le precedenti esperienze, torna a collaborare con marchi e con produttori per i quali progetta e sviluppa collezioni in cui è evidente un passaggio di stile e di logica progettuale.
Le collezioni più significative di Walter Albini
Tra gli oggetti esposti, compaiono anche fotografie personali dello stilista utili nell’associare il talento ad un volto e, soprattutto, ad un essere umano. Ma la bellezza sta in quelle collezioni che vanno in contro al mercato e alla finanza, e che al tempo stesso li sfidano in un preciso momento storico in cui per strada c’erano le rivolte dei ragazzi e negli atelier c’erano quelle di stilisti che rifiutavano, a piccoli passi, l’elitaria alta moda, a cui accedeva una ristretta parte delle signore bene dimostrandone l’antidemocraticità. Che, invece, non è presente nella collezione Cameo Trench dell’autunno inverno 1971, testimonianza di una modernissima moda unisex fatta di abbigliamento femminile che influenza quello maschile e viceversa, e nella collezione autunno inverno 1973 di Albini per Misterfox, dai chiari rimani all’abbigliamento anni 30 e a Coco Chanel, innegabile musa dello stilista come innegabile è la sua passione per la trama ricondotta ad Arlecchino. E come è imprescindibile il tema del viaggio nella storia dello stilista, che ha portato l’India nella collezione primavera estate 1997 e altri posti esotici in altre collezioni incomprese da molti.
Perché, si legge nel meraviglioso catalogo della mostra, in quel periodo “le domande cui gli stilisti venivano chiamati a rispondere imponevano loro di allargare il campo di osservazione, a livello temporale e geografico, e cogliere tutti i segni utili, da dovunque potessero provenire. Si trattava infine di trovare la ricetta per assemblarli in un insieme eclettico, ma ‘accettabile a tutti’. In questo percorso, ad Albini furono di aiuto i viaggi, gli acquisti di stoffe e indumenti etnici, ma certamente anche la storia del costume studiata e disegnata a scuola e poi mille altre fonti, oggi difficilmente identificabili”.
Giulio Solfrizzi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati