Utility wear: quando gli indumenti da lavoro diventano alla moda
L’utility wear è la tendenza che parla di vita quotidiana, ma anche di sottoculture e storia. Tutto quello che c’è da sapere sulle evoluzioni delle uniformi da lavoro in prodotti modaioli. Dai jeans alla giacca bomber, alla jumpsuit
Il costante bisogno della moda di proporre nuove tendenze e la necessità di colpire ampi bacini di acquirenti l’ha spinta a trarre ispirazione dai più svariati contesti che strutturano la società. Ma l’abbigliamento agisce anche da manifesto estetico, a tratti socio-politico, spingendo i vari direttori creativi a cercare di inviare un messaggio attraverso le proprie collezioni. Così, osservando il proletariato e i vestiti da lavoro, i marchi si sono fatti funzionali più che formali e l’utility wear è stato tradotto sulle passerelle.
Le origini del trend utility wear
L’esempio più presente negli armadi di ognuno di noi sono senza dubbio i jeans. Questo capo realizzato in cotone spesso e resistente, il denim, è nato dall’esigenza di produrre un indumento da lavoro allo stesso tempo comodo, durevole ed economico, che solo dopo la Seconda Guerra Mondiale ha dimostrato il suo potenziale in un’ottica stilistica, trovando diffusione come abbigliamento quotidiano indosso alle truppe americane in Europa. Solo più recentemente il workwear è stato traslato dall’alta moda, che ha “rubato” le tenute d’ordinanza alle più svariate professioni. Alcuni esempi? I cargo pants, nati nel 1938 come divisa delle forze militari britanniche e definiti dalla presenza di tasche di tutte le misure ai lati della gamba, sono stati tradotti in più versioni: shorts, gonne e minigonne, o altre sottocategorie come i parachute pants (pantaloni paracadute) realizzati in nylon ripstop impermeabile, simile al materiale usato per produrre proprio i paracaduti. Sempre parlando di abbigliamento pensato per l’esercito, la giacca bomber è nata nel 1917 per garantire isolamento e protezione ai piloti delle armate americane. Altra divisa trasformata in oggetto del desiderio dei fashionisti è la jumpsuit: tuta intera creata nel 1919 per facilitare il salto dei paracadutisti dagli aerei bellici, dotata di bottoni automatici rapidi da aprire e chiudere. La tuta è stata poi trasformata nella classica versione in cotone blu scuro e adottata anche da meccanici e idraulici, seppur introdotta nel secondo dopoguerra per i lavoratori delle fabbriche. Ancora, gli indumenti da caccia e pesca sono ampiamente diffusi grazie allo streetwear (e non solo): si pensi al gilet multitasche, con compartimenti per ami, attrezzi o proiettili da tenere a portata di mano, oppure al cappello da pescatore, modello comune nell’abbigliamento quotidiano, ormai da decenni a pari passo con il baseball cap e il suo frontino.
Quando gli indumenti da lavoro diventano alla moda
Dagli iconici produttori di indumenti da lavoro che hanno virato negli ultimi anni verso un target più glamour, alle più insospettabili collaborazioni tra maison e realtà lontane da questo settore, il fashion dialoga sempre più spesso con il non-fashion. Nel 1889 Hamilton Carhartt avvia con quattro dipendenti e poche macchine da cucire un’attività manifatturiera di tute da lavoro e jeans. L’espansione di The Carhartt Company continua per oltre un secolo fino a raggiungere la fama di oggi, con i suoi capi da lavoro portati in auge negli Anni ‘90 da rapper e artisti di strada, resi parte di un linguaggio sottoculturale che racconta le periferie e il proletariato. Storia simile per Dickies, firma fondata in Texas nel 1922 e specializzata nella produzione di salopette in denim pensate per il lavoro agricolo nelle fattorie e nei ranch. Mantenendo il suo core-business negli abiti da lavoro, il brand porta avanti un percorso parallelo più incline a seguire e lanciare tendenze utility, proponendo capi tra i più desiderati e abbinati dai modaioli. Altro racconto interessante, quello di Eastpak, l’immancabile zaino alle spalle di teenagers (e non) da almeno tre decenni. L’origine del brand risale al 1952, quando si stabilisce come Eastern Canvas Products nella produzione di zaini funzionali e accessori ultra resistenti per l’esercito degli U.S.A., diventando in seguito un brand di culto e all’avanguardia.
Le ispirazioni trasversali della moda
Riprendendo proprio da Eastpak, il brand è un esempio rappresentativo del dialogo tra moda e realtà dalle diverse radici. Con collaborazioni in attivo con Vivienne Westwood e A-COLD-WALL*, e tra le passate Undercover e la linea DRKSHDW di Rick Owens, il brand si afferma sempre più solidamente come un esponente del workwear. Anche Carhartt WIP può vantare numerosi contatti con l’alta moda, tra i più influenti quelle con Marni e Sacai. Più vicino a noi, il brand Fantabody ha accettato, durante la Milano Fashion Week di settembre 2023, la sfida sostenibile di DHL Express, azienda leader del settore logistico che ha commissionato la produzione di 3 outfit creati utilizzando le inconfondibili divise gialle e rosse e scarti di tessuti tecnici. Durante la Paris Fashion Week autunnale, Botter Paris ha attinto dall’estetica industriale per uno scopo diverso. Il fashion designer, da sempre impegnato sul fronte ambientale, include nella sua autunno inverno 2024 una denuncia, sollevando il tema della conservazione degli oceani: la collezione si chiama “Dark Water” e propone una rivisitazione ironica di una famosissima conchiglia gialla, logo di un gigante dell’industria petrolifera che si trasforma da “Shell” a “Hell”. Invece, lo sforzo creativo di Rushemy Botter dimostra ancora una volta che la moda può agire sul fronte sociale con molta più efficacia di altri settori, veicolando sensibilizzazione su temi di attualità. Tutte queste interpretazioni, insieme al gusto del pubblico, hanno reso l’utility wear non solo un trend, ma proprio uno stile di vita e una presa di posizione.
Elena Canesso
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