La storia del gioiello si dice che sia iniziata circa 7 mila anni fa con i primi esemplari in rame. Riassumerne le trasformazioni in un articolo sarebbe impossibile, essendosi evoluto di pari passo all’uomo e alle estetiche da questo sviluppate. Persino l’arte ne ha compreso il potenziale, che spazia dalla semplice manifestazione di status alla comunicazione di sé stessi. Così come ha fatto Maria Sole Ferragamo, laureata in architettura e fondatrice di SO-LE STUDIO, un brand di gioielli scultorei e illusori nato nel 2019 e già dotato di una boutique dagli interni soffici a Milano, in Via Sant’Andrea 10, che replica il peso leggero delle proprie creazioni. Grazie all’unicità del suo progetto, Ferragamo è tra le nostre Donne Manifesto, l’articolo presente sul secondo numero del Focus Moda di Artribune: si tratta di cinque incontri con cinque donne che, secondo la nostra prospettiva, rappresentano personalità eminenti nei settori della cultura, della moda e dello spettacolo, incarnando un ruolo di impegno sociale. Qui Maria Sole si è raccontata attraverso gioielli, arte e sogni diventati realtà.
Intervista a Maria Sole Ferragamo
Nel 2019 nasce SO-LE STUDIO, il tuo brand di gioielli. Cosa rappresenta?
È frutto di un’urgenza creativa e dell’incontro personale tra la passione per il gioiello, l’heritage familiare, quindi l’alto artigianato e il mondo della pelletteria, e gli studi in architettura. Il mio è un gioiello con caratteristiche specifiche non dettate da analisi di mercato. Mi sento molto responsabile nel creare qualcosa che sia un’alternativa in un mondo saturo, ma non creo niente perché devo.
Qual è per te il valore del gioiello?
Il gioiello consente di comunicare qualcosa a sé stessi e poi agli altri. Diventa personale, finisci per instaurarci un rapporto. Quando mi chiedono cosa acquistare, rispondo che devono affidarsi al cuore.
Alla base dei tuoi gioielli c’è il riuso di materiali.
Anche qui è stata una risposta istintiva alla scoperta di tanta pelle distrutta o non utilizzata dopo essere stata lavorata. E dato che il consumo di superficie di pellame è inferiore per creare un gioiello, i leftover sono più che sufficienti. Il bello è la possibilità di creare oggetti confortevoli e dal volume importante, ma con un peso impercettibile.
La parola spontaneità è adatta per descrivere SO-LE STUDIO?
Sì, spontaneo e autentico. Alla fine chi è uno è anche l’altro, no?
Passiamo alla boutique in Via Sant’Andrea 10, Milano. Il contenitore è stato creato sugli stessi principi del contenuto?
La boutique è stata disegnata dagli architetti Francesca Gagliardi e Federico Rossi di Studio Fondamenta. Tutto inizia con un’amicizia fondata sul dialogo riguardo le proprie pratiche creative. Sapevo che ci sarebbe stato un allineamento totale.
Poi come si è evoluta la collaborazione?
Il brief era avere un gioiello sviluppato sulla scala di un negozio. Loro hanno seguito i principi dei miei gioielli, detti microrganismi, per creare l’organismo negozio. Sono partiti dalla deformazione della scatola per formare le pareti. Poi abbiamo insistito sul concetto d’illusione: la boutique riprende i colori del pavimento della piazza di Portrait Milano, su cui si affaccia, e gli interni sono morbidi poiché in tessuto.
Il motivo?
Creare una totale armonia sulla scia dell’esperienza che ho vissuto al Chichu Museum di Tadao Ando. Ero scettica prima di entrare in una stanza per vedere un Monet in Giappone, ma una volta entrata mi sono resa conto che il museo e il quadro avevano preso vita insieme. Il luogo è stato creato intorno all’opera. Qualcosa di mistico, commovente. Allora ho voluto che chiunque entrasse nel negozio di SO-LE STUDIO si sentisse abbracciato e accolto.
C’è un’analogia tra l’architetto e il designer di gioielli?
Sì, ogni gioiello per me è un progetto come lo è un edificio. Il metodo è lo stesso perché si mettono insieme azioni consequenziali. Seguo alcuni principi tipici di correnti architettoniche: la parte strutturale esiste solo se ha una funzione, la forma è diretta conseguenza dell’azione. Ogni volta ambisco a trovare un’armonia tra gli elementi e non mi fermo fino a quando non sento di averla raggiunta.
Giulio Solfrizzi
Lo sguardo scelto per raccontare LE DONNE MANIFESTO è di Angelo Guttadauro
Nato tra i colori vibranti della Sicilia nel 1992, Angelo Guttadauro ha coltivato la sua passione per catturare la bellezza del mondo attraverso l’obiettivo. Dopo essersi laureato in Fotografia e aver conseguito una specializzazione in Direzione della Fotografia a Roma, attualmente risiede a Firenze. Con lo pseudonimo di “Guttæ”, ha ottenuto una serie di successi e riconoscimenti. Le sue opere sono state pubblicate su riviste di settore e ha avuto l’onore di esporre presso festival internazionali. Il focus principale della sua ricerca artistica è la comunicazione tra la fotografia e diverse discipline analogiche e digitali, come la scan art, la CGI e il set design.
Curatela visiva Alessia Caliendo
Si ringraziano
per il make up Marika Zaramella
Assistente make up Sofia Caspani
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