La fascinazione dell’artista nei confronti di chi vive ai margini non è materia nuova alle discipline espressive. La si ritrova tanto nei racconti veristi della Sicilia di Verga, quanto nei Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini tra le borgate romane, o nel dialetto triestino del romanzo Ernesto di Saba tra le campagne del Nord. Oggi, però, siamo testimoni di un passo in avanti: gli stessi protagonisti della strada si appropriano degli strumenti comunicativi per raccontarsi in prima persona, accedendo per la prima volta al mondo della cultura. Tra province e periferie, i ragazzi dettano legge tanto nelle classifiche musicali quanto nell’universo delle tendenze, influenzando le passerelle delle maison più famose pur mantenendo il valore egualitario di una “divisa” democratica.
La cultura della strada diventa collettiva
Esiste sicuramente un momento di scissione pre e post-Gomorra che ha cambiato le regole del gioco sulla narrazione delle periferie. L’opera letteraria di Roberto Saviano, seguita dal film di Matteo Garrone e dalla serie tv, ha scattato un’onesta fotografia della criminalità organizzata – non inquinata dal consueto schema romanzesco del bene che trionfa sul male – portando nell’immaginario collettivo globale le vele di Scampia, celebre periferia di Napoli dall’assetto sociale problematico. A braccetto con la musica rap partenopea, il romanzo ha raccontato i quartieri di Napoli attraverso la lingua del popolo. In questo modo la sete di riconoscimento e rivalsa nutre un fermento artistico greve e crudo: le porte del successo democratico si aprono ai ragazzi della strada e il mondo è costretto a riconoscere il loro valore. Così assistiamo a fatti inediti come l’assegnazione del premio Pulitzer a Kendrick Lamar nel 2018 o della Targa Tenco a Marracash nel 2022. Avvenimenti come questi sono soltanto la punta dell’iceberg di una trasformazione sociale collettiva guidata dalla cultura hip-hop, che ha nobilitato il racconto della strada attraverso la voce di chi la vive.
Il dress code della periferia fa tendenza
La moda non poteva essere immune a questa rivoluzione: la rivisitazione delle felpe sportive a blocchi bianchi e neri con zip frontale e logo della Spring 2025 di Balenciaga sono l’ultimo esempio di quanto la moda attinga le sue ispirazioni dall’ambiente sub-urbano. Il “dress code” della periferia si compone essenzialmente di tute in acetato, magliette delle squadre di calcio, piumini lucidi oversize e passamontagna in jersey. Fasce a contrasto con gli omini della Kappa sui lati dei pants della tuta e il piumino smanicato The North Face sotto l’immancabile tracolla del borsello logato Gucci, spesso evidentemente e orgogliosamente falso. Ai piedi le Nike Tn, modello culto a livello internazionale, oggetto del desiderio di molti ragazzini davanti alla vetrina di Foot Locker. Nessun sogno patinato e desiderio luccicante, i brand più ambiti sono le seconde e terze linee dei brand come EA7 di Armani, Versace Jeans di Versace o D&G di Dolce&Gabbana. Si dimostra ancora una volta quanto l’abbigliamento sia un simbolo di appartenenza dal valore comunicativo eccezionale che, come una divisa militare o una bandiera calcistica, abbia il potere di riunire e rappresentare frazioni di società con inspiegabile scioltezza.
Dal rione al successo: nuove icone di stile
Oggi le rap-star occupano le sedie dei front row delle sfilate, camminano sui tappeti rossi in outfit personalizzati a fianco di modelle e influencer, e i loro volti sono i più richiesti per campagne pubblicitarie di lusso. In alcuni casi, la figura del rapper si interseca con il fashion system tanto da permearlo completamente, come per Kanye West con il suo brand Yeezy o Pharrell Williams, scelto da Louis Vuitton come direttore creativo della linea maschile. In altri casi, le scelte estetiche e professionali sono diverse: molti giovanissimi esponenti del genere non vengono assoggettati alle regole della moda. Musicisti trap e drill, alcune tra le più attuali ramificazioni dell’hip-hop, dettano inconsuete leggi di stile mantenendo semplicemente gli stessi outfit che indossavano prima della fama, spesso gli stessi che si vedono tra i palazzoni.
Lo stile della nuova scena musicale
Si verifica un superamento dell’estetica stereotipata del rapper anni ‘90 che ostenta la sua rivalsa attraverso catene di diamanti e maxi loghi. I PNL, Peace N’ Lovés, (in francese, letteralmente “Pace e soldi”), duo parigino di origini corso-algerine, costruiscono il proprio immaginario anche attraverso gli abiti, come fanno Jul, rapper delle periferie di Marsiglia, o Central Cee, londinese di origine Guyana, Ufo361, berlinese di origini turche, e RAF Camora, austriaco di origini italo-svizzere.
I rapper e trapper italiani
Diversi esempi italiani incarnano perfettamente quest’estetica, proseguendo visivamente lo sviluppo di una propria narrativa oltre a musica e testi: primo tra tutti Baby Gang, rapper di Lecco di origine marocchina, volto dall’incredibile forza politica celebre per le disavventure giudiziarie che hanno portato a galla le incongruenze del sistema. Poi Simba la Rue, cresciuto tra Tunisia, Italia e Francia, Paky, da Secondigliano approdato a Rozzano, e Massimo Pericolo che racconta il suo senso di disagio da Brebbia, in provincia di Varese. Diversi angoli del mondo, stesse regole stilistiche che raccontano una realtà spesso incredibilmente affine, come spiega con estrema efficacia e semplicità Roberto Saviano durante il podcast One More Time: “I PNL girano “Le monde ou rien”, video che non c’entra niente con l’Italia o con Napoli, e scelgono di girarlo a Scampia. Perché Scampia diventa la periferia di tutte le periferie del mondo. Ogni città funziona con le stesse regole, e le regole della periferia sono universali”.
Elena Canesso
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