Da Gian Battista Tiepolo a Schiaparelli: come i cappelli del 1700 hanno influenzato la moda attuale?
Il cappello è un accessorio che l’arte ha più volte ritratto. Anche la moda l’ha interpretato e rivisitato a suo modo: da Schiaparelli a Balenciaga. E la storia del cinema ha accolto più volte i copricapi
Può essere l’arte una fonte inesauribile di ispirazione anche per i cappelli? Stilisti e modisti hanno sempre attinto alle opere d’arte per crearne altrettante. Ne è esempio il ciclo di affreschi che illumina le sale della Foresteria di Villa Valmarana ai Nani sui Colli vicentini, dove Gian Battista Tiepolo, il maggior pittore del Settecento veneziano, ha fedelmente ritratto nobili, contadini e vari personaggi di una Venezia cosmopolita. Una sublime fotografia dei look di allora, quando vestirsi era sinonimo di abbellirsi come oggi.
I cappelli nel Settecento
Considero il Settecento come un’epoca cardine nella storia del cappello in cui i modelli che già arrivavano dal passato vengono rielaborati assestandosi come tipologie fisse e tali da determinare la moda contemporanea: fra i tanti sottolineiamo il cappello di paglia – di feltro nella versione invernale -, la “berretta”, il turbante e il tricorno, copricapo mutuato dal mondo militare. Alcuni sono ancora attuali, come i copricapi dei contadini affrescati da Tiepolo, tra cui ritroviamo le paglie a forma conica sfoggiate da Sophia Loren a Cannes negli anni Sessanta piuttosto che da Audrey Hepburn in Givenchy nel 1957. Linee riprese in collezioni recenti da Miu Miu e, in feltro, da Nina Ricci e Koché; quest’ultima, in perfetta associazione settecentesca per l’aggiunta del sottogola. Ma colpiscono anche i grandi “cappellacci” di Tiepolo: fondamentali per riparare dal sole durante il lavoro nei campi grazie alle larghe tese e a traspirabilità e leggerezza della paglia, sono indispensabili alle classi agiate in qualità di elemento di sfoggio ed eleganza. Anzi, più erano decorati con piume, fiori, nastri e fiocchi, e più erano simboli di ricchezza e nobiltà: in pieno Rococò francese, il terzetto regina Maria Antonietta, modista Rose Bertin e parruchiere Léornard non aveva uguali. Del periodo resterà il meraviglioso copricapo “à la Tarare”, sempre più semplificato fino ai modelli ridimensionati e ben più “puliti” ed attuali introdotti da Charles Frederick Worth a fine Ottocento.
L’evoluzione dei cappelli da donna
Il motto “Less is more” anche in fatto di cappelli femminili alla fine ha soppiantato i seppur raffinati modelli ritratti da Giovanni Boldini, i fioriti cappellini americani “Easter bonnet” e quelli molto più elaborati per lo sfoggio domenicale. La necessità di riparare dal sole induce a prediligere paglie semplici ed ampie, anche da piegare e riporre in borsa: vedi i contadini al lavoro ritratti da Hermann de Limbourg nel quattrocentesco calendario «Très riches haures du Duc de Berry» o, di nuovo, le paglie grezze degli affreschi di Tiepolo e quelle immortalate da Vincent Van Gogh. Molta più tendenza ha fatto, però, Brigitte Bardot negli anni Sessanta o Anya Taylor-Joy al Festival di Cannes, presentandosi con una delle tese estreme, fino a 53 cm, amate dal brand francese Jacquemus.
I cappelli nella moda e nell’arte
Larghi modelli con la cupola appiattita non sono sfuggiti alla ritrattistica di Tiepolo, ma nemmeno a Yves Saint Laurent e a Schiaparelli per mano della creatività di Daniel Roseberry, dove la lavorazione della paglia viene portata alle estreme conseguenze, proprio come in alcune zone dell’Italia ottocentesca dove donne e bambine chiamate “trecciaiole” intrecciavano pazientemente le fibre del grano per cappelli, cesti e oggetti poi venduti o scambiati al mercato del paese. La cosiddetta “industria della miseria” ha permesso il sostentamento di molte famiglie e lo sviluppo nelle Marche e in Toscana di moderni distretti del cappello protagonisti dell’attuale export nel mondo. Nelle scene campestri di Tiepolo scorgiamo anche giovani con la “berretta” in tessuto che tanto rimanda ai “beanie” oggi tranquillamente indossati. Emblematico quello firmato da Balenciaga Haute Couture per Rihanna, in occasione del MET Gala del 2021.
L’influenza turco-orientale nel mondo dei cappelli
Nella storia del costume c’è anche traccia dell’influenza turco-orientale nei turbanti del Settecento, eredità di versioni antecedenti ritratte, ad esempio, da Gentile, Fabriano o dal Parmigianino. Un intreccio di tessuti più o meno preziosi ha nobilitato il turbante rendendolo unisex ed evocativo di un lusso orientale: da Christian Dior a Missoni, Marc Jacobs e la modisteria per eccellenza di Philip Treacy, attuale ma con glamour. E non può mancare il ben noto tricorno che Tiepolo mostra in equilibrio precario anche sul ballatoio di una scala. Dal clero spagnolo del Cinquecento all’impiego militare con i tre lati rialzati così da poter armeggiare i fucili con comodità fino alla commedia dell’arte ed alla nobiltà settecentesca: quella veneziana l’aveva corredato da una maschera bianca detta “bauta” per celare. Insomma, attraverso avvincenti letture di arte, fotografia, cinema, costume, storia, stile e produzione scopriamo come ogni copricapo sia in costante evoluzione e ci regala moltissimi spunti per la moda attuale. Un accessorio totalmente caratterizzante di cui “pochino” si vede, ma ancora “pochissimo” si conosce.
Giorgia Roviaro
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