Il lusso versa in una situazione difficile. Come ho fatto presente in una nota (a quel tempo solitaria) il 2023 è stato un anno poco brillante per la moda questo 2024 è andato anche peggio e per il 2025 nessuno sa con certezza come avviare una ripresa.
Nessuno però è rimasto immobile. Quello che genericamente indichiamo con il termine “moda” è un settore che appare talvolta sciocco, ma merita invece di essere preso sul serio. Si tratta di una realtà vitale come poche altre, che ha dato prova in passato di saper reagire a difficoltà di ogni tipo, specialmente quando le istituzioni se ne tengono alla larga. Un esempio è la collaborazione instaurata tra il Gruppo italiano Tod’s e il designer indiano Rahul Mishra. Si tratta di un capsule in edizione limitata che reinterpreta prodotti Tod’s come la borsa Di o le scarpe Gommino con ricami tipici dello stile di Mishra. All’apparenza niente di straordinariamente nuovo perché di capsule del genere Tod’s ne ha sviluppate diverse in precedenza con designer come Alber Elbaz, Palm Angels, Alessandro Dell’Acqua, Hender Scheme o Mame Kurogouchi. Qui però il designer proviene dal subcontinente indiano ed è stato il primo a sfilare alla Paris Couture Week nel 2020. Solo dopo di lui a Parigi è arrivato Gaurav Gupta e Dhruv Kapoor a Milano.
I brand di moda che guardano all’India
La realtà è che oggi i brand moda guardano all’India come a un mercato di prossima, sperabile, fondamentale importanza. Tod’s, ad esempio, ha quattro negozi tra Mumbai, Delhi e Calcutta ma non è né il primo né il solo gruppo del lusso ad avere fiutato la pista. Dior di Maria Grazia Chiuri ha sfilato la sua collezione pre fall 2023, nella capitale indiana mentre Ralph Lauren contemporaneamente apriva il primo store sempre a Mumbai. L’ attenzione internazionale è cresciuta con l’apertura del Jio World Plaza il più grande store del lusso del paese: qui sono Cartier, St. Laurent, Bottega Veneta, Gucci, Valentino, Balenciaga, Bulgari, Hermés, Ferragamo, Canali e Zegna a fare da capofila; le bollywoodiane nozze dei due miliardari Anant Ambani e Radhika Merchant hanno fatto il resto.
L’India e i marchi del lusso
L’india nell’ultimo decennio ha scalato numerose posizioni: si tratta della quinta economia e del paese più popolato del mondo con un numero crescente di consumatori giovani, benestanti e ottimisti. Per molti economisti è da considerare la “nuova Cina” e i grandi player del lusso in questa direzione hanno cominciato a muoversi da tempo: Valentino ha esordito a Delhi nel 2022, il primo store di Balenciaga ha aperto a Mumbai lo scorso gennaio e sempre qui Galeries Lafayette si sta preparando ad aprire nel 2025. La società di ricerca Euromonitor prevede che il mercato indiano del lusso crescerà di circa il 3,4 percento, passando da una stima di 5,9 miliardi di dollari nel 2022 a 6,1 miliardi di dollari quest’anno. L’India dovrebbe inoltre superare la Cina con il numero più alto di consumatori millennial quest’anno, stando alle proiezioni del Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite.
L’industria della moda italiana e l’India
L’industria del lusso ha comunque messo gli occhi sull’India sin dall’inizio del nuovo millennio: Se Bulgari è arrivato qui nel 2014, il marchio italiano Canali aveva già raggiunto una partnership con RBL nel 2009, stesso distributore per Zegna dal il 2010. Primo fra tutti ancora una volta è stato però Louis Vuitton presente dal 2002: inizialmente i suoi sforzi per espandersi sono stati ostacolati da diversi fattori, tra cui il sottosviluppo delle reti internet necessarie per l’e-commerce. Poi è arrivata la pandemia e l’e-commerce ha preso il volo. Con i centri commerciali per il lusso confinati a sole grandi città come Delhi e Mumbai, la trasformazione digitale ha cambiato le carte in tavola, rendendo i marchi disponibili anche altrove. Negli ultimi anni, colossi aziendali, tra cui Tata Digital e RBL, hanno lanciato piattaforme online dedicate al lusso. L’ e-commerce Tata Cliq Luxury ha in stock marchi come Baume & Mercier, Diesel, Emporio Armani, Gucci, Michael Kors e Chloé. La pandemia ha inoltre dato origine a un nuovo atteggiamento nei confronti dei designer locali. Tra gli sconquassi provocati dal virus c’è stato quello delle difficoltà create agli artigiani tessili rimasti senza lavoro: In risposta Gen Z e i Millennial indiani hanno iniziato a mostrare sostegno ai designer locali e #vocalforlocal è diventato un hashtag di tendenza: la grande distribuzione si è adeguata attenzionando nomi come Manish Malhotra, Ritu Kumar e Abu Jani Sandeep Khosla e Rahul Mishra. E ancora Shantanu & Nikhil, Sabyasachi Mukherjee e Masaba Gupta e Tarun Tahiliani.
Louis Vuitton e l’India
In questo 2024 anche Louis Vuitton ha lanciato una collezione di calzature mirata nella tonalità rani pink, qui molto popolare: anche questo un esempio di come brand provenienti dall’esterno del continente si rendono conto della necessità di costruire precise connessioni con la potente e differente cultura visiva indiana. Al momento è ad esempio è assai improbabile che un matrimonio “tradizionale” possa prevedere un abito proveniente da un brand occidentale. Eppure, quello della sposa è un segmento cospicuo per i cittadini del subcontinente e pure per quelli delle nazioni limitrofe che a quella cultura fanno riferimento. Si spiega così perché pesino a New York (che vede una presenza asiatica crescente) abbia tanto successo una griffe come quella di Sabyasachi che partito da Calcutta si è dimostrato capace di costruire nella grande mela un mix di tendenze tradizionali e globali.
Aldo Premoli
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