Chi è l’artista italiano degli art wall di Gucci in giro per il mondo?
Da Catania a Milano e poi in tutto il mondo. Il genio creativo di Valerio Eliogabalo Torrisi non si limita all’Italia. L’intervista e i sei manifesti dell’artista per il Focus Moda di Artribune, con la dichiarazione del direttore creativo di Gucci
Si chiama Valerio Eliogabalo Torrisi ed è l’autore, originario di Catania, sia degli art wall in diverse città del mondo sia degli inviti alle sfilate di Gucci. “Ho visto il lavoro di Valerio tra vari portfoli di ex studenti dell’Accademia di Brera”, ci racconta il direttore creativo del brand Sabato De Sarno: “Il suo lavoro sulla parola mi ha subito colpito: poesie, versi anche solo immaginati, sui muri ciechi dei palazzi. Abbiamo fatto, insieme, una mostra sui giovani artisti milanesi in occasione della mia prima sfilata di Gucci. Poi la collaborazione è andata avanti e su questi muri ciechi, prima solo immaginati, ci abbiamo scritto per davvero”. Ciò che colpisce è che le opere di Torrisi, caratterizzate da scritte scarlatte e frasi intime, e nate da riflessioni personali, riescono a trasformare sentimenti privati in esperienze collettive. O in opere d’arte totalizzanti come Ogni tanto, lo so, sogni anche tu, e sogni di noi, la scritta in Corso Garibaldi, a Milano, sulla parete che Gucci personalizza ormai da anni. Artribune ha intervistato l’artista, che firma in esclusiva sei manifesti per il terzo Focus Moda del magazine e si racconta tra arte e corpo.
Intervista a Valerio Eliogabalo Torrisi
Le tue frasi sono diventate parte di progetti pubblici che ti hanno proiettato in un contesto mondiale. Come riesci a trasformare i tuoi pensieri in un messaggio universale?
Non c’è un intento preciso o un metodo strutturato. Vivo il presente e, in questo, condivido emozioni e sentimenti comuni ai contemporanei. Le mie parole sono sempre incentrate sulle emozioni. Non parlo esclusivamente d’amore, anche se l’amore è probabilmente l’unica lingua capace di superare barriere culturali e temporali. Sono convinto che gli artisti debbano parlare di ciò che conoscono intimamente. Per questo, ho sempre detto di non aver mai creato arte politica, o almeno così credevo.
È cambiato qualcosa?
Essendo parte del presente, ho capito che tutto ha una valenza politica. Ogni artista ha il compito, consapevolmente o meno, di portare avanti delle battaglie attraverso la propria voce. Il modo più efficace per farlo, a mio avviso, è partire da sé stessi. Così faccio io: inizio dalla mia storia personale, da ciò che vivo e sento.
La collaborazione tra Valerio Eliogabalo Torrisi e Gucci
Parlaci della tua collaborazione con Gucci e con il direttore creativo Sabato De Sarno.
In occasione della prima sfilata del nuovo Gucci a settembre 2024, originariamente organizzata nel quartiere di Brera, Sabato De Sarno ha voluto collaborare con l’Accademia, un’importante istituzione storica, omaggiandola attraverso il contributo di quattro suoi ex studenti, tra cui io. Si è creata una sinergia e un rispetto reciproco. Mi piace pensare che ci si riconosca tra emotività affini. Come artista, la scelta di utilizzare un componimento esistente per gli art wall è stata un segno di grande rispetto per il mio lavoro. Sarebbe stato più semplice chiedermi di realizzare qualcosa su misura, ma sono molto grato a Sabato, al team Gucci e in particolare a Beniamino Marini, che mi ha sempre sostenuto senza mai cercare di snaturarmi, permettendomi di esprimermi al meglio. Come ha detto Sabato, dal sogno siamo arrivati alla realtà.
I manifesti di Valerio Eliogabalo Torrisi per Gucci
I manifesti che hai realizzato per Artribune esplorano il tema del Focus Moda, il corpo. Qual è stato il processo creativo?
Come in tutti i miei lavori testuali, non c’è un vero e proprio processo strutturato. I miei spazi sono pieni di parole: singole parole, frasi iniziate, piccoli pezzi che compongo e ricompongo. Quando annoto frasi sul telefono, spesso le ritrovo piene di errori perché nascono dal nulla e potrebbero svanire in un istante. Due notti fa, ad esempio, stavo per addormentarmi e delle frasi mi si sono formate in mente. Una in particolare mi sembrava bellissima in quel momento, ma il mattino dopo l’avevo dimenticata, lasciandomi un senso di vuoto. A volte le mie frasi nascono da riflessioni o conversazioni che vorrei avere, ma che poi avvengono solo con me stesso. Da quando lavoro più intensamente con le parole, sono in continuo ascolto, anche involontario: per strada, al bar, ovunque. Queste parole si mescolano e si riposizionano in una composizione semplice, ma potente. Sono parole semplici che raccontano storie complesse.
Che significato assume il corpo nei manifesti?
Il corpo fa parte delle nostre storie. Una delle frasi, “Sotto le sue mani mi sentivo piccolo. Ed ero grande”, parla della persona che amo; ricordo di averla creata pensando a noi. È stato come raccontare di noi a qualcun altro. Un’altra frase, “Il tuo corpo grigio, immutato. Parlo di te come un amante”, parla di Milano: la città in cui vivi può diventare come un amore, corrisposto o meno. Con il corpo si parla, si ama, si vive lo spazio. Spesso il corpo diventa l’espressione di un sentimento, e il grigiore del cemento diventa metafora di un corpo freddo e incapace di amare, così come le mani grandi diventano un simbolo di protezione emotiva.
C’è un filo conduttore che lega questi lavori con quelli creati per Gucci?
Tutti fanno parte di un unico grande progetto. Ogni componimento nasce dal primo progetto Devozione nulla, che nel tempo è chiaramente evoluto. Le didascalie riportano sempre “Senza titolo”. Ci sono alcuni casi particolari, come le frasi scritte per il mese del Pride a Teramo, riunite sotto il titolo È stato un fulmine, o i componimenti che sto creando per una futura mostra in Corea. In questi casi, le frasi nascono da storie esterne a me che io poi assimilo: per Teramo mi sono concentrato sulla storia d’amore di Bruno e Orlando, allargando la riflessione al tema della visibilità della comunità LGBTQIA+, mentre per Seoul ho studiato storie di coming out riportate da Chingusai, un’associazione per i diritti della comunità coreana. In qualche modo tutti i miei lavori sono collegati: le parole fanno parte di un unico dialogo interiore che si evolve nel tempo.
I progetti di Valerio Eliogabalo Torrisi
La tua serie Ancora con tutte queste poesie mette in evidenza l’odio presente nei commenti sui social media. In che modo credi che l’arte possa contribuire a una maggiore consapevolezza del cyber bullismo?
L’arte ha il compito di creare dubbi e stimolare il ragionamento. Volevo fare questo: stimolare una riflessione. Per farlo, ho eliminato ogni riferimento all’origine delle parole riportate, mantenendone l’esatta formattazione. Ogni “a capo” è quello originale, creando piccoli versi carichi di odio. Se avessi incluso riferimenti visivi alla loro origine, si sarebbe generata l’indifferenza tipica dei social. Anch’io, che lotto ogni giorno contro la discriminazione, ho per un attimo pensato che fosse tutto normale: l’odio è ormai una forma quasi normalizzata di espressione. Assurdo.
Qual è il tuo ruolo in questo?
Come artista, è quello di trovare uno spazio di manovra per creare ragionamento. In una primissima versione dell’opera, il rullo di carta inchiostrato con commenti omobitransfobici era già lungo 5 metri. Nessuno probabilmente si metterebbe a leggere tutti i commenti di questo tipo; dopo il primo o il secondo, divertito o indignato, passerebbe oltre. Io voglio creare una condizione in cui non si possa fare altro che leggere, finché l’opera non è completamente fruibile.
Alessia Caliendo
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