Aziende oggi ben strutturate, ieri erano piccoli laboratori e, ancor prima, abili mani che lavoravano in casa accudendo al contempo la famiglia. Le donne sono state le esperte protagoniste di questa forte spinta produttiva e di sviluppo. Cotone, paglia, lana, seta hanno preso forma grazie alla creatività di donne e bambine, di nuclei familiari motivati dalla necessità e da un intelligente utilizzo delle poche risorse che avevano a disposizione. Il famoso “cappello di paglia di Firenze” nasce appunto in Toscana: se il commercio della paglia è documentato fin dal XIV secolo, è solo nel Settecento che abbiamo il salto di qualità grazie all’intuizione di un tal Domenico Michelacci a cui è titolato il Museo della Paglia e dell’Intreccio di Signa (FI). Selezionando un tipo di grano sottile e duttile destinato solo all’intreccio, fu in grado di creare cappelli non più grossolani ma raffinati tanto da essere esportati. Le signore eleganti gareggiavano per essere ritratte con copricapi decorati da fiori, nastri e piume in abbinamento con il resto degli abiti. Femminilità alla massima potenza!
La professione della trecciaiola
Essere una “trecciaiola” era diventata una vera e propria professione. Nonne, mamme e figlie sedevano sull’uscio di casa o nei cortili e con infinita pazienza davano vita a lunghe trecce di paglia per cappelli, cesti, fiaschi. Oggetti di uso comune che venivano anche scambiati al mercato con altri prodotti: nella zona del Vicentino, fra Marostica e Crosara, tale attività era chiamata “industria della miseria” perché aveva garantito la sopravvivenza a moltissime famiglie. A proposito, tanto lavoro a domicilio aveva anche contribuito a realizzare una paglietta da uomo di ben tre metri di diametro e di quasi un metro di altezza che le valse il titolo di cappello più grande al mondo. Opera straordinaria della ditta Filippo Beltrame di Marostica ed orgogliosamente presentata alla Fiera Internazionale di Bruxelles nel 1910.
La crisi della produzione di cappelli artigianali
Anche il territorio vicentino risentì dell’avvento della produzione industriale e della paglia asiatica tanto che non resse e le attività locali furono destinate a chiudere. Destino che investì pure la Toscana, dove le donne lavoratrici erano ben più numerose. Paghe ridotte fin quasi dell’80%, lavoro diminuito, spostamenti verso le industrie delle grandi città: una situazione insostenibile… da ribellione. E così fu il 18 maggio 1896, quando Barsene Conti di Brozzi, un paese fra Firenze e Campi Bisenzio, capeggiò trecciaiole e fiascaie in uno dei primi scioperi della storia nazionale. Da Firenze ad Empoli, da Signa a Prato, da Fiesole a Poggio a Caiano per più mesi non mancarono disordini, azioni dimostrative, depositi di cappelli dati alle fiamme, scontri con le forze dell’ordine, inchieste, articoli sui quotidiani e dibattiti in Parlamento. Alla fine, le scioperanti furono condannate alla reclusione, ma fu soprattutto Barsene a scontare la pena maggiore di oltre un anno. Non solo, ma in contemporanea il marito la lasciò. Una volta tornata al paese natio e fortunatamente in famiglia, dovette fare i conti con l’ostilità dei concittadini tanto da essere costretta a trasferirsi a Firenze, dove morì.
Il fenomeno Borsalino al femminile
Nonostante la mancanza di consistenti vantaggi salariali, fu però un’azione importantissima per l’evoluzione della società in generale e per i diritti, la dignità e l’importanza del lavoro femminile; nonostante i giornali dell’epoca si ostinassero a minimizzare liquidando tali movimenti come isolati e trascurabili. Viceversa, le testate estere commentarono con stupore e serietà. I sacrifici di allora non furono vani ed aprirono uno squarcio sostanziale che le future generazioni avrebbero onorato con fierezza non solo a nome delle trecciaiole, ma di tutto il comparto femminile, fondamentale per la crescita della produzione del cappello. E ben lo sapeva anche Giuseppe Borsalino. Grazie a nuovi macchinari, rivoluzionò il settore dei cappelli nel delicato passaggio fra produzione artigianale ed industriale anche nella scelta di diversi tipi di feltro: in pelo di castoro, di talpa, di coniglio etc. Con grande attenzione alla qualità ed alla formazione delle maestranze. “Porterò ovunque bellezza ed eleganza”, era solito ripetere. Ma per farlo si era avvalso di oltre il 70% di addette donne tanto che dal 1860 l’azienda produceva annualmente circa 1360 copricapi al giorno, molti destinati all’estero. L’uomo che “conquistò il mondo con un cappello” ci ha fatto e ci fa apprezzare da Alessandria ad Hollywood avvalendosi del prezioso contributo di lavoratrici specializzate che costituiscono e mantengono ancor oggi distretti aziendali di alta produttività, oggetto di un sempre maggior numero di intenditori ed appassionati attenti allo stile, al particolare, alla qualità.
Giorgia Roviaro
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