Non è una mostra pettegola: parola di Judith Clark, docente universitaria e curatrice della retrospettiva su Elio Fiorucci (1935-2015) aperta a Triennale Milano fino al 16 marzo 2025, che arriva in tempo per celebrare i dieci anni dalla morte dello stilista. È piuttosto una mostra biografica, che ripercorre con oltre cinquecento oggetti, allestiti da Fabio Cherstich, la vita di un creativo partito dalla moda e arrivato nell’arte a tutto tondo, design compreso.
L’allestimento della mostra “Elio Fiorucci” in Triennale Milano
Il viaggio del visitatore comincia da un banco di scuola per finire dove c’è un arcobaleno, con tanto di scritta: “Fiorucci non discrimina l’unicità e l’inusualità”. Come avrebbe mai potuto farlo essendo lui stesso unico e inusuale? Ha rivoluzionato il concetto di negozio rendendolo un posto dove si vendono vestiti e accessori tra musica e opere d’arte. Ha reso sexy il denim e stampato la famosa grafica con gli angioletti su qualsiasi indumento. Ha anche dedicato parte del suo genio creativo all’arredamento, creando piccoli nani colorati, tra gli altri oggetti del desiderio. E non per nulla, oggi mancano la sua concezione giocosa della moda e dell’arte.
Chi è stato Elio Fiorucci per Milano
Nell’attesa che arrivi qualcuno rivoluzionario quanto lui, è necessario tenere viva la sua eredità. Ancora di più se il 20 luglio cade il decimo anniversario dalla morte di Elio Fiorucci, colui che ha reso Milano “uno dei magneti delle idee più avanzate della cultura giovanile internazionale e la culla delle contaminazioni più fertili e audaci non solo tra moda, design, arte visiva e pubblicità, ma anche tra cultura e commercio. Invadendo di colori e forme la Milano cupa degli Anni Settanta e poi esportando la sua cometa cromatica nel mondo”, ricorda l’archistar Stefano Boeri, presidente della Triennale.
Elio Fiorucci e l’America
Infatti, la vita di Elio Fiorucci è un viaggio che parte da San Babila, a Milano, dov’è stato aperto l’atipico store che faceva risuonare musica pop a tutte le ore e che accoglieva molti artisti per dipingere su tele o vestiti. Il percorso è proseguito in America, la patria delle opportunità che ha reso quest’uomo una star. Madonna indossava i suoi vestiti, le Sister Sledge cantavano “Halston, Gucci, Fiorucci” in He’s The Greatest Dancer, Andy Warhol si prestava a progetti fotografici con lui. E tutto questo è confermato da immagini e video che Triennale ha inserito in una mostra che è tanto simile ad un bazar, ma colmo di oggetti di alto, altissimo pregio. D’altronde, chi crea, può essere raccontato attraverso le proprie opere. E questo è il caso di Fiorucci, come uomo e come brand.
Giulio Solfrizzi
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