![Un progetto editoriale indaga il costume contemporaneo nella città di Milano](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/habitat-milano-n0-credits-superfluo4-1-1-1024x768.jpg)
Identità collettiva, progetto di ricerca e di produzione di processi creativi, Superfluo dal 2020 supporta e comunica quei processi che per lo più non appaiono, illuminando con color fluo e attraverso un proprio specifico linguaggio visivo, ciò che si nasconde dietro un’opera o un’operazione, restituendogli dignità.L’ultimo progetto del collettivo in uscita la prossima settimana, Habitat Milano N.0 è un progetto editoriale, in serie limitata, che propone un’analisi del costume all’interno della città metropolitana di Milano. La mappa della città è suddivisa in dodici zone, ognuna delle quali, attraverso un personaggio emblematico, rivela specifiche inclinazioni, direzioni e declinazioni legate al modo di vestire. Habitat Milano N.0 parte dalla consapevolezza che anche l’essere umano, come ogni animale, vive istintivamente la ricerca di un “branco” al quale appartenere. Ritenendo infine che la scelta dell’abito è solamente in minima parte indice dell’espressione personale, quanto piuttosto delle sovrastrutture implicite ed esplicite a cui la persona è soggetta. Ognuno dei 12 personaggi riflette le diverse sfaccettature del costume, moda contemporaneo milanese, che questo sia proposto, imposto o scelto. Abbiamo intervistato Andrea Cancellieri (Segrate, 1988), artista visivo e co-fondatore e ideatore di Superfluo, per approfondire l’analisi che ha condotto l’identità collettiva milanese ad esprimersi sulle questioni dell’abito.
![Autoscatto contemporaneo, Andrea Cancellieri. Courtesy Superfluo](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/autoscatto-contemporaneo-andrea-cancellieri-courtesy-superfluo-jpg.jpeg)
Intervista al co-fondatore e ideatore di Superfluo
Con quale visione nasce il progetto e quali i vostri ambiti di indagine?
Nasce da un’esigenza personale. Ho avuto la possibilità di mettere in atto l’idea e renderla collettiva nel 2020 perché avevo qualcosa di materiale da offrire, la vetrina espositiva adiacente casa mia. Questo mi ha permesso di coinvolgere altre persone. Ho iniziato tutto con Gianluca Gramolazzi, co-fondatore e responsabile comunicazione, al primo evento eravamo soltanto io e lui e con lui collaboriamo sempre, tutto il resto si è creato di conseguenza, sempre in base al progetto, un’entità mutevole.
Spiegaci meglio il progetto…
Superfluo è qualcosa in cui tutti, ognuno a suo modo, si possono riconoscere. La dicotomia può essere interpretata in maniera diversa, c’è chi apprezza l’aspetto estetico, quindi quella parte fluo, all’interno della quale si riconosce soltanto come brand, soltanto perché fa figo. Dall’altra parte, c’è chi si riconosce nella necessità di dare appariscenza, quindi far riemergere quello che invece non appare. Illuminare ciò che è nascosto. Tutto ciò nasconde una critica un po’ sommersa:ciò che appare spesso è superfluo. C’è un aspetto critico e un aspetto positivo, ma come ogni cosa. I confini, ad esempio, sono delle linee, non sono altro. Però se tu li guardi in modo critico sono confini, altrimenti sono soglie, sono punti di incontro tra un luogo e un altro. È un altro sistema economico rispetto a confini. Nella parola confini, oggi, è insita la parola limite; nel limite è insito il concetto di eliminare. Le parole sono neutrali e duplici, ed è il contesto a determinarne l’inclinazione. Se il contesto ne impone una direzione piuttosto che un’altra, perdono la loro natura neutrale/duplice e sono oltremodo strumentalizzabili.
Superfluo vede la partecipazione di soggetti diversi in base al progetto al quale sta lavorando. Chi ha partecipato?
Ad Habitat Milano N.0 hanno partecipato un gruppo di persone che già faceva parte dell’identità collettiva e un altro che si è inserito perché inerente l’ambito che stiamo affrontando. Ad esempio, Marta Gianotti, consulente di moda e trend forecaster, in questa occasione aveva la direzione artistica, anche se avendo noi un unica identità ci confrontiamo tutti costantemente. Il fatto che si chiami Superfluo aiuta le persone a sentirsi integrate e tutelate perché non c’è nessuno che domina sugli altri e permette alle persone di riconoscersi. Chi per una questione di genere, chi lavora dietro le quinte, in questo caso, del sistema moda, oppure tante persone di origine straniera, Rafa Jacinto è un fotografo brasiliano che lavora con noi da tanto, il grafico che ci segue è peruviano, alcuni quindi hanno dei motivi propri e personali per sentirsi Superfluo ed è bello collaborare alla pari.
Quante persone hanno partecipato?
Questa volta quasi siamo 29, tra coloro che hanno attivamente partecipato al progetto, poi abbiamo tutti coloro che ci hanno supportato da un punto di vista logistico e la collaborazione di tre brand Calcetto Eleganza, una “community” che urla al grido di non per sport ma per moda. Abbiamo usato il loro oggetto brandizzato, Tulpess è l’illustratrice che ha disegnato i collant del personaggio Artzy e Sudditalia che ci ha dato i jeans per la maschera dello Zarro.
È una forma di comunità contemporanea la vostra, nel quale condividete valori e visioni?Idealmente sì, essere consapevoli del fatto che ognuno di noi da solo non è nessuno. L’artista senza il pubblico, lo scrittore senza i lettori, tutti sarebbero superflui senza gli altri, in questo modo invece tu ammetti la tua superfluità come singolo per poter essere funzionale a una collettività, ognuno con le proprie capacità, sogni e ambizioni. Credere in se stessi vuol dire credere negli altri, se non credi negli altri devi per forza dominarli e quindi non credi neanche in te stesso in realtà. Se credi in te stesso e negli altri puoi iniziare ad immaginare e andar contro al tuo tempo.
Che valore ha per voi collaborare?
Noi agiamo insieme, ci confrontiamo, attiriamo o cerchiamo persone con punti in comune, poi ognuno dà valore al proprio lavoro all’interno del contesto, partecipando alla comunità senza mai escludere la propria individualità. In sostanza siamo d’accordo sul fatto che ciò permette sia una delegittimazione del sé che al tempo stesso una cura maggiore perché non si è soli. Ti curi meno di te stesso ma ti curi più degli altri.
E alla fine ti curi di te stesso curandoti degli altri?
Sì, esatto. Un po’ come l’amore, non quello che abbiamo idealizzato, ma quello in cui scopri in te stesso un miglioramento grazie ad un’altra persona allora quello è amore, no?
Esiste un’unità permanente e sempre attiva sul progetto? da chi è composta? sono gli stessi fondatori?
Io e Gianluca sicuramente. C’è un continuo confrontarsi ma dipende. Ad esempio avevo contattato il Museo italiano dell’oggetto ritrovato, scoprendone l’esistenza proprio grazie ad un articolo su Artribune e ho appena saputo che viene a trovarci a Milano in occasione della presentazione del progetto e da cosa nasce cosa, così insomma nascono le collaborazioni.
Quando e come nasce l’idea di indagare il costume contemporaneo della vostra città?
È nata 2 estati fa in Sicilia con Marta che è ricercatrice tendenza in campo tessile e a quel tempo iniziava ad interessarsi al collettivo. Quindi abbiamo semplicemente iniziato a ragionare sul costume e sulla moda contemporanea ed è nata questa intuizione, dovuta alla vita che viviamo, alla città che conosciamo. Il passo successivo è stato indagare ed osservare per confermare o meno questa intuizione iniziale grazie al coinvolgimento di altre figure competenti.
Habitat Milano N.0 è il vostro primo progetto editoriale cartaceo?
Si, è un numero zero perché ci prefiggiamo l’idea di portarlo avanti in altre città, potrebbe esserci anche un espatrio del progetto tramite collaborazioni molto più complesse, con maggiori competenze sul territorio che permettano risultati ancora più approfonditi e attendibili. Abbiamo avuto una proposta a Tokyo, ogni città ha le sue maschere.
Immagini un momento nel futuro in cui saremo totalmente liberi in materia di abito?
Potrebbero crearsi delle zone franche in cui si sviluppa una vera libertà. Non credo che potrebbe avvenire all’interno della città ma nelle zone che si verranno a creare tra una città e l’altra, un paese e una città. A causa dei cambiamenti climatici e dei vari disastri che stanno accadendo in tutto il mondo le città verranno ancora più bersagliate e si riempiranno probabilmente gli spazi inter urbani fatti di chi si avvicina alla città e da chi al contrario è stanco di viverla.
È cambiato qualcosa nel tempo?
Oggi c’è molta libertà apparentemente perché tutti possono andare con le mutande in testa e alla fine nessuno più ti dice niente o vestiti da palestra o mezzi nudi se si vuole, apparentemente c’è una grande libertà che però in realtà è soltanto una specializzazione del mercato. Me lo spiegavano da ragazzino, anche noi, ‘gli alternativi’, che pensavamo di farla franca. Anche noi erano considerati all’interno del mercato e così anche gli east market e gli street food sono diventati cari. Ci hanno messo un po’ di tempo per studiarci bene e crearci dei mercati ad hoc. A Milano, ci sono dei poli che sono più forti di altri infatti si riscontra la dimensione sulla mappa di Habitat N.0, lì capisci qual è lo zoccolo duro di Milano: i Radical e le sciure poi gli l’Influencer e gli artisti, ognuno crea le sue tendenze.
Avete raccolto dei dati nel tempo o avevate già chiara la configurazione dei personaggi e le relative ”maschere” in relazione alle zone?
Avevamo già in mente più o meno la configurazione dei personaggi in relazione alle zone ma abbiamo dovuto verificarlo. Le mappe sono state realizzate in collaborazione con degli architetti ed urbanisti che hanno fornito le posizioni esatte dei confini di quest’anno, perché ci hanno spiegato come i confini delle zone vengono aggiornati ogni anno. Le maschere hanno lo scopo di agevolare la lettura della mappa, consapevoli che ognuno di noi ha la sua che usa per nascondere alcune cose e camuffarne altre. Non vogliamo ghettizzare le persone in dei confini o definire delle categorie positive o negative, il nostro è un vedere, un descrivere. Sono dati senza giudizio. Il giudizio è quello finale, di chi l’osserva e emerge che non siamo del tutto liberi e vorremmo solo generare consapevolezza nei confronti delle maschere, sapere che esistono e sapere che le abbiamo tutti e come de-potenzializzarle. Qui trovi la maschera del potere, la maschera dell’influencer, la maschera della bellezza estetica e quella del riscatto sociale, per citarne alcune. Alcuni abiti sono presi dai personaggi stessi e i personaggi sono provenienti realmente da quelle zone in cui li ‘confiniamo’.
![Habitat Milano N.0 Credits superfluo](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/habitat-milano-n0-credits-superfluo4oriz.jpg)
E una ricchezza di riferimenti e citazioni…?
L’anima di Superfluo è proprio quella di essere variegata, ha più voci e interazioni. In questo progetto abbiamo raccolto moltissimi riferimenti grazie soprattutto al lavoro di Gianluca Gramolazzi, Marta Gianotti, Luca Maffeo, storico dell’arte e giornalista di settore, Bibi Ronchi, consulente tessile e me stesso. È venuto spontaneo partire da citazioni e riferimenti altrui che potessero avvalorare quella che era la nostra tesi, una tesi che ha bisogno di riscontro. Per la maschera di Milord, che in questo caso è impersonificato da mio padre, abitante la zona più centrale di Milano, Missori, San Babila, la zona della Scala, abbiamo un estratto di Clarice Lispector, tratto da un suo gruppo di racconti sulla sua esperienza del carnevale da bambina: «[…] E le maschere? Mi facevano paura, ma era una paura vitale e necessaria perché alimentava il mio profondo sospetto che anche il viso umano fosse una specie di maschera».
Margherita Cuccia
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati