Ancora turbolenze nella moda. Da Kim Jones a De Sarno, note a margine di un settore che cambia
Designer e CEO in un turnover continuo. Il settore del lusso che dopo la pandemia ha cambiato completamente i propri parametri di valutazione e il tessile in Italia a rischio. Cosa accade nel mondo della moda?

Sabato De Sarno (Napoli, 1983) non è più il direttore creativo del brand Gucci. Lo ha annunciato il super gruppo del lusso Kering nella prima mattinata dello scorso giovedì 6 febbraio 2025: “vorrei esprimere la mia profonda gratitudine a Sabato per la sua passione e dedizione…”. Inizia così la dichiarazione di circostanza del neo-CEO di Gucci (nominato ad ottobre 2024) Stefano Cantino. Dichiarazione molto simile a quella giunta giovedì 30 gennaio da Delphine Arnault, presidente e CEO di Dior: “sono estremamente grata per il notevole lavoro svolto da Kim Jones…”. De Sarno era alla guida di Gucci da diciotto mesi. Kim Jones era un veterano: alla guida di Dior Uomo dal 2018, poi dal 2020 a settembre 2024 da Fendi, in precedenza da Louis Vuitton Uomo dal 2011 al 2018.
De Sarno e Jones: nuovi scenari nel mondo della moda
Chi li sostituirà? Attraverso social, piattaforme specifiche ma pure media generalisti si sono affacciate ipotesi di ogni genere. Tuttavia, se la sostituzione del designer-star fa ancora notizia la realtà è altra: questa figura appare sempre meno rilevante. Hedi Slimane o JW Anderson (cito non a caso) sono preparati, colti, esperti ma da soli non fanno (più?) la differenza. Continuare a ragionare come se la situazione in cui versa questa generazione di “direttori creativi” sia la stessa degli “stilisti” negli anni Ottanta dello scorso secolo è un errore madornale. Di Armani, Versace o Lagerfeld non ce ne possono più essere, perché niente, da nessuna parte, è più uguale. La celebre diva del cinema muto Francesca Bertini non era né più né meno carismatica di Tilda Swinton o Cate Blanchett, apparteneva solo ad un’altra epoca.
La moda dopo la Pandemia
Dal 2020 in avanti (ancora una volta il maledetto virus ha le sue colpe) per il mondo della moda, come per molti altri settori, sono cambiati più o meno tutti i parametri di valutazione. Quello che nel primo ventennio del XXI Secolo ha determinato l’esplosione dei mercati globali e la conseguente straordinaria crescita finanziaria dei gruppi del lusso non trova replica.
Gucci che è il marchio leader del secondo gruppo del lusso al mondo ha visto le sue prestazioni peggiorare costantemente. Nell’ultimo anno le vendite sono crollate del 25 percento nel terzo trimestre, precedute da un calo del 19 percento nel secondo e un calo del 18 percento nel primo: il segno negativo, del resto, era già iniziato nell’anno precedente. In calo tutti i numeri anche per Dior che dopo Louis Vuitton è il marchio leader del primo gruppo del lusso al mondo. Non si tratta di eccezioni, anzi. Le problematiche che stanno alla base dell’attuale situazione del tessile-abbigliamento sono tutte sul tavolo. La sensazione (trasformatasi in quasi-certezza) è che si tratti di una crisi sistemica assai complessa che intercetta tutti insieme più fattori: la geopolitica, con il crollo dei mercati asiatici e i dazi paventati da Trump; i problemi forse insolubili della sostenibilità delle produzioni tessili; l’atteggiamento degli Z e ora pure degli Alpha: clienti che dovrebbero “naturalmente” essere predisposti agli acquisti moda, ma appaiono sempre meno decifrabili.

La crisi del settore del lusso
Questa l’analisi di quadro. A cui va aggiunto che la produzione di abbigliamento a cui genericamente diamo il nome di moda è un’industria importantissima per il nostro paese.
È una considerazione scontata? Così non pare dai tanti bislacchi commenti apparsi questi giorni in reazione alla defenestrazione di questo o quell’altro “direttore creativo”. Perché è la tenuta della filiera produttiva italiana (oltre 540.000 di posti di lavoro) e non il designer di turno a rappresentare una grande preoccupazione. Lo vogliamo dire? Lo diciamo: l’indignazione per la dipartita del singolo designer è ingiustificabile. Ricchissimi (per De Sarno si ipotizza una fuoriuscita pari a 18 milioni di euro), straviziati, talvolta supervalutati (per ragioni di marketing aziendale), ognuno di loro può andarsi a godere sontuose vacanze dove meglio crede. Non è così per chi lavora nei distretti produttivi di Como, della Riviera del Brenta di Empoli, di Santa Croce, di Fermo, nelle Puglie o di San Giuseppe Vesuviano… Il tessile-abbigliamento (la secondo industria del paese) assiste ora ai balletti CEO v/s designer con apprensione. “Terribilmente dispersivo”: è questo il commento più educato tra gli industriali tessili.
Il mondo della moda, il settore del tessile in Italia e il gusto del pubblico
C’è un altro aspetto emerso di recente indebolisce la figura tradizionalmente carismatica del “creativo”: in quanto tale lo si vuole dotato della capacità rabdomantica di stabilire un contatto unico con il “vibe” (il “gusto” si diceva un tempo) del pubblico. Accade invece che anche in un settore, sino ad ora assai fruttuoso per i gruppi del lusso, come il beauty si assista a un proliferare di micro tendenze “capricciose” e in continuo mutamento, riversate a ritmo continuo dai social. Si tratta di “fenomeni” che surclassano ogni tipo di ricerca pianificata. La “beauty routine” per esempio è un topic imposto da TikTok, frequentato da individui di ogni età (dagli 11 anni in su) e ogni sesso. Il ritmo di questi strumenti di comunicazione brucia tutto, impone ai marchi una velocità di lancio che nessun essere umano può sviluppare attraverso la tradizionale “ricerca” degli uffici stile. Estée Lauder, super gruppo americano del beauty di fascia alta ha annunciato lo scorso lunedì un piano di ristrutturazione che prevede 6-7.000 licenziamenti su 62.000 addetti: già in atto.
Il ricambio dei dirigenti nel settore del lusso
Conclusione? Non c’è nessuna conclusione rassicurante. De Sarno e Kim Jones certo. Ma pure il ricambio dei dirigenti negli ultimi tempi pare diventato frenetico: da Gucci è in corso una ristrutturazione senza precedenti, con la sostituzione di figure chiave in ogni settore. E che dire dell’’avvicendamento annunciato dal brand Salvatore Ferragamo il 3 febbraio scorso? La sostituzione dell’Amministratore delegato Marco Gobbetti (buonauscita 4,45 milioni di euro) che dal suo arrivo nel 2022 ha visto scendere il valore del titolo in borsa di oltre il 50% è solo l’ultimo di una serie che si annuncia sempre più intensa. Certo il nome di un CEO non “risuona” come quello del front liner di un fashion show. Continua così ad essere utilizzata la sua “celebrità” come colorata cortina fumogena dietro cui si prova a risolvere i problemi di approvvigionamento, produzione e distribuzione del tutto simili a quelli che stanno affrontando altri settori come l’automotive o l’agroalimentare.
Blazy da Chanel
Insomma, la confusione resta grande sotto il cielo: la couture di Chanel a gennaio è stata confezionata dall’atelier interno in attesa dell’arrivo di Matthieu Blazy di cui sono soprattutto note le capacità di progettista per la pelletteria di Bottega Veneta (ma nel frattempo il numero di dipendenti è stato ridotto di 200 unità in attesa di valutare possibili ulteriori tagli sulla piazza cinese). A distanza di due settimane dalla presentazione della collezione uomo e donna di Gucci, prevista per il vicinissimo 25 febbraio apprendiamo che “Un nuovo direttore artistico sarà annunciato a tempo debito”. Ecco, forse è questa l’ultima delle invocazioni diventate rituali.
Aldo Premoli
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati