Prada rende bello il brutto mettendo in dubbio tutto alla Milano Fashion Week 2025

La nuova collezione Donna di Prada è un puzzle scomposto, fatto anche di camicie sgualcite e proporzioni “sbagliate”, per l’autunno inverno 2025. Il racconto

A Miuccia Prada si deve il merito di aver reso bello il brutto. Guardare alla voce ugly chic: ciò che non seguiva le convenzioni nell’abbigliamento femminile Anni 90 divenne sofisticato grazie al genio creativo della stilista, che adesso si forgia della visione di Raf Simons e della sua altrettanto importante tendenza a ribellarsi, così come a sottrarre il superfluo laddove necessario.

La collezione Donna autunno inverno 2025 di Prada

Le tanto detestate camicie sgualcite, le proporzioni “sbagliate”, gli abbinamenti cromatici impensabili (tipo i colori fluorescenti uniti al marrone scuro), i dettagli in pelo senza una ratio assumono la funzione di strumento per riflettere sulla bellezza e soprattutto sulla femminilità nella collezione Donna autunno inverno 2025 di Prada. Strumenti molto simili a quelli emersi lo scorso gennaio dalle creazioni maschili del marchio italiano, i due sessi dialogano nonostante le prospettive e i problemi siano spesso diversi.

Lo spirito mutevole di Prada

Prada sposta sempre lo sguardo su elementi e temi estranei alla contemporaneità per indagare l’uomo e la donna, il bello e il brutto, la moda e quindi la cultura in senso lato. I vestiti sono un concentrato di valori tramandati oppure rinnovati attraverso l’apparenza, specchio dei cambiamenti sociali che dovrebbero interessare a chi si rivolge ai clienti, persone mutevoli a seconda di ciò che li circonda. E mutevole è anche l’idea di moda firmata Prada: scomposta e ricomposta, mixata e remixata partendo dalla struttura degli indumenti per finire con i loro significati intrinsechi.

La location di Prada

L’allestimento della sfilata all’interno del Deposito della Fondazione Prada riflette la contrapposizione tra il grezzo e il raffinato. Un’impalcatura metallica riconfigura lo spazio, rivestito con un tappeto firmato da Catherine Martin. Mettendo a nudo queste dicotomie visive, l’ambiente diventa a sua volta un riflesso della complessità di significati racchiusa negli abiti.

Giulio Solfrizzi

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Giulio Solfrizzi

Giulio Solfrizzi

Barese trapiantato a Milano, da sempre ammaliato dall’arte del vestire e del sapersi vestire. Successivamente appassionato di arte a tutto tondo, perseguendo il motto “l’arte per l’arte”. Studente, giornalista di moda e costume, ma anche esperto di comunicazione in crescita.

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