Van neri e berline di lusso dovunque. L’insostenibile impatto della Fashion Week su Milano
La Settimana della Moda è al contempo un rilevante appuntamento per Milano e la sua economia, ma anche un'autentica calamità per la città. In particolar modo a causa delle scelte vecchie e sbagliate riguardo alla mobilità degli ospiti
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Se apri il sito della Camera Nazionale della Moda Italiana una delle sezioni più in evidenza è quella sulla sostenibilità. Ma del resto come sorprendersi, la moda parla di sostenibilità in maniera indiscriminata almeno dal post-Pandemia ad oggi a ogni occasione possibile. Sostenibilità della filiera, sostenibilità dei lavoratori, sostenibilità delle materie prime e poi upcycling e riciclo dei prodotti tessili e così via. “Sarà l’anno della moda ecofriendly“, urlano i titoli dei giornali.
Ma al di là dell’impatto ambientale della moda su cui così tanto si sta lavorando, qual è l’impatto ambientale delle Settimane della Moda? La Milano Fashion Week ogni anno supera se stessa se guardiamo alla prepotenza con cui lo spazio pubblico della città viene sottratto ai cittadini, ai pedoni, ai bambini, agli anziani, ai diversamente abili per consegnarlo… Ai van neri e alle lunghissime berline Mercedes.
Perché gli ospiti della Fashion Week devono essere accompagnati dovunque come bambini piccoli?
Cosa succede? Semplice: i singoli brand e gli organizzatori istituzionali offrono a buyer, influencer, giornalisti e imbucati un servizio di shuttle per raggiungere sfilate ed eventi serali. Il risultato è che la città da un giorno all’altro, quando inizia la “week”, viene invasa da mini-pulmini (quasi sempre con licenza NCC – ovvero ‘noleggio con conducente’ – rilasciata da remoti comuni agricoli della Bassa Lombarda) che trasportano da uno show all’altro, da un party all’altro e attendono gli ospiti fuori dalle ‘venues’ invadendo illecitamente strade e piazze.
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A Milano Fashion Week significa automaticamente strade invase da furgoncini neri. Davvero non si può fare a meno?
L’altro pomeriggio la zona attorno alla Fondazione Prada, dove si teneva la sfilata dell’omonimo brand, era sommersa da dozzine di questi ‘carri funebri’ neri posteggiati alla rinfusa sui marciapiedi, sulle isole pedonali, sulle aiuole, in doppia fila. Impervio e pericoloso transitare perfino in bici o a piedi. Spesso i brand chiedono al Comune un permesso temporaneo di occupazione di suolo pubblico (sarebbe interessante sapere pagandolo quanto) per poter disporre di strade e piazze per un intervallo di tempo necessario alle esigenze, talvolta però gli autisti fanno quello che possono: devono portare gli ospiti a un defilé e attendere che l’evento finisca per riprenderli, e nel frattempo sostano dove capita, rendendo le strade parking abusivi a cielo aperto.
Le piste ciclabili trasformate in parcheggi illegali per i van col permesso “fashion week”
I profili social delle associazioni di ciclisti, pedoni e degli attivisti che lottano contro gli abusi sullo spazio pubblico postano a raffica immagini allucinanti di file interminabili di van che scambiano le ciclabili per posteggi. “Sono giorni che rischio la vita in Corso Venezia perché la ciclabile era tutta occupata da furgoncini con la scritta Fendi, Ferragamo e Valentino sul lunotto“, dice un commento.
La faccenda pone degli interrogativi: gli ospiti del mondo della moda non dispongono di gambe come tutti gli altri essere umani? Sono tutti bambini di 6 anni che vanno trasportati in seggiolino? Gli influencer sono troppo impegnati a tenere la testa dentro allo smartphone e rischiano di perdersi se lasciati da soli? Giornalisti e buyer hanno paura di prendere freddo nonostante una straordinariamente mite fine di febbraio? Insomma: come mai questa particolare tipologia di persone necessità di questo livello di accompagno?
Eppure a Milano non mancano grandi eventi, anche diffusi: c’è la Settimana del Design, ci sono grandiosi concerti, importanti partite di pallone, la più grande fiera sugli occhiali al mondo e la più rilevante fiera su scooter e moto del pianeta. In tutti questi casi però non si ingenera lo scempio sulla mobilità cittadina e la mancanza di rispetto delle basilari regole di convivenza civile che avviene durante la Fashion Week.
“È uno schifo“, “è una cosa vecchia, un retaggio degli Anni Novanta“, ci confessano alcuni giornalisti che però chiedono di non essere citati. Perché, proprio come fossimo fermi a 40 anni fa, avere un posto sui monovolume o le berline delle organizzazioni fa anche status. “C’è da dire che le sfilate sono molto dislocate” ci racconta un altro collega “ma è anche vero che spostandosi in metro spesso si fa molto prima perché le strade sono intasate proprio a causa dei van“.
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Come fa la moda a parlare di sostenibilità e poi invadere una città di furgonette a gasolio?
È abbastanza incredibile notare come un settore che ha fatto delle politiche ecologiche una propria bandiera nell’ultimo quinquennio, prosegua con atteggiamenti superati e prepotenti quando invece si parla di mobilità e spazio pubblico. Dentro le sfilate si parla di sostenibilità, fuori però c’è il furgoncino nero Mercedes che ti aspetta posteggiato in divieto e mettendo in pericolo di vita il ragazzo in bici che sta tornando da scuola. Quale è la logica di tutto questo? Il tutto in una città che non è Londra, non è New York e non è Parigi (tanto per citare altre capitali della moda dove questo pasticcio non avviene): Milano è infatti una città piccola, straordinariamente compatta, con una periferia attaccata al centro e oltretutto piatta e ciclabile. Non per nulla Nature Cities ha recentemente indicato Milano come la città più “camminabile” del Pianeta, l’unica dove il 98% della popolazione ha il grosso dei servizi necessari a meno di 15 minuti a piedi.
Appello per una Fashion Week con una mobilità sostenibile
Immaginiamoci che messaggio potrebbe dare la Fashion Week incoraggiando i propri ospiti a spostarsi a piedi, coi mezzi pubblici, con un sistema di biciclette, magari sollecitando i brand a predisporre una accoglienza prioritaria per chi si sposta in maniera civile e sostenibile. Consideriamo invece che messaggio di prepotenza e arretratezza trasmette una piccola città sommersa da pulmini coi vetri oscurati guidati da autisti che si sentono padroni assoluti dello spazio pubblico. È davvero così difficile rendersi conto che non ci può essere un business sano e florido in un contesto di volgarità?
Massimiliano Tonelli
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