Media Art: do we care?
La notizia ha iniziato a circolare alcuni mesi fa, ma solo ora se ne cominciano a vedere le devastanti conseguenze. All'inizio di aprile, il Netherlands Media Arts Institute (NIMk) di Amsterdam ha infatti annunciato la chiusura, con l'anno solare, dell'istituto e la cessazione delle sue attività, a seguito dei tagli alla cultura resi pubblici lo scorso giugno, e di effetto immediato a partire dal gennaio 2013.
La politica del nuovo ministro olandese per la cultura, Halbe Zijlstra, si è dimostrata severa soprattutto nei confronti delle istituzioni di media art: così, se da un lato il Netherlands Media Arts Institute ha perso il 100% dei finanziamenti governativi, i grandi musei e gli artisti più prestigiosi continuano ad avere pieno sostegno, con tagli minimi non superiori al 5%. È questa la principale anomalia, ben registrata dalla curatrice del NIMk Petra Heck: “Le decisioni non sono state prese in base al contenuto, ma alla funzione e al medium. Per loro, la media art ha davanti due strade: diventare commerciale ed essere assorbita dalle industrie creative e/o essere collezionata e mostrata nei musei”.
Dopo aver reagito con un’iniziativa di protesta (intitolata, significativamente, Media Art, We Care), il NIMk ha cominciato a ristrutturarsi nel tentativo di dare continuità a un lavoro iniziato nel 1978 (quando nacque come MonteVideo) e che ha dato vita, nel tempo, a una collezione di oltre 2.000 pezzi di artisti da tutto il mondo. Ma il futuro resta incerto, per la nuova fondazione che sorgerà dalle ceneri del NIMk e per le numerose istituzioni che negli anni hanno fatto dell’Olanda uno dei poli indiscussi della ricerca artistica sui nuovi media, dal V2_ a Mediamatic.
Una ricerca che, per ovvi motivi di radicalità formale, si è sempre appoggiata a istituzioni e fondi pubblici e che, in questa incerta decade di crisi, è infine costretta a fare i conti con il mercato e il mondo dell’arte, non solo in Olanda. Saremo pronti per questo? Cosa si perderà nella transizione? Dipenderà, in gran parte, dal numero di coloro che avranno voglia di dire: “Media Art, We Care”.
Domenico Quaranta
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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