Al di là dell’interfaccia. Intervista con Marc Garrett e Julian Stadon
Dal 10 al 12 settembre ha avuto luogo a Monaco, in occasione del ciclo di conferenze ISMAR, la mostra “Beyond The Interface”, curata da Marc Garrett di Furtherfield e dall’artista Julian Stadon. L’evento era incentrato sulle problematiche culturali derivanti dall’utilizzo dell’interfaccia, sistema attraverso cui vengono inviati e ricevuti messaggi che ne influenza la struttura.
Quando e come è nata Beyond The Interface?
Marc Garrett: Julian ci ha chiesto recentemente di curare una mostra in parallelo con l’edizione 2014 della conferenza ISMAR, il cui tema centrale sarebbe stato la realtà aumentata (AR) e la mixed reality (MR). Si tratta di un’eccellente opportunità per il pubblico e per le persone presenti alla conferenza, per conoscere idee e punti di vista differenti, sviluppati da artisti e teorici contemporanei che fanno dell’analisi critica della tecnologia una parte della loro attività quotidiana. La mostra Beyond The Interface è inoltre una citazione giocosa della primissima fase della Net Art. Nel 1998 fu realizzata una mostra online intitolata beyond.interface. Heath Bunting ha partecipato anche a quell’evento.
Julian Stadon: Sono uno dei presentatori della conferenza per l’International Symposium on Mixed and Augmented Reality (ISMAR) e nel 2013 ho organizzato e curato ad Adelaide la mostra Transreal Topologies. In seguito al successo di quell’evento, mi chiesero di curare un’altra mostra per l’ISMAR di questo anno e io ho voluto ampliare le tematiche sviluppate dalle opere presentate nel 2013. Quest’anno volevo coinvolgere anche un’organizzazione specializzata in problematiche sociali, quindi chiesi a Marc Garrett e a Furtherfield di partecipare. Partendo dalle nostre discussioni, abbiamo iniziato a sviluppare la premessa generale di presentare arte che si situasse al di là delle interfacce, in termini di struttura, distribuzione, limitazioni, potenziale e così via.
Cosa comporta essere “al di là delle interfaccia”?
J. S.: La percepisco come una nozione molto legata alla società, perfino alla politica in certi casi. Questa è sicuramente una tematica che è importante affrontare criticamente nel contesto della realtà aumentata e della MR, in modo particolare nella conferenza di questo anno che si intitolava Augmented Everything Everywhere for Everyone. Questo titolo suggerisce che le interfacce di MR sono effettivamente incorporate in modo onnipresente nelle nostre vite, che siamo ben al di là dell’interfaccia e che gli artisti che abbiamo selezionato per questa mostra sono degli ottimi esempi di tecnologi che lavorano in questo ambiente.
Quanto è importante valutare criticamente l’interfaccia in un’epoca come quella moderna, in cui quasi tutto è mediato dalla tecnologia?
J. S.: Il carattere ubiquitario della contemporanea distribuzione dei dati e quindi le interfacce utilizzate per partecipare e contribuire in questi sistemi hanno portato a una necessaria rivalutazione di cosa siano le interfacce. L’idea arbitraria che esistano solo per mediare i dati con una semplice logica input/output è scomparsa da molto tempo e quello che era un ambiente quantitativo è diventato qualcosa di qualitativo legato ai comportamenti. Questa è una ragione che già da sola suggerisce una revisione generale di ciò che conosciamo delle interfacce, ma è molto più complesso della questione relativa a come ci relazioniamo con esse e i dati.
Attualmente abbiamo più opzioni per quanto riguarda le interfacce e, grazie a ciò, una forma più interconnessa di pragmatismo e valore si intreccia (così come i social network, il mercato, la politica, le gerarchie di potere, la dispersione degli utenti, la presenza, l’intelligenza artificiale e molti altri fattori) nella discussione riguardante la natura effettiva delle interfacce e cosa queste ci possono offrire, al di là dell’accessibilità per l’utente, la funzionalità e tutti quegli aspetti a cui pensiamo tradizionalmente in relazione alla teoria sulle interfacce.
Le interfacce, quindi, non solo come aspetti legati a un discorso relativo alla tecnologia.
M. G.: Le interfacce sono intersezioni, scientifiche o filosofiche, progettate per facilitare e plasmare il dialogo che avviene fra tribù umane e religioni diverse, tra componenti di sistemi informatici o tra macchine e esseri viventi. L’interfaccia è inoltre una situazione storica di cose e valori, una complessità culturale che ci indica chi e cosa siamo, attraverso il linguaggio, gli oggetti e l’interazione. Gaston Bachelard ne La Psicoanalisi del Fuoco del 1938 suggerisce che il fuoco è un concetto, quindi un’interfaccia culturale, un punto di riferimento per diversi valori, idee e informazioni. In effetti, la mostra Beyond The Interface è come un’interfaccia culturale in cui le persone sono coinvolte nello spazio con il lavoro come loro punto di riferimento.
Considero la mediazione come un processo introdotto da condizioni di terze parti; la tecnologia è solo un pezzo di questo puzzle. Tutte le cose sono mediate dall’Homo sapiens. E vedere al di là dell’interfaccia è anche vedere al di là dell’Homo sapiens.
Avete selezionato opere che disturbano l’interfaccia: potete raccontare qualcosa dei lavori presenti nella mostra?
M. G.: La mostra esplora la nostra sottomissione alle interfacce e presenta una critica fantasiosa alla cultura che accetta le interfacce sulla base del loro valore originario. Gli artisti sollevano un velo su queste interfacce contemporanee creando percorsi, visioni estetiche e comportamenti alternativi. Ad esempio, il progetto Escaping the Face: Biometric Facial Recognition and the Facial Weaponization Suite di Zach Blas illustra perfettamente come le nostre interfacce siano progettate per valutare le nostre azioni e le nostre relazioni con la tecnologia e il mondo sulla base di ciò che vogliono le grandi aziende. Qui è dove i dati biometrici e il controllo delle nostre facce con la tecnologia sono luogo per la lotta politica, muovendosi nei territori della libertà civile. Blas propone che la maschera sia una celebrazione di indipendenza e un rifiuto a essere inserito negli archivi di dati della NSA e nelle raccolte di informazioni basate sullo sguardo delle telecamere di sorveglianza. Le interfacce sono sempre state un mezzo di controllo, nascoste in bella vista: simboliche, sociali o tecnologiche.
Poi c’è il video quasi apocalittico di Jennifer Chan intitolato Grey Matter, sulle interazioni dei giovani su Internet viste attraverso i canali delle aziende e dei brand, in cui si percepisce la banalità esistenziale dietro tutto ciò.
In quali altri modi il concetto di disturbo è stato applicato alla selezione dei progetti esposti?
J.S.: L’idea del disturbo nell’arte non è nuova, ma Beyond The Interface applica questa nozione a un elemento specifico della rappresentazione e dell’estetica: essere interfacce o, in altri termini, il modo in cui distribuiamo informazioni da una persona all’altra attraverso la tecnologia digitale. Naturalmente, a causa della conferenza questa idea è stata sviluppata con un’attenzione sull’aumento (più come concetto che mezzo), cercando progetti che si occupassero di mixed reality con modalità innovative. Abbiamo selezionato artisti che potessero fornire un ventaglio di tecniche, strategie e riflessioni sull’estetica legata all’interfaccia disturbata, prestando particolare attenzione a quelli che lavorano in ambienti che vanno oltre i cliché delle interfacce standardizzate.
Un progetto che modifica un’interfaccia comune (la rilevazione della videocamera e la proiezione) è, ad esempio, It’s Alive di Genetic Moo. Il modo in cui questo lavoro evolve è molto lontano dai progetti generativi basati sulla registrazione in tempo reale di una videocamera. In questo caso un ecosistema simulato virtualmente è letteralmente alimentato sulla base dell’interazione umana, creando un loop giocoso quanto sottile di reazioni tra lo spettatore e l’opera. Ci sono inoltre lavori che riguardanti le interfacce contemporanee, come Tele-Roulette di Pierre Proskes, un progetto che riutilizza un vecchio televisore per trasmettere un flusso costante di video caricati su YouTube e selezionati in maniera casuale. Non più limitata dai termini di ricerca che dipendono dal linguaggio e dal numero di visualizzazioni, la Tele-Roulette rivela contenuti oscuri e multilinguistici persi nel clamore della popolarità e della funzione dei video, intesi come objet trouvé del XXI secolo.
Ci sono inoltre progetti interessanti riguardanti tematiche contemporanee relative alla cultura dell’interfaccia, come A Charge for Privacy di Banger_Briz, che gioca con le nostre preoccupazioni per la privacy e la sicurezza, riflettendo sulla nostra “libertà” di informare all’interno di servizi online come le e-mail e i social network. Gli spazi pubblici interconnessi sono parte delle nostre vite quotidiane, così come le richieste per fidarsi delle connessioni ai server, cookies realizzati da terze parti e così via. Questo lavoro, sebbene sia giocoso nella sua articolazione, allude ad una problematica molto seria che dovrebbe interessare tutti noi, al giorno d’oggi.
Il programma ha incluso anche una serie di conferenze: di cosa si trattava?
J. S.: Negli ultimi cinque anni ISMAR ha tenuto conferenze sull’arte e su argomenti propri della sfera umanistica in riferimento alla realtà aumentata e alla mixed reality. L’anno scorso, il quinto anniversario della manifestazione, avevo deciso di combinare le conferenze con la mostra d’arte e tanto i talk degli artisti quanto la mostra Transreal Topologies sono stati un vero successo. Quest’anno ho cercato di integrare ancora di più queste due componenti. Marc e io abbiamo sviluppato tre discussioni che espandono i temi della mostra, con un’attenzione particolare sull’evento stesso, sul modo in cui la realtà aumentata può disturbare sistemi economici ed esplorando l’idea che tali sviluppi nella tecnologia, nella società e nella produzione artistica portano necessariamente a ripensare a cosa sia realmente l’estetica.
Filippo Lorenzin
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