Una partitura di suoni ed espressioni. Intervista ai Dewey Dell
Proseguono le interviste ai partecipanti del roBOt Festival 2014. Abbiamo incontrato Dewey Dell, compagnia di danza che ha preso parte al festival bolognese nella sezione call4roBOt con un concerto che ha unito ritmi elettronici a precise coreografie dei corpi (e dei visi) attorno a un tavolo.
Quando e come nasce Dewey Dell?
Dewey Dell nasce quasi per caso nel 2007 quando i quattro membri della compagnia si incontrano per creare un breve spettacolo di danza intitolato à elle vide. Quando iniziammo, non sapevamo se avremmo continuato o meno, volevamo solo fare lo spettacolo, senza farci troppe domande. Però poi, come quando si vedono le balene nuotare in branco e non vorresti più smettere di guardarle, la possibilità di rendere reale una visione che altrimenti sarebbe vissuta solo come un’idea, fu per noi di una potenza folgorante. Così, ancora oggi è difficile definire Dewey Dell: dove si muove, che progetti ha, quali sono le sue intenzioni per il futuro. Per noi è ancora importante mantenere un margine di totale ignoto nelle fondamenta di qualsiasi progetto, che porti il rischio ma anche la ricchezza di poter cambiare tutto improvvisamente.
In questa edizione di roBOt Festival eravate parte della selezione call4roBOt: potete descriverci questa esperienza?
Dewey Dell è una compagnia di danza che da qualche anno crea delle forme di concerto dove il pensiero sul movimento rimane importante tanto quanto la musica. Nella prospettiva di una ricerca sulla danza, i club o le discoteche sono miniere proliferanti di intuizioni e informazioni. Per noi risultava troppo riduttivo compiere una ricerca sul movimento solo per una dimensione teatrale. Volevamo azzardare, rischiando di non essere affatto capiti: fare concerti seguendo l’istinto, che invece di proteggerci ci portava allo scoperto, verso la “crudezza” di alcuni luoghi squallidi a cui non eravamo affatto preparati. Oggi Dewey Dell porta avanti questi due lati, musicale e teatrale, con uguale intensità. Abbiamo partecipato a call4roBOt per questa ultima edizione del Festival, che prevedeva una selezione. Qui abbiamo presentato l’ultimo concerto a cui stavamo lavorando, i cui caratteri ci sembrava combaciassero con quelli del festival in generale. La serata è stata intensa e veramente piena di eventi. Di solito preferiamo che la gente stia più vicina a noi, che non si sieda e che balli, invece forse il susseguirsi di performance e di video aveva creato questa atmosfera “da spettacolo”, giustamente. Siamo stati contenti di aver partecipato e di aver suonato al roBOt, di aver potuto incontrare un pubblico attento e di aver conosciuto nuove persone e artisti.
Potete descrivere il processo creativo che ha portato alla realizzazione del concerto che avete presentato a Bologna?
Come nella nascita di un pezzo musicale, è sempre molto difficile capire da cosa si parte o come ci si è mossi per arrivare a un determinato punto. Il concerto non ha un’idea madre di partenza come la potrebbe avere uno spettacolo. Siamo partiti dal tavolo in cui appoggiavamo i nostri strumenti, e da lì abbiamo sviluppato una partitura di suoni e movimenti assolutamente fissata, dove nulla è improvvisato. Suoni e movimenti dovevano apparire della stessa importanza. Un elemento si è dimostrato abbastanza costante durante la creazione, ovvero l’interesse per le espressioni del volto. Piccoli drammi si intersecano all’interno della struttura e la lasciano senza dare spiegazioni, semplicemente succedono. Ci sembrava interessante inserire una partitura di espressioni in un concerto, come una danza del volto.
Sono molto interessato a questa coreografia delle espressioni facciali. Potete parlarcene?
Le chiamiamo coreografie delle espressioni facciali ma più semplicemente sono momenti all’interno del concerto in cui si coagulano alcune tensioni emotive. Ci interessava dare un volto ad alcune melodie, così come ci interessava spezzare completamente i pensieri e le immagini che un ritmo poteva innescare. All’interno di queste bolle di pathos improvvise il volto si muove costantemente seguendo un ritmo assolutamente intimo che non sempre si accorda con quello musicale. Come in una danza del volto, questi non sono movimenti leggibili dal punto di vista del significato ma dal punto di vista del movimento. Allo stesso tempo non si può scappare dal significato che l’espressione umana suggerisce. Questo è il gioco di questa danza, gli estremi entro cui rimbalza. Inoltre ci interessava creare una situazione estremamente recitativa all’interno di un concerto di musica elettronica.
In quale modo la partecipazione al roBOt Festival si inserisce vostro percorso artistico?
Per noi è stato importante essere presenti al roBOt nella misura in cui ci ha dimostrato simbolicamente come sia possibile per una compagnia di danza suonare un concerto in un contesto simile. Da una parte potremmo dire che il roBOt si è inserito nel nostro percorso artistico in quanto data importante, ma è anche vero che il concerto non è nato appositamente per quella occasione. Quindi direi è stata significativa come esperienza più per la portata simbolica che per ciò che riguarda la creazione artistica in sé.
Filippo Lorenzin
www.robotfestival.it
www.deweydell.com
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