La Fondazione Prada, in esclusiva su Instagram
Dieci fotografi selezionati su Instagram dalla Fondazione Prada hanno visitato la sede di Milano prima dell'apertura al pubblico: è l'iniziativa #emptyfondazioneprada, per vivere spazi espositivi e opere d'arte in un'ottica inedita.
COMUNICARE AI TEMPI DI INTERNET
Se non sei su internet, non esisti. Certo che è un’esagerazione, ma è un’astrazione che vale tanto e più in caso di entità a loro volta “astratte”: dai marchi di abbigliamento alla Casa Bianca, oggi un’immagine istituzionale si costruisce anche online.
Spesso e volentieri collaborando con persone che sono riuscite a rendere se stessi un brand, all’interno di un network più o meno esteso: ogni tema, ma anche ogni medium ha online i suoi esponenti di riferimento. Non ha senso invocare un generico “popolo della rete” perché su internet le regole della comunicazione di massa semplicemente non sono più applicabili, tant’è che si parla di nuovi media per distinguerli dai mezzi precedenti.
#EMPTYFONDAZIONEPRADA
Questa lunga premessa serve a comprendere le motivazioni della Fondazione Prada alla base dell’evento organizzato stamattina presso la nuova sede milanese, firmata dallo studio OMA di Rem Koolhaas e inaugurata a maggio. Un evento a porte chiuse, anche per i soliti nomi noti del mondo dell’arte. Alle 8 del mattino e per due ore buone tutto il patrimonio architettonico e artistico della Fondazione è stato invece appannaggio esclusivo di dieci instagramers, italiani e stranieri, che sul social network si sono già distinti per un’intepretazione personale della fotografia di architettura e paesaggio urbano, quando non si occupano proprio di lifestyle.
Pochi addetti ai lavori erano presenti, ma solo in veste di osservatori. Vedrete nella photogallery in fondo all’articolo – e sul nostro stesso account Instagram – che ci siamo cimentati anche noi con la mobile photography; seguendo l’hashtag #emptyfondazioneprada, però, nelle prossime ore vi sarà sempre più chiaro che l’ottica dei fotografi “ufficiali” è completamente diversa. Per certi versi, proprio estranea al dibattito artistico e culturale che siamo abituati a condurre internamente al settore.
DALLA FRUIZIONE DELL’OPERA D’ARTE ALL’AZIONE
Un occhio educato – e una mente affollata di nozioni – punta in una mostra a guardare le opere. Gli instagramers vivono se stessi – le loro sensazioni ed emozioni – come il vero soggetto dell’evento: utilizzano gli spazi istituzionali, che d’altronde sono stati lasciati “vuoti” apposta perché potessero interpretarli liberamente. Succede così che si fotografino a vicenda utilizzando le opere come parte della scena, che scelgano inquadrature tutt’altro che esplicative del lavoro artistico, ma terribilmente suggestive.
Lo stesso, non si può considerarli indifferenti o irrispettosi rispetto a quanto esposto e al privilegio – diciamolo! – di una visita così esclusiva, con tempi dilatati e massima libertà d’interazione: sarebbe un giudizio frutto di un annoso pregiudizio, per cui al museo o in mostra ci va chi è già “imparato”.
In un’epoca in cui produttori e fruitori di contenuti si scambiano costantemente di ruolo perché così succede online, con operazioni di questo genere – già sperimentate al Met come al Louvre – le istituzioni artistiche tornano finalmente a proporsi come centri di attività invece che meri contenitori di oggetti statici, nei cui confronti l’unica azione consentita è la contemplazione passiva. Che resta un’opzione valida per tutti i motivi che conosciamo, ma non è l’unica.
Soprattutto in un universo di “cose” che ogni giorno sgomitano per avere la nostra attenzione, emettendo segnali acustici e visivi sempre più attraenti: se l’arte vuole dialogare nuovamente con il “popolo della rete”, qualunque esso sia, è il caso che si avvicini – nel mondo virtuale e non soltanto – al suo interlocutore.
Caterina Porcellini
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