Bologna è stata un laboratorio all’aperto, dove le idee e le opinioni circolavano a grande velocità, con letture frettolose o echi del sentito dire, e subito superate da altre. Poi è finita: è iniziata l’era di una nuova dogmatica economica, con una domesticazione ancora più faticosa dell’animale umano.
Gianni Celati, prefazione al libro Alice disambientata
“Sono entrato in radio quando sono entrato in contatto con me stesso”, dice uno dei protagonisti di Radio Alice durante il film documentario Alice è in paradiso di Guido Chiesa. Spiegare cosa è stata Radio Alice (e quindi Bologna) senza averla vissuta risulta complesso, si crea subito una distinzione tra chi c’era e chi no, chi quell’epoca non l’ha vissuta. Una distinzione che si è seduta fianco a fianco tra le poltrone del Cinema Europa di Bologna, dove è avvenuto l’incontro. A quarant’anni dalla nascita della storica emittente, il Kinodromo di Bologna ha voluto far parlare chi questa radio la creò, proiettando il documentario di Guido Chiesa e incontrando alcuni fondatori della radio.
DARE VOCE A CHI NON HA VOCE. NASCE RADIO ALICE
Radio Alice fu un’emittente radiofonica, nata a Bologna nel febbraio del 1976. Ben presto, però, diventò una delle più note radio libere italiane per essere il punto di riferimento del movimento antagonista bolognese. Non solo. Fu un modello essenziale per innovativi linguaggi. Un nuovo tipo di comunicazione, oggetto di studio successivamente anche fuori dai confini nazionali.
L’unica regola di Radio Alice era: tutto deve basarsi sulla creatività e sulla spontaneità. Non ci deve quindi essere alcun tipo di filtro o di censura nei confronti di persone, linguaggi o idee; non ci deve essere nessun tipo di struttura organizzativa o un palinsesto predefinito. E poi c’era Potere Operaio. Lo slogan era: dare voce a chi la voce non l’ha avuta mai.
Tutto questo fino all’11 marzo 1977, quando la polizia uccide lo studente Francesco Lorusso, disarmato militante di Lotta Continua. In seguito a questo episodio, diffuso subito dalla radio, parte della città insorge riempiendo le strade. Ci sono violenti scontri, tanto che a Bologna interviene l’esercito. Radio Alice decide di continuare le sue trasmissioni, e lo fa come ha sempre fatto, senza censurare le telefonate e i commenti di nessuno. Viene così accusata di dirigere la rivolta. Nella serata del 12 marzo la polizia entra nella soffitta di via del Pratello 41, la sede fisica della radio, procedendo all’arresto dei presenti.
LE STORIE DI ALICE
È il 1976. Siamo nel periodo delle liberalizzazioni delle radio, la situazione a Bologna è vivace. “Ci si chiedeva cosa fare, ci intrigava molto il mondo della comunicazione e aprire una radio costava pochissimo. Così è nata Radio Alice”, raccontano i suoi fondatori. A quel tempo a Bologna “si stava svegli alla notte, che si passava sempre di osteria in osteria. Al tempo si viveva un po’ ovunque”. È questo il contesto in cui arriva Radio Alice, che “non si può dire che abbia copiato da altri. Eravamo molto dadaisti, molto ‘alla Majakóvskij’”.
Un gruppo di giovani dai diversi interessi, lavori, studi, estrazioni sociali. Al Dams di Bologna c’è un professore stravagante, Gianni Celati, che scrive saggi e racconta storie. Il suo seminario su Lewis Carroll all’università è seguitissimo, tanto che si trasforma in collettivo politico, in un concerto rock, una radio. Alice diventa l’emblema del Movimento del ‘77, “un modo per non farsi catturare”, dicono gli studenti e annota il professore Celati nel libro Alice disambientata. Quasi tutti quelli che girano all’inizio per Radio Alice sono studenti suoi.
“MICROFONO APERTO O NO? E SE POI CHIAMANO IN DIRETTA I FASCISTI?”
Parlare di tutto, da parte di tutti. L’idea di Radio Alice era infatti quella di collegare il filo del telefono all’antenna della radio. Per la prima volta, la radio si trasformava in strumento di produzione culturale da parte di tutti, con un uso continuo della diretta telefonica. Raccontano i fondatori di Radio Alice: “Ci chiedemmo subito se avesse senso lasciare libertà a chiunque di parlare. Aveva senso. Tutto meritava di essere trasmesso, purché ci fosse qualcosa da dire”.
Oltre alla musica, si leggevano libri, comunicazioni sindacali, poesie, liste della spesa, commenti ai fatti del giorno, favole della buonanotte. Tramite Radio Alice si facevano comunicazioni di ogni tipo, “c’era chi ci chiamava per dirci che gli avevano rubato la bici” e “c’era la trasmissione dei lasciati, dove chiamavano quegli uomini che le femministe avevano mollato, o altri in cui per la prima volta emergevano le problematiche della vita di studente, del rapporto coi coinquilini”.
Nel 1976 usare la diretta telefonica era qualcosa di impensabile, ma Radio Alice faceva quello che fanno ora cellulari e internet. “C’erano dei programmi meravigliosi, ma non potevi mai sapere prima quando ci sarebbero stati”.
VIA DEL PRATELLO 41, UN LUOGO DI INCONTRO
“La gente ci veniva a trovare, ognuno ci raccontava le sue storie. Il primo giorno eravamo in sette alla radio, il secondo in duecento”, racconta Stefano “Sbarbo” Cavedoni degli Skiantos. “Fu una voce fondamentale per moltissime persone. Era il luogo della verità”. C’era un tessuto emotivo viscerale, intenso. “Siamo passati come la generazione che faceva le orge, perché è stato tutto banalizzato. Invece si sperimentava, ma nel rispetto reciproco. Il grande fascino di Radio Alice”, continua Cavedoni, “è che era uno tsunami di intelligenza, un approfondimento continuo sulle cose nuove che stavano accadendo”.
La radio di via del Pratello aveva le porte completamente aperte. “La stessa Bologna musicale deve tanto a Radio Alice”, commenta Valerio Minnella, tra i fondatori della radio. “Realtà come gli Skiantos devono molto a Radio Alice”, continua Cavedoni, “perché quello che proponeva non era retorico, ma aveva le sue radici sul demenziale o si sdrammatizzavano fatti importanti con molta ironia”.
LA FINE DI UN’ESPERIENZA (TROPPO?) INTENSA
Radio Alice ha vissuto per tredici mesi, poi è scoppiata. “Già nel giugno‘76 il gruppo fondatore era scoppiato, perché quello che si era creato era un livello di intensità che non poteva durare per molto tempo”, spiegano Minnella e Stefano Saviotti. “Dall’esperienza della radio c’è chi ha aperto un centro olistico e chi ha partecipato ai gruppi armati”, conclude Saviotti, ora titolare di uno studio di bioenergetica.
Secondo lui, non c’è stato però quel fenomeno di pentitismo e i fatti di sangue vennero contenuti grazie soprattutto alle donne presenti nel gruppo. “C’erano molte relazioni e cambiavano spesso, ma loro riuscivano a comunicare solo quello che sapevano non avrebbe fatto male: le donne di Bologna hanno costruito una rete emotiva e affettiva. Molti si sono dissociati dalle idee, ma è stato difficile dissociarsi dall’umanità. Questa è stata la grande forza di quel tempo”.
E dopo Radio Alice? Rimangono le parole di chi l’ha vissuta, di chi può raccontarla dando nuovi spunti per capire l’Italia di allora. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, detta tra i denti da uno dei fondatori nel documentario di Chiesa. “Dopo Radio Alice arrivò la droga, l’eroina che venne diffusa come un analgesico. E tutti in nostri dadaismi andarono a farsi fottere”.
Anja Rossi
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