Intervista con Amalia Ulman, la performer su Instagram
Argentina, ma anche spagnola e americana, classe 1989. È Amalia Ulman, l’artista che ha fatto parlare molto di sé un paio di anni fa per una performance su Instagram. Ora è in mostra alla Tate Modern di Londra. L’abbiamo incontrata.
UN SUBLIME ORDINARIO
Amalia Ulman è argentina, cresciuta in Spagna, vive a Los Angeles e Gijón. È giovanissima, è nata nel 1989. È un’artista che lavora sull’identità, tema che utilizza per sondare aspetti e questioni legati al sociale. Attualmente uno dei suoi lavori è in mostra alla Tate Modern di Londra, nella collettiva Performing the Camera.
I suoi lavori, che spaziano dalle installazioni ai video, dalle performance alle poesie, dal graphic design agli iOS mobile upload, mostrano l’aspetto narcisistico della nostra contemporaneità, in cui le donne sono inserite e si inseriscono come intrattenimento.
Amalia è femminista e veicola il suo credo identitario su un’attenta esplorazione del corpo. Il suo lavoro si concentra su un’analisi sociale incentrata sul concetto di bellezza, esplorata con particolare attenzione al rapporto intercorrente tra estetica e classi sociali, in particolare il ceto medio, di cui l’autrice segue quell’“ordinario sublime” che ne caratterizza il gusto. Il suo modo di fare ricerca artistica ed esperienza assomiglia a quello di un flâneur che vaga e cammina per la città, nei centri estetici, negli aeroporti, nelle sale d’attesa e indaga l’ubiquità dell’immaginario di un’ordinaria bellezza. Perle, cuori, arte del caffè, ondulati salici cinesi, glitter, slogan motivazionali costituiscono l’iconografia delle donne di classe medio-alta che l’artista esplora dalla sua prospettiva femminista.
UN PROFILO INSTAGRAM COME PERFORMANCE
Lo sguardo, nella nostra società post-capitalista e post-internet è una costruzione culturale che co-dipende dal bisogno di vedere ed essere mostrati. I corpi, per essere “made in time”, devono guardare “a”, “verso”, in quella che si mostra sempre meno velatamente come téchne del prossimo, come scrive Jean-Luc Nancy.
L’esibizione del corpo nell’era multimediale è diventata un’abitudine, l’identità risulta accessoria e finalizzata solo alla riflessione nello schermo. Questa tendenza popolare e virale nell’estetica e nei comportamenti è stata cristallizzata dell’artista, a partire dalla sua performance Execellence&Perfection (2014), dove incarna per cinque mesi, attraverso un profilo Instagram da fiction, l’epopea di una giovane ragazza che dalla periferia si trasferisce in città, e vive tutti gli stadi della sua nuova vita, fino alla redenzione e il ritorno a casa. Una sorta di biografia antropologica che sviluppa attraverso un estremo rinnovo culturale, ispirato a quegli standard di media bellezza che contempla e interroga durante il suo lavoro.
Le immagini eccessive ma anche familiari (colazioni sontuose, foto di shopping e di orsacchiotti griffati, scatti ammiccanti, slogan sulla forza personale e la cattiveria della gente) le permettono di ottenere in pochi mesi più di 65mila follower. I social media sono un mezzo per vendere il proprio stile di vita, di costruire la propria etichetta
L’INTERVISTA
Qual è il tuo rapporto con i social media? E quale quello con Internet?
Non mi importa dei social media. Per questo che posso giocarci, come faccio sin da piccola. È solo un altro media, come tanti altri, è un new media, e rispetto agli altri puoi utilizzarlo in maniera molto meno naïf, ma non penso sia spaventoso. Può solo manipolare, ad esempio attraverso l’illusione di diventare popolari. È una cosa vecchia: le persone, come già in passato è capitato con gli altri mezzi emergenti, pensano che sia tutto vero, ma il primo piccolo step è realizzare che tutte le informazioni sono manipolate.
Riguardo al mio rapporto con Internet, invece, devo dire che quando sono a casa non ce l’ho internet, non lo uso.
Com’ è nata l’idea dell’app Ethira? Perché questo sistema anonimo e di cancellazione? Pensi che il peso del carico informatico potrebbe generare in futuro una generale scomparsa della presenza? O piuttosto potrebbe, al contrario, essere legato al mercato?
Ethira è un progetto del 2013, un iOS mobile upload, un’applicazione per smartphone e tablet disponibile su iTunes alla voce “social network”. Il progetto è stato presentato presso Arcadia Missa a Londra, abbinato a oggetti della cultura orientale e a gocce di rugiada, ed esprime un desiderio personale: che qualcuno possa lavare questo mondo in deperimento. Si tratta di una app con un sistema molto semplice, e soprattutto agli antipodi dei social network: il suo funzionamento prevede che le frasi scritte dall’utente – massimo 140 caratteri – scompaiono dopo pochi secondi, generando un sistema che funziona solo come autentica espressione personale, senza l’ipocrisia di una pubblicazione, come invece accade con altri social network.
Facilità d’espressione, “morte dell’autore”, zero feedeback, se non la possibilità di leggere dei testi legati alla posizione geografica. C’è quasi un’intenzionalità Zen, e l’idea dell’anonimato, dell’espressione non filtrata e spontanea, che scompare per sempre, poco dopo, come il flusso degli eventi nella vita. La cosa che mi interessava è la mancanza di archivio, il fatto che tutto sparisse. È proprio in virtù di questo che non ha funzionato: è stato ritirato dal mercato perché le persone non erano attratte da qualcosa che non permetteva la pubblicazione. No feedback come Twitter, non popular.
Ciò che ti ha resa celebre è Excellence&Perfection, la performance via Instagram.
È una live performance sul modo di vivere. Non si trattava di una performance pianificata ma di qualcosa che è profondamente legato alla vita di ogni giorno, più che al contesto delle gallerie o dei musei.
Ho notato un ampio impiego di grigio e nero nell’estetica del tuo lavoro. Ad esempio la grafica della schermata iniziale della tua app, la rosa nera con cui hai fatto terminare la tua performance Excellence&Perfection, il trailer Stock image of war… Una combinazione di ansia e seduzione?
Non direi che deriva dalla seduzione, piuttosto dall’ispirazione della Spagna, dagli ospedali, dalle sale d’attesa, luoghi che ben raccontano il mio immaginario.
Perché hai scelto Instagram per la tua performance? Qual è stata la reazione più interessante tra i follower?
Ho scelto Instagram perché era il modo più semplice per seguire le narrative di qualcuno, incontrare persone che non avrei incontrato, ad esempio sudcoreani che ho seguito per anni, di cui non sapevo nulla, ma di cui vedevo ogni giorno le immagini.
Riguardo alle reazioni, le più interessanti sono emerse nei momenti più difficili della ragazza che incarnavo sul mio profilo. Nel momento in cui dicevo “scusate se non mi sono fatta sentire”, le persone che non mi avevano mai scritto e non dicevano mai niente scrivevano “oh, spero che ora ti senti meglio”, e questo è molto intenso. Ed è interessante vedere anche come molte persone ti seguano in silenzio.
Hai notato una reazione particolare da parte delle donne?
Una delle reazioni più sorprendenti e confuse consiste senza dubbio nel fatto che le donne si approcciano perché hanno paura. Privatamente mi chiedevano com’era andata l’operazione chirurgica… Per me è stata una grande rivelazione vedere come molte donne di questa sfera così addicted allo sguardo pubblico in realtà non siano libere di fare cose del genere. È stato molto interessante, e doloroso.
Sonia D’Alto
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