Crozza, Napalm51 e l’esercito dei webeti. Il cortocircuito della Rete

Irresistibile, preciso, tagliente, pittoresco. Tra cronaca e caricatura. Il nuovo personaggio di Maurizio Crozza, presentato durante il suo show su La7, è figlio dei tempi. Una metafora esatta di quel webete tanto citato ultimamente. Ma quanto è contraddittoria l’idea di una democrazia diretta, per un popolo che annega tra complottismi, populismi, bufale e rabbia sparsa?

IL PERSONAGGIO DELL’ANNO
Non ci aveva ancora pensato nessuno. Eppure lo spunto era là, davanti agli occhi, nell’eco martellante di milioni di tastiere e nella luce di infiniti schermi interconnessi. Ossessione a cristalli liquidi, perdendosi in chat, like, commenti, blog, streaming, webcam. L’esercito nomade e iperattivo dei social-user, armati di pc, tablet e smartphone, è il ritratto più banale e spietato di questo primo scorcio di millennio.
Nessuno però, fino a ieri, aveva eletto a maschera satirica l’utente tipo della rete. Poi è arrivato Maurizio Crozza, reuccio della comicità televisiva, bravo a nutrirsi di icone nazionalpopolari e a reimpastarle in un mix bonario, sornione, arguto, lieve, mai urlato né feroce. Caratterista di pregio e osservatore scrupoloso, Crozza ha edificato il suo personale Pantheon dell’Italietta d’oggi, quella post Prima Repubblica, mischiando politica, costume, attualità: una sfilza di personaggi abilmente tratteggiati, restando tra la cronaca e la caricatura. E forse, più che dalla politica, è da ambiti diversi che il comico ligure ha tirato fuori le perle migliori.

Lo chef Germidi Soia

Lo chef Germidi Soia

Da un Antonio Zichichi super naïf, pseudo scienziato goffo e un po’ mitomane, al più recente Chef vegano-crudista Germidi Soia, che in epoca di food mania incarna un certo fanatismo salutista, passando dal doppio improbabile di Fuksas, architetto pavone e parolaio, tutto fuffa e arie da radical-chic. Un catalogo assortito per ripassare i connotati di un Paese al sapore di farsa, qualche volta di tragedia, qualche altra di commedia deliziosa.
L’ultima creatura, dicevamo. Qualcosa che mancava e stava lì, nell’aria, pronta all’exploit. Nonostante alcuni ottimi rivali – come la Ministra Boschi o sua maestà Carla Fracci rifatte da Virginia Raffaele –, Crozza s’è guadagnato il primo posto nella classifica dei personaggi più riusciti del 2016. Difficile che entro l’anno ne spunti uno più esilarante di lui, Napalm51. Un nick name, una storia, un destino.

UN PO’ WEBETE, UN PO’ HATER
Chiamatelo hater, sfigato digitale, utonto, complottista, leone da tastiera, social medioman… Tutte le varianti e le possibili sfumature vivono in lui, Mr. Napalm. Corrosivo come un liquido infiammabile, incazzato con tutti, sempre, senza tregua, senza distinzione. Un webete, per dirla col neologismo del momento. Termine tirato fuori, la scorsa estate, da un ispiratissimo Enrico Mentana, mentre inceneriva uno dei tanti frequentatori della sua pagina Facebook. L’ennesimo commento stupido e la parolina gli balzò dal cuore. Topic trend, subito: per giorni fu l’hashtag più usato in Italia.
Non un termine nuovo, in realtà. Se ne trova traccia già nel dizionario telematico curato da Maurizio Codogno negli Anni Novanta, come segnalato dall’attento professor Massimo Manca. Allora, però, agli albori del World Wide Web, un webete era giusto un sempliciotto tecnologico, uno che confondeva Internet con il Web, sconoscendo cose come IRC, Usenet, la posta elettronica; oggi, questa differenza sostanziale, è roba da nerd. Per la massa ormai nemmeno il Web esiste più. Tutto inizia, esiste e finisce con i social.

Lo storico tweet di Mentana che ha reso celebre il termine 'webete'

Lo storico tweet di Mentana che ha reso celebre il termine ‘webete’

Il webete dunque è un “retaiolo” sfaccendato, incollato h24 alle sue uniche finestre sulla vita: Facebook, Instagram, Snapchat, Youtube… Ma è anche uno con un suo profilo psicologico, un codice comportamentale, un archivio di parole e slogan, un modus imparato a memoria. Il webete odia, innanzitutto. Protetto dal suo monitor, dal suo avatar, magari da un nome fake, l’odiatore a tempo pieno ha fatto del mondo il suo punchball quotidiano, senza il rischio di una controffensiva in carne e ossa. Nemmeno serve mirare: ovunque punterà, andrà a segno. Qualcuno da mandare affanculo, al grido di “Vergogna! Vergogna!”, si becca sempre, tra casta, lobby, poteri forti, banche, vip, politici, giornalisti, immigrati. Oggi ce l’ha con Gianni Morandi, che fa la spesa di domenica senza rispetto per i lavoratori, domani col consigliere comunale di turno, poi col pennivendolo venduto o con Gino Strada che cura gli africani prima degli Italiani.

La vignetta di Marione sul caso 'webete'

La vignetta di Marione sul caso ‘webete’

LA GUERRA DELLE RETE. FRA IL TABLET E IL DIVANO
Napalm51 è così. Vive male. Mai una gioia, una tregua, un forse, chissà, magari. La granitica certezza del proprio vittimismo lo consacra campione del risentimento 2.0, colui che esibisce il dito slogato sulla tastiera come una ferita di guerra, un infortunio sul lavoro.
E poi sì, odiatore ma anche scemo. Ebete, per l’appunto. Il luogo comune, in lui, diventa esercizio barocco, orpello manierista, arma letale da brandire random, per necessità. Né analisi, né dati, né ragionamenti. Mai documentarsi, verificare, ridimensionare. La bufala è il suo pane, la Rete è la sua Bibbia: “Ma come, non lo sai? Studia no?! C’è scritto su Internet!”. E quel buco nero che è il Web, così profondo, complesso, spaventosamente anarchico, per lui è un posto rassicurante. La casa, la fonte, lo scoglio, il baretto, l’oracolo, il manuale, la piazzetta del quartiere. La via semplice, a misura di divano.
Napalm51 (che cita Walter Sobchak de “Il grande Lebowski”) è un signore di mezza età, coi capelli cotonati e le basette Anni ’70, due occhialoni cromati e una voce attoriale piena di pathos. Uno strano figuro venuto da lontano, disadattato, attempato, bamboccione. Un non nativo digitale che appena c’è piombato dentro s’è fatto fregare. Un tossico di Internet, un frustrato della vecchia guardia che ha trovato il suo riscatto nel mondo nuovo, quello dei social network: il suo palcoscenico, la sua platea.

Una delle più divertenti bufale messe in giro sul web, a cui aboccò il senatore Gasparri. Jim Morrison come un immigrato

Una delle più divertenti bufale messe in giro sul web, a cui abboccò il Senatore Gasparri. Jim Morrison come un immigrato

Napalm vive con la madre malata. Non lavora, non fa niente, non esce di casa, non le dà una mano nemmeno per gettare la monnezza. Dalla sua postazione non si muove: il mondo è tutto lì. L’unico che è in grado di governare.
Ruvido, stupido, fancazzista, mitomane, ma in fondo un filo tenero, racconta le sue imprese eroiche – i soccorsi durante l’alluvione di Genova, gli scontri anti Tav in Val di Susa, la guerra in Iraq – a cui però aveva partecipato solo via tablet, comodamente seduto in poltrona. Andare in trincea, allora, non è altro che una mitragliata di like, un commento esplosivo, la disciplina del “condividi et impera”: svelare la realtà, attraverso un post da rimbalzare cento e mille volte, è come l’orgasmo del potere. È l’illusione di contare. T’illudi di aver guidato una rivoluzione, di aver boicottato una multinazionale a suon di hashtag, di aver scoperchiato un calderone, di aver sputtanato ladri e potenti. E si procede così, tra pollici e faccine, file di 1 e !, quantità di puntini messi a caso e il caps-lock sempre premuto, a sparare cannonate cubitali. FAI GIRARE, CONDIVIDI SE SEI D’ACCORDO, BASTARDI!!11.
Napalm51 è un milione di nomi, di volti, di foto profilo. Tutti uguali e diversi, interscambiabili, da incrociare per due battute e subito dimenticare. La rappresentazione della folla nella sua accezione più volatile, inconsistente, sconfinata. Un mostro liquido, una piovra acefala.

Napalm 51

Napalm51

L’INVASIONE DEGLI IMBECILLI E IL DESTINO DELLA DEMOCRAZIA
Ne aveva parlato Umberto Eco, a giugno 2015, durante una lectio magistralis: I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Dibattito nazionale. Chi si arrabbiò, chi si esaltò; chi lo accusò di snobismo intellettuale e chi ne sposò la tesi.
Ma davvero siamo un popolo di imbecilli perduti tra meme, bufale, idiozie e anti politica d’accatto? E questo chiacchiericcio che ci avvolge, quanto conta, che danni fa? È qualcosa che si annulla, nella cacofonia di fondo, oppure incide piano, producendo movimenti di massa, spostamenti, tendenze, contagi? Avere offerto un’immensa tribuna ai tanti Napalm, che prima si facevano bastare i quattro amici al calcetto o al pub, cosa ha comportato? Quante molecole di nulla ha amplificato e quanto invece azzera, confonde, lascia scivolare?

Troll or idiot?

Troll or idiot?

Intanto, la rabbia fomentata dalla crisi e il cosiddetto analfabetismo funzionale (difficile da definire e quindi da misurare) sono miele e humus per i vari movimenti populisti in espansione. Il consenso, oggi, si raccoglie così. Agganciando l’esercito di sprovveduti, le loro pance, il loro odio, la loro ignoranza, i loro diti a martello. Ed è la verifica di un fallimento collettivo: le colpe si redistribuiscono tra i partiti tradizionali, la scuola, le famiglie, i media. Ciascuno ha abdicato al proprio ruolo, ha perso peso, autorevolezza, funzione.
Perché è un sistema sociale intero ad aver fatto cilecca. Se la metafora dei tempi diventa un webete qualunque; se uno studente universitario non decodifica un testo elementare; se persino un docente non è in grado di distinguere una bufala da una notizia vera; se il “popolino citrullo” (come lo ha definito Gian Antonio Stella in un articolo recente) abbocca a ogni ipotesi di complotto, scagliandosi contro la stampa che censura; se la politica diventa ufficio di collocamento per cittadini arrabbiati e squattrinati, a cui qualcuno ha raccontato che la rappresentanza istituzionale non serve più, che basta pigiare “invio” o mettere una croce per legiferare, che il parlamento va occupato, che la gente deve “andare a comandare”… Se questo è il Paese reale, un problema c’è. E non l’ha inventato Facebook.

La faccina arrabbiata di Facebook, la più usata dagli haters

La faccina arrabbiata di Facebook, la più usata dagli haters

Con Brexit alle spalle e a un mese e mezzo dal Referendum Costituzionale, il tema della democrazia diretta torna a chiedere una riflessione. L’insistenza quasi ossessiva con cui si sventola la parola “democrazia”, anche e soprattutto fra certi ambienti populisti (che di democratico hanno ben poco), sembra suggerire un cortocircuito: andiamo perdendo ciò che crediamo di tutelare. Cercare la libertà e insieme non sostenerne il peso.
La dittatura della folla è la più grande perversione, la più amara contraddizione che possa partorire un popolo. Tiranno di se stesso, eccolo consegnarsi alla propria inadeguatezza e alla furbizia dell’ultimo burattinaio che gli fabbrica l’ultima illusione. E se la battaglia per la democrazia costa fatica – ed è una cosa quotidiana, un lavoro su se stessi, il coraggio di affidarsi – la sua pantomima virtuale è facile, veloce, senza sforzo. Ne sa qualcosa il soldato Napalm, con le sue medaglie immaginarie, col suo divano, le sue imbecillità e la sua rabbia scritta in maiuscolo, tra punti esclamativi e status al veleno. Una maschera tragica, malinconica, come nella migliore tradizione comica popolare.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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