Addie Wagenknecht e l’arte della sorveglianza
Controllo e sicurezza sono temi quanto mai attuali. L’artista americana Addie Wagenknecht mette in relazione sorveglianza e tecnologia, servendosi del sistema CCTV per mettere in crisi l’idea di privacy e tranquillità associata a esso.
Se si dovesse scegliere un oggetto iconico che racchiuda in sé il desiderio di soddisfare un bisogno di sicurezza, sarebbe di certo una camera di sorveglianza. Le videocamere a circuito chiuso, o CCTV, sono state infatti impiegate massicciamente a livello globale per sorvegliare luoghi pubblici o privati; riassumono le contraddizioni di quel bisogno di sicurezza che trova appagamento nel controllo, evocando una sensazione di voyeurismo in cui la presenza di uno sguardo autoritario arriva a compromettere l’idea stessa di privacy.
Da qualche anno l’artista americana Addie Wagenknecht (Portland, 1981) ha iniziato a utilizzare camere di sorveglianza come elementi costitutivi delle proprie opere. L’artista si occupa principalmente di temi come la pervasività della tecnologia nel mondo contemporaneo, combinando la propria personale ricerca estetica con un approccio fedele all’etica hacker e un’attitudine per un’arte concettuale dai risvolti socio-politici.
Liminal Laws by Addie Wagenknecht from stichting MU on Vimeo.
SORVEGLIARE IL VUOTO
Nei sui lavori le CCTV sono state utilizzate per creare dei distopici lampadari dall’estetica barocca (Asymmetric Love, 2012) o sono state ricoperte di oro, argento e diamanti (Collateral Youth, 2013). Più recentemente, in occasione della mostra Liminal Laws, Wagenknecht ha presentato un nuovo lavoro intitolato While you were away. L’opera è un livestream di video di sorveglianza prodotto da un software programmato per mostrare unicamente i momenti in cui in questi luoghi non viene rilevata alcuna presenza umana. Ci si trova così a osservare uno spettacolo vuoto, in cui si vive in perenne attesa di qualcosa che potrebbe accadere ma che resterà sempre nascosto ai nostri occhi. I video sono prelevati da siti che offrono servizi online con uno scarso livello di sicurezza: l’artista è riuscita ad avere accesso a questo materiale semplicemente utilizzando gli username e password standard forniti inizialmente del gestore del servizio. Una banale operazione che mette improvvisamente in crisi l’idea di sicurezza e di privacy normalmente associata all’utilizzo di strumenti come le videocamere di sorveglianza.
Matteo Cremonesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati