La seconda edizione del Media Art Festival ritorna allo spazio D del Maxxi, affollato di opere. Diretto da Valentino Catricalà, il festival riunisce diversi lavori e iniziative, promosse dall’organizzazione Mondo Digitale, la cui “mission” è la diffusione del digitale attraverso le strutture didattiche. Molto spazio viene quindi dato all’interazione fra il festival e le scuole e strutture didattiche in cui dei giovani artisti sono stati chiamati a sviluppare progetti con gli studenti. Il lavoro di Gair Dunlop, Yellowcake, è una videoinstallazione multicanale che aggrega documentazioni filmiche/video dagli Anni Cinquanta su fenomeni scientifici, tecnologici, militari e politici, confrontandoli con il concetto di moderno.
L’americano Joseph Delappe è autore di Gold Gandhi, forse il lavoro più ambizioso del festival: un’installazione interattiva dove un tapis roulant collegato a un videogame (Delappe è fra l’altro un insegnante di Games and Tactical Media) consente di percorrere i chilometri fatti da Gandhi nella sua famosa marcia della non violenza. Il percorso (il tapis roulant non è azionato elettricamente) diventa concreto nella fatica fisica attraverso l’uso della realtà virtuale. Ritorna l’interplay fra virtuale e reale come negli esperimenti all’inizio della sperimentazione col virtuale stesso, allora interessata all’esperienza d’immersione 3D, come Maurice Benayoun nel suo lavoro per il Cave Digital Safari.
VIDEOINSTALLAZIONI E 3D
Degna di nota (come sempre il suo lavoro) la videoinstallazione Salted lake di Sigalit Landau, l’artista israelita che, con installazioni e video, ha esposto anche nel padiglione di Israele alla Biennale di Venezia. Un paio di scarponi militari sono stati ricoperti di sale per mezzo di un’immersione in un lago salato e poi ricollocati sulla superficie ghiacciata di un lago vicino a Danzica, dove il sale fonde il ghiaccio facendo sprofondare gli scarponi militari nell’acqua. S’indovinano molti riferimenti al di là del semplice fatto fisico, memorie non precisate delle origini est-europee di Landau, la memoria dell’eterna guerra in cui anche lei è stata soldato.
Interessanti anche i video dell’iraniano Ahmad Nejad, artefice di un “realismo magico” inserito nelle sue considerazioni sul quotidiano, oppure la “meteo/ricerca” della russa Kristina Paustian, che offe una riflessione sulla minacciata (e minacciosa) scomparsa del Polo Nord, rappresentata come un lento zoom attraverso ghiacci in 3D. Stanza, ottimo e storico media/artista inglese, presenta un video sulle sue performance di raccolta di dati, The Binary Graffiti Club, dove su grandi schermi cittadini si proiettano le raccolte di dati, privacy e informazioni presi dal Web sulla città stessa. The Naked City è il titolo di un famoso noir Anni Cinquanta, e il risultato di denudamento, seppur meno drammatico, funziona qui come nel cliccare un download e farne esplodere i contenuti.
RESIDENZE DIGITALI
Un capitolo a parte merita l’iniziativa di ospitare artisti per residenze creative all’interno di Mondo Digitale, i cui prodotti sono poi esposti nel festival stesso. Come la sopracitata Cristina Paustian o come Simone Pappalardo, che presenta uno dei lavori più riusciti del settore “sound-making”: contenitori di vetro di varie forme e dimensioni trasmettono segnali attraverso una semplice variazione di temperatura in modo da ottenere una varietà “orchestrata” di suoni. Yannis Kranidiotis propone una “gabbia percettiva” per provocare suoni e luci con i nostri movimenti nelle strisce di luci Led, un’installazione semplice e indovinata, che comunica felicemente col pubblico. Di Chiara Passa Inside the Geometry, un’installazione sulla visione virtuale che pone il problema del visore e delle sue possibilità. Numerose le istituzioni e le organizzazioni presenti, dal festival norvegese di Stavanger all’organizzazione Carma, all’Accademia di Roma, Regione Lazio, Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Comune.
– Lorenzo Taiuti
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