Nasce Acute Art, piattaforma che promuove la realtà virtuale per gli artisti
Previsto in autunno il lancio di una nuova società che promuove l'uso della realtà virtuale da parte degli artisti. I primi nomi coinvolti sono tre giganti dell'arte contemporanea. Ecco cosa hanno realizzato.
La realtà virtuale è tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni dopo un lungo periodo di silenzio. Grazie a una serie di avanzamenti tecnici, e soprattutto grazie al lancio sul mercato di piattaforme che rendono il suo utilizzo accessibile anche a piccole aziende e singoli utenti, questa tecnologia sta vivendo un momento di grande vitalità, sia a livello mainstream (con produzioni cinematografiche, videogiochi e prodotti d’intrattenimento), che in ambienti più underground, dove si sperimentano le possibilità meno ovvie dello strumento. Non mancano le sperimentazioni artistiche, che coinvolgono sia personalità già impegnate da tempo nel campo della new media art (è il caso di Jon Rafman e Rachel Rossin), sia artisti magari meno addentro al mondo delle nuove tecnologie, che sono però alla ricerca di nuove declinazioni per la propria ricerca (pensiamo a Mat Collishaw oppure a Bjork). Ci sono poi le iniziative portate avanti dalle grandi aziende, che mettono i propri prodotti a disposizione degli artisti con risultati che si limitano nella gran parte dei casi a degli elaborati spot, con nomi più o meno noti del mondo dell’arte arruolati come testimonial. È il caso di Tilt Brush, il pennello virtuale di Google per il cui lancio sono stati coinvolti artisti come Robin Rhode e Su Xun, che hanno realizzato progetti ad hoc durante la scorsa edizione di Art Basel Hong Kong.
ARRIVA ACUTE ART
Grazie alla nuova start-up inglese Acute Art, approdano ora nel mondo della realtà virtuale anche Jeff Koons, Marina Abramović e Olafur Eliasson. I tre artisti, che sono senz’altro tra le personalità del settore più famose al mondo, sono stati invitati a concepire un’opera inedita utilizzando la realtà virtuale, sostenuti da un team di tecnici che li ha aiutati nel processo di realizzazione. Si tratterebbe, almeno da quello che si evince dal trailer, di una casistica ancora diversa rispetto a quelle sopra riportate. In questo caso, infatti, sembra quasi che gli artisti abbiano cercato di “tradurre” il loro lavoro per la piattaforma tecnologica scelta. Koons ha portato nello spazio simulato una versione digitale della sua Ballerina, una scultura recentemente installata al Rockfeller Centre di New York. In Phryne, questo il titolo del progetto, la danzatrice è però un’entità in movimento che guida lo spettatore nel mondo virtuale fungendo da “memento” della sua presenza: “Ho sfruttato la superficie riflettente di Phryne per portare l’affermazione del sé nel mondo virtuale. Il fruitore può vedere il riflesso di se stesso. Lei afferma che la tua presenza è reale, che tu esisti”, ha commentato l’artista americano. Marina Abramović ha invece scelto, com’è sua consuetudine, di inserire se stessa all’interno dell’opera, grazie a un avatar che riproduce con esattezza le sue sembianze.
IL PROGETTO DI MARINA
Il progetto, intitolato Rising, è un commento sui rischi del global warming, portato avanti attraverso il coinvolgimento diretto dello spettatore: “il progetto vuole offrire alle persone un’occasione per empatizzare con chi è colpito dagli effetti di questa crisi”, spiega l’artista serba. Infine, c’è Rainbow di Olafur Eliasson, un tentativo di trasporre l’esperienza della visione di un arcobaleno nello spazio virtuale. L’obiettivo viene raggiunto soltanto se lo spettatore si muove correttamente, e la ricerca dell’arcobaleno ha una dimensione collettiva: più persone possono collaborare alla costruzione dell’esperienza. L’artista ha commentato: “sono sempre stato interessato al modo in cui noi co-produciamo la realtà. La realtà virtuale ha la potenzialità di diventare una piattaforma per sperimentare nuovi modi dell’esperienza solo se includiamo il corpo nel lavoro. Non credo all’idea di poter abbandonare il corpo”.
-Valentina Tanni
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