Reti didattiche. Il segreto della Tate Modern
Il colosso museale britannico offre al suo pubblico anche un sito agile e ben organizzato: dalla storia dell’arte contemporanea inglese a quella del museo stesso, senza dimenticare i racconti in prima persona degli artisti.
“La nuova Tate è la più evidente testimonianza di ciò che il Paese può fare quando rimaniamo aperti al mondo delle idee e delle culture”: così dichiarava il potente chairman Lord Browne, pochi giorni prima del referendum sulla Brexit in Inghilterra. Nonostante i risultati politici, la Tate Modern offre un modello, capace di esprimere la possibilità/necessità della cultura di rimanere aperta al mondo delle idee.
A diciassette anni dalla sua inaugurazione (e a pochi mesi dal varo della sua estensione), è tra i musei d’arte contemporanea più visitati al mondo, un primato raggiunto grazie al sostegno di efficaci politiche gestionali, culturali ed economiche. Nessun miracolo, ma la passione e il gran lavoro, dal 1988, di Nicholas Serota, oggi presidente dell’Arts Council England, che a inizio anno ha lasciato il testimone a Maria Balshaw. La suggestiva centrale elettrica sul Tamigi, la Bankside Power Station disegnata da Sir Giles G. Scott, costruita per sostenere i cambiamenti dello sviluppo economico degli Anni Trenta, oggi – come se fosse segnata dallo scopo per il quale fu edificata – continua a essere motore economico e fonte primaria di un altro tipo di energia: quella culturale.
UN SITO EFFICACE
Con l’apparente semplicità che nasconde un grande progetto, il sito web della Tate Modern è un divulgatore d’informazioni sull’arte, con un taglio legato al percorso dell’arte inglese contemporanea e alla storia espositiva del museo. Da Art&Artists, l’accesso a un glossario con spiegazioni essenziali, video, album d’immagini unite da parole chiave accompagnate da brevi note, dove può capitare di vedere la foto di Paul Almásy (Louvre, Paris 1942), per fare considerazioni amare sulla storia che si ripete. Un sito agile per i neofiti dell’arte, ma anche ricco d’immagini. Artisti e percorsi da intrecciare, come accade guardando la foto della mostra di Robert Rauschenberg alla Whitechapel Gallery di Londra, nel marzo del 1964, che precede il clamoroso sbarco della Pop Art a Venezia, con le polemiche per l’assegnazione all’artista del Gran Premio Biennale.
ARTISTI D’ARCHIVIO
Nell’archivio, poi, la più significativa raccolta di voci d’artista, dal 1973 al 2006, a opera di William Furlog, che nel 1973 creò Audio Arts, rivista sonora pubblicata su audiocassette. Contributi esclusivi; più di novecento artisti, da Beuys a Tracey Emin a Warhol, dialogano senza troppi preamboli, raccontando il loro lavoro. Da non tralasciare i contributi sulle esposizioni nella Turbine Hall: uno spazio trasformato di volta in volta da grandi artisti, che di certo non si dimentica. Guardare per credere il recente intervento Anywhen di Philippe Parreno, dove le reazioni di microscopici organismi, tramite impulsi trasmessi da vento, calore e luce, mettono in atto continue trasformazioni dello spazio.
Da ultimo, in un video c’è il racconto dell’esperienza come ricerca della totalità racchiusa in un frammento, qui mostrata, sulle note di Bach suonate da un violoncellista, dal compianto Jannis Kounellis nell’opera Untitled (1971-2009).
‒ Adele Cappelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36
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