Intervista a Sushisyrup. L’archivio di immagini che fa impazzire Instagram
Parola all’ideatrice dell’account Sushisyrup, vera e propria rivelazione di Instagram, con oltre quattromila follower. Il segreto? Un archivio di immagini in costante espansione, frutto di sottili, e ironiche, connessioni estetiche, visive, concettuali.
Preso atto dello sconfinamento del mondo dell’arte visiva all’interno di quello dei social network siamo rimasti piacevolmente sorpresi quando abbiamo scoperto su Instagram l’account di Sushisyrup, un profilo che, seguito da più di 4mila follower, mette a disposizione di chiunque un vastissimo archivio visivo caratterizzato da sottili connessioni, estetiche e concettuali, capaci di unire ironicamente tra di loro ogni immagine selezionata. Per comprendere meglio sia il particolare modus operandi che l’intero processo, abbiamo rivolto qualche domanda direttamente alla fautrice di questo imprevedibile progetto.
Sfogliando bene la tua pagina, la prima cosa che salta all’occhio è che sei un’inesauribile ricercatrice di immagini che spesso però attingono da un immaginario collettivo che affonda le radici non solo nel web, ma soprattutto nel cinema, nella televisione, nella cultura pop e nei registri propri dei videoclip. L’impressione è un po’ quella di imbattersi in un incredibile atlante iconografico, una sorta di Mnemosyne 2.0… Che influenza può aver avuto su di te un personaggio come Aby Warburg?
Sono sempre stata affascinata dalla forma dell’archivio e ho sempre ammirato artisti come Warburg o Richter. I loro lavori sono ossessivi e di un notevole impatto visivo e io cerco soprattutto quello. Ovviamente il media è diverso, ma quello che mi ha influenzato di più è il potere che le immagini riescono a creare se accostate in un determinato modo e la lettura che si riesce a trasmettere a livello visivo.
Sembrerebbe quasi una trasposizione, in chiave statica, dell’effetto Kulesov.
Senza che Kulesov si offenda, direi di sì. Cerco di mantenere attivo il collegamento tra le immagini in modo che gli utenti siano sempre più invogliati a continuare e capire la mia ricerca e a visionare tutti i contenuti pubblicati, lo scopo è quello di far riflettere anche solo per un attimo quanto, secondo la mia visione, certe immagini siano visivamente simili anche se di contenuto opposto, e di stimolare in qualche modo lo spettatore che si imbatte nel profilo.
Proprio dalle informazioni personali del tuo profilo si legge che ti definisci “visual fartist”, qual è la differenza tra “art” e “fart” e quanto conta l’ironia nella tua ricerca?
L’ironia è molto forte nei contenuti che cerco ed è una sfida ambiziosa mettere in relazione così tanti elementi. Se non ci fossero certe immagini, penso che le connessioni si riuscirebbero comunque a trovare per cui l’aspetto ironico è solo un valore aggiunto. Scelgo certe immagini perché si identificano subito e attirano l’attenzione ed è divertente lavorare in questo modo. “Visual fartist” appunto perché voglio che l’aspetto ironico sia messo in chiaro fin da subito, ma che poi venga smentito se ci si concentra sulle associazioni visive. La differenza tra “art” e “fart”, nel mio caso, sta a chi visualizza il profilo e alla lettura che ognuno dà.
Contano anche la leggerezza e il senso di evanescenza che contraddistingue le selezioni?
Sicuramente. In molti mi hanno chiesto, soprattutto all’inizio, il vero senso di sushisyrup in quanto non trovavano correlazione solo perché si concentravano su ciò che l’immagine rappresentava. La leggerezza delle immagini è d’aiuto per scardinare il contenuto in modo che si possa perdere completamente e dare spazio a una visione complessiva.
La prima immagine caricata nel tuo account, risalente al 15 febbraio scorso, riguarda una gallina viva all’interno di una pentola, come mai questa scelta? Assodato che Instagram si presta perfettamente al tuo archivio, viene però da chiedersi se esso avrebbe avuto lo stesso senso in assenza di questo social. In poche parole: è nato prima il tuo progetto o la gallina?
Il profilo inizialmente doveva essere una specie di b-side del mio account personale dove potevo caricare delle immagini non prodotte da me.
Ho scelto delle immagini a caso, ma fin da subito mi sono accorta che le pubblicavo secondo un ordine e così è nato il progetto che si è costituito man mano che condividevo le immagini. Per cui sì, è nata prima la gallina e poi il sushi.
Guardando attentamente la scelta delle immagini, si capisce che spesso il filo conduttore comune non è dettato esclusivamente da certe iconografie, da un approccio estetico, cromatico o formale, ma anche da associazioni di idee e conoscenze pregresse. Ti va di spiegarci come, e quando, avvengono precisamente le tue selezioni? Ti avvali anche della collaborazione di qualcun altro per le tue cernite?
Da quando il progetto è attivo, faccio un’ulteriore attenzione alla forma di qualsiasi immagine mi passi davanti. Procedo sia per associazioni visive che per somiglianza, cercando di trovare un collegamento e discostandomi il più possibile dal contenuto. Cerco quasi esclusivamente su Google, il quale mi aiuta con le immagini correlate e in base a quello che trovo penso a quello che già so, facendo riferimento ai miei ricordi e conoscenze. Appena mi vengono in mente certi contenuti che per me possono funzionare li tengo in sospeso e, non appena ho una triade, passo alla condivisione. Non ho nessuno che mi aiuti, anche se molti follower mi mandano delle immagini che se trovo coerenti carico.
Ti affidi anche a particolari algoritmi?
Non ho uno schema ben preciso, il più delle volte ciò che penso inizialmente non è mai quello che poi carico. Cerco di andare oltre a dei collegamenti che potrebbero risultare palesi e al tempo stesso accostare delle immagini scontate. Ogni giorno è una ricerca diversa.
Cos’è allora che accomuna Marilyn Manson ai Teletubbies, Michelangelo a Uma Thurman o Marina Abramović al Gabibbo?
Se visti accostati hanno un senso, presi singolarmente probabilmente niente, personalmente posso parlare ore della loro potenza estetica e di quanto mi abbiano influenzato fin da bambina, ma penso che i risultati si siano visti!
Sembra quasi impossibile scindere il tuo progetto da un discorso prettamente digitale: come avviene la fase di archiviazione? Quanti dischi esterni usi (se li usi) per contenere tutto il materiale che trovi?
Faccio tutto con il telefono, che per fortuna ha molto spazio libero, ma salvo anche degli elementi direttamente da Instagram, soprattutto sulla parte “esplora”.
Nel suo Diplopia lo storico e teorico Clement Cheéroux parla tanto, soprattutto in merito alla vicenda dell’11 settembre, dell’importanza, da parte di un’immagine, di essere ridondante proprio per poter meglio veicolare un significato ben preciso. “Scrollando” la tua pagina può capitare di percepire questa sorta di déjà-vu visivo che, tendenzialmente, può rendere l’intero progetto infinito (nonché consultabile sia dall’alto verso il basso e viceversa). Cosa potrebbe determinare la fine di questa ricerca? Ci pensi mai?
Instagram è perfetto proprio per questo motivo. Le foto provengono esclusivamente da Internet e fino a che ci sarà io continuerò la mia ricerca e se dovessi arrivare a collegare la foto iniziale, quella della gallina, andrò avanti cercando una diversa associazione. Non penso mai a una fine e questo mi spinge a cercare sempre più ossessivamente nuove immagini mischiate a quelle più iconiche.
Con Internet la concezione (e la stessa percezione) dell’immagine è completamente cambiata. Rivolgendo il pensiero soprattutto a un fenomeno come quello dei memes, delle emoji o degli sticker su Telegram, come si configura la tua idea a riguardo?
Ovviamente non posso negare di usare questo tipo di comunicazione anche se sarò per sempre fedele alle emoticon. Per quanto riguarda i memes, penso abbiano rivoluzionato l’intrattenimento essendo di comprensione veloce e quindi virali. Penso anche che siano delle meteore. E che per fortuna se ne stanno vedendo sempre meno. E che non debbano essere usate in ambito politico o commerciale.
Pensando a recenti esperimenti grafici, come ad esempio l’ormai virale copertina del disco The life of Pablo di Kanye West, qual è secondo te il vero valore di un’immagine oggigiorno? Davvero un’immagine vale l’altra?
Il vero valore sta nel darlo, in quanto siamo noi che diamo un giudizio a ciò che vediamo e lo facciamo diventare rilevante ai nostri occhi, per cui un’immagine vale l’altra solo se la si vede in modo passivo. Il problema è che siamo circondati costantemente da immagini e non siamo più capaci di impressionarci o stupirci, considerarle di qualità o meno, sta a noi capire quanto possa essere importante.
Per concludere, come sintetizzeresti le sensazioni ricevute da questa intervista con un’immagine del tuo archivio?
‒ Valerio Veneruso
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