Scontato dire che oggi viviamo in una società complessa, visiva, rumorosa, fatta di intrecci, incroci, tessere e tasselli. È evidente. Il nostro vivere quotidiano ce lo racconta continuamente. Poi ce lo scordiamo e quella complessità ci distrae, ci deconcentra, ci affatica e talvolta non cogliamo appieno ciò che accade. Questo vale anche per l’informazione e la conoscenza.
Più semplice, forse, è stata l’epoca dei soli media di massa che ci proponevano, e propongono, una conoscenza broadcasting, dall’alto. Messaggi preselezionati che definiscono la nostra agenda delle priorità. Un medium per tutti: la tv. Cattiva maestra tv, ha detto Karl Popper. La tv non sempre è stata cattiva maestra. Ha formato una generazione offrendo possibilità di crescita, di miglioramento. Poi, forse, la deriva.
Ad arginarla, uno straordinario evento, improbabile fino a pochi anni fa, diventato centrale oggi. La rete, per essere più precisi il web. Da allora qualcosa è davvero cambiato. Informazione più partecipata, engagement del cittadino, democrazia dell’informazione e della conoscenza, ma non ancora vero superamento del broadcasting.
È avvenuto uno straordinario cambiamento che non ha cancellato la buona e cattiva maestra tv, che è viva e operativa. L’88% degli italiani si informa a partire da essa. È però sostanzialmente cambiato il suo ruolo. La guardiamo con maggior distacco, in modalità differenti, su device diversi – non solo sul televisore –, lo facciamo in movimento, ci sono emittenti tv che appartengono a testate giornalistiche di carta, che trasmettono per soli supporti digitali. Abbiamo la possibilità di costruire la nostra informazione connettendo messaggi che provengono da diverse piattaforme e device, il nostro patchwork mediale, metafora che spiega la possibilità di non dipendere da un solo medium, la capacità di mettere insieme una propria agenda, di scegliere e catturare informazione in differenti contesti politici, culturali e sociali. Insomma, è una bella coperta fatta di pezzi, non necessariamente omogenei, che andrà a configurare un’immagine unica che appartiene – determinatamente – a noi. Non un puzzle con le sue tessere predefinite che dobbiamo collocare nel modo predisposto da chi l’ha progettato, altrimenti l’immagine non corrisponde.
“Soprattutto all’orizzonte intravedo il rischio di un nuovo mainstream. Ci adoperiamo a costruire la nostra coperta mediale ma questa abilità, con competenze talvolta più professionali o forse solo più strategiche, l’hanno le organizzazioni di emissione che costruiscono un loro patchwork”.
Nel patchwork non ci sono obblighi. L’immagine non sempre sarà chiara, ma è la nostra. E questo è possibile grazie ai tanti media e al web che abbiamo a disposizione.
Dunque è la vittoria della libertà della informazione e della conoscenza? Non esattamente. Siamo più liberi, abbiamo un’opportunità di scelta mai conosciuta prima, ma quella complessità, cui accennavo all’inizio, non facilita il nostro lavoro selettivo. La conoscenza si costruisce autonomamente ma talvolta senza confronti necessari e mediazioni valide. Soprattutto all’orizzonte intravedo il rischio di un nuovo mainstream. Ci adoperiamo a costruire la nostra coperta mediale ma questa abilità, con competenze talvolta più professionali o forse solo più strategiche, l’hanno le organizzazioni di emissione che costruiscono un loro patchwork (seppur somigliante di più a un puzzle) che ci raggiunge definendo così un modello di comunicazione di massa di nuovo tipo.
Senza sottovalutare le nostre capacità e possibilità, dobbiamo concentrarci e non distrarci in tanta complessità. Cultura, formazione e competenza saranno le parole chiave per difenderci dal nuovo mainstream e non delegare le nostre scelte ad altri o magari a un algoritmo.
‒ Lella Mazzoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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