Net Art vs Google. L’editoriale di Lorenzo Taiuti
Gli artisti all’opera con le tecnologie digitali sono sempre meno disposti a tollerare le ingerenze di Google e affini nell’esistenza di tutti i giorni. Denunciando il sistema di controllo che sostiene anche gli stessi musei.
Strano momento, questo, per i linguaggi digitali. Cresce il fastidio per la pesante conversione delle strutture organizzative (una volta innovative) in inquietanti superpoteri di monopolio e controllo. Ad esempio Amazon, che cresce invadendo ogni possibile campo e mettendo a rischio quella stessa industria editoriale che era la sua “mission” iniziale come rilancio del sistema distributivo e trasferimento del sistema promozionale del libro sulla Rete. Oggi è diventata un potere “dark” che si inserisce in ogni operazione speculativa a livello globale, gigante economico di cui non si riescono più a indovinare le direzioni e le intenzioni. Un mutamento denunciato in una performance-workshop svoltasi al festival Transmediale di Berlino, che apostrofa Google con un sonoro Google Fuck Off! (Rebel “Kiez” Vs. The Hyper-crapitalist Life-colonizing Colossus). E chiunque abbia a che fare con Google (cioè praticamente tutti) non può non condividere l’irritazione di trovarsi pattugliati e sorvegliati in ogni gesto digitale, con la sensazione inoltre che questa invadente “balia” ci accompagnerà dalla culla alla tomba senza mai smettere di monitorarci e sottilmente influenzarci.
D’altra parte, nel campo della creatività digitale c’è uno sforzo evidente per sottrarre i linguaggi digitali alla velocità del consumo impresso dalla rapida obsolescenza di software e idee. Uno dei più interessanti hacker artist italiani, Paolo Cirio, aggiorna e rimette in circolazione alcuni progetti nati dalle analisi della Rete e basati su due estremi: la volontà di ottenere il massimo di visibilità attraverso i social network e il massimo di mistero sul “dirty business” attraverso dati criptati, databank nascosti e false identità. Daily Paywall, ad esempio, lasciava trapelare informazioni delicate sulle modalità di lavoro trattate da giornali come Financial Times e Wall Street Journal. Oggi il cambio di proprietà gli dà la possibilità di riaprire i siti contestati. Gli stessi musei, trattando l’arte digitale, si trovano ad affrontare tematiche ben lontane dalle passate “offese al pudore o al gusto”. Molta Net Art in questi anni ha presentato lavori che sono “offese” all’informazione, al segreto bancario, al segreto di Stato. Uno degli effetti è che il museo viene trascinato in un contrasto non etico-estetico ma politico-economico, molto al di là delle denunce contro la guerra e le disparità sociali e di genere. A questo punto i musei si trovano in situazioni al limite. Cosa faranno quando l’attacco alle grandi realtà comunicative toccherà l’area del finanziamento privato su cui tanti musei si sostengono?
‒ Lorenzo Taiuti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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