Il titolo di Romaeuropa Festival 2019 è Landscape, come un paesaggio da esplorare. E il paesaggio quest’anno cambia davvero: accanto a Digitalive e alle sue installazioni digitali si collocano le “arti visive” (la mostra propone tre figure assai diverse come Pascale Marthine Tayou, Yinka Shonibare e Hans Op de Beeck), e la stessa Digitalive privilegia azioni teatrali e performance. Riguadagnate le matrici teatrali e affermata la presenza dell’arte contemporanea, la kermesse mette al centro il suono e la performance, proponendo punti di vista diversi rispetto al passato. Affiancare le arti visive al digitale sarebbe stata tempo fa una provocazione, ma il movimento verso l’integrazione fra campi diversi si è fatto sempre più evidente. Per esempio all’ultima Biennale di Venezia, dove il padiglione Taiwan è digitale e a fianco di Ca’ Rezzonico un’installazione virtuale portava la firma di Marina Abramovič.
Qui i due campi si fronteggiano e mostrano la varietà delle possibilità d’impiego di materiali, come nel caso di Tayou, nel suo gargantuesco uso di materiali diversi, portando il multimediale all’interno della “materia”, delle cose e non dei pixel.
GLI ARTISTI
Fra i giovani sound&vision maker, Franz Rosati porta avanti il rapporto musica-immagine con immagini astratte, materiche e in continuo movimento. Enrico Malatesta pone la problematica del suono analogico che dialoga con la serialità del suono digitale, raccogliendo la sfida lanciata l’anno scorso da Ikeda con il suo doppio concerto, digitale il primo e analogico il secondo, dove si sfruttavano tutte le possibilità sonore dei piatti. Il giapponese Umeda ripropone una coreografia interattiva fra i segni scatenati dai programmi grafici digitali e i movimenti del danzatore che li coordina, li controlla e si confronta con loro, in una tempesta di segni e suoni, gesti e piccole apocalissi sonore. Si può approfondire ancora il rapporto fra il segno corporeo e il segno digitale, ma certamente il lavoro aggiorna delle idee che da tempo operano in questo campo. Marco Donnarumma, che da alcuni anni sembra unire la danza “Butho” alla performance digitale, lascia i suoi “a solo” per costruire un’azione con più persone e con maggiore materiale teatrale. Luci spettrali, figurine-amebe che si muovono biancovestite, incappucciate, desessualizzate e necrofile, legate a una società segreta a base di misteri sanguinari, e la trasformazione di una donna in cervo. In una società Post Atomica e Post Ecologica, dove si comunica con tremanti segnali con le dita, avendo perso i linguaggi vocali strutturati.
LUCI E MULTIMEDIALITÀ
La rassegna si apre poi alle scuole specializzate come il corso di Multimedia della RUFA romana. Il lavoro Migrations è interattivo e lo spettatore, identificato da un sensore, aziona con i suoi spostamenti una mappa che registra gli effetti degli insediamenti umani sugli spostamenti e insediamenti animali in diverse parti del globo. L’analisi ripercorre e ripropone i dati che la nuova cultura ecologica sta rendendo noti in molti modi. E fortunatamente anche in Italia si aprono spazi didattici che esaminano le possibilità creative del digitale.
Il gruppo Ultravioletto presenta Sonic Arms, una simpatica danza delle luci fatta da arti meccanici che muovono dei neon cilindrici come le danzatrici in un vecchio spettacolo di Broadway, o più esattamente, con riferimento alle danze di Oskar Schlemmer nelle ricerche Bauhaus, e alla luce, protagonista anche di tanta parte della ricerca futurista.
‒ Lorenzo Taiuti
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