Pavia: un report di Videogiocanda, sezione sul videogioco del festival Giocanda
Identità di genere, discriminazioni etniche, opportunità per stimolare i sensi, ma anche il videogioco come esperienza positiva, oltre il pregiudizio che lo vede pericoloso per i più giovani. Ecco cosa si è raccontato a Videogiocanda nel segno del tema “Inclusione ed esclusione”.
Videogiocanda è la sezione videoludica di Giocanda, festival pavese di gioco e spettacolo da strada nato per offrire e far conoscere un modo sano di giocare in quella che è stata definita “la capitale italiana del gioco d’azzardo”. Secondo gli ultimi dati, forniti dai Monopoli di Stato e relativi al 2018, ogni residente di Pavia ha speso in un anno 1800 euro nel gioco d’azzardo; non si tratta della spesa procapite maggiore registrata in Italia, ma è comunque preoccupante. Durante Videogiocanda, che si è tenuto il 5 ottobre, ci sono state sia conferenze indirizzate a chi magari non sa molto di videogiochi (o ha persino timore dei loro effetti) sia uno showcase organizzato dall’associazione Game Happens. Se volete approfondire, trovate su Medium, la webzine Papille, in cui ogni settimana Game Happens raccoglie articoli da tutto il mondo su videogiochi e cultura digitale. Qua di seguito, invece, trovate alcuni degli argomenti e dei videogiochi che sono stati portati a Videogiocanda, tutti incentrati su un tema: “inclusione ed esclusione”.
– Matteo Lupetti
BUTTAFUORI
Partendo da Papers, Please di Lucas Pope, un videogioco in cui interpreto un funzionario incaricato di verificare i documenti degli immigrati al confine di un immaginario Stato totalitario, Not Tonight di PanicBarn e No More Robots costruisce la storia di una persona immigrata dall’Europa e impegnata a fare da buttafuori nei locali di un Regno Unito post-hard Brexit governato dall’estrema destra. Quello che ne viene fuori è un interessante racconto sui rapporti tra la gig economy, l’immigrazione e il futuro del Regno Unito, che ogni giorno sembra più vicino alla distopia rappresentata nel videogioco. “Inclusione ed esclusione” sono davvero centrali in Not Tonight: il personaggio principale è contemporaneamente incluso nel ed escluso dal posto dove vive, e il suo lavoro (in quanto buttafuori) è decidere chi includere e chi escludere.
IL VIDEOGIOCO NON È SOLO “VIDEO”
Si chiamerà pure “video” gioco, ma questo non vuol dire che il “video”, lo sguardo, debba predominare sugli altri sensi (e dovremmo infatti parlare di “gioco digitale”). In Italia abbiamo a questo proposito il notevole esempio di IV Productions e Audiogame, che pubblicano e distribuiscono videogiochi destinati a ciechi e ipovedenti e sviluppati concentrandosi sull’audio. Durante Videogiocanda, la startup torinese Novis ha presentato invece Blind Console, una piattaforma per dispositivi mobili pensata per ospitare videogiochi fruibili tramite suono, movimento e tatto (vibrazioni) grazie a cuffie e a un apposito controller. Nello showcase erano inoltre presenti BlindSide di Aaron Rasmussen e Michael T Astolfi, un videogioco horror in cui chi gioca deve orientarsi solo con i suoni, e Blind Spot di Sam Friedman, ancora in sviluppo, un videogioco per dispositivi mobili pensato per essere giocato anche da persone cieche, ipovedenti, sorde o ipoudenti, in quanto unicamente basato sul tatto e sulle vibrazioni dello smartphone.
DONZELLE IN PERICOLO
È risaputo che l’ambiente dei videogiochi sia stato per lungo tempo considerato prettamente maschile: erano soprattutto uomini a guidare l’industria, a sviluppare i videogiochi e a essere scelti come pubblico dalle compagnie e dalla stampa di settore. Oggi, secondo i dati di AESVI (l’associazione di categoria di sviluppatori e editori italiani di videogiochi), il pubblico è invece ormai diviso quasi equamente tra maschi e femmine (va notato che mancano ancora dati per le persone di genere non binario). Come ha spiegato Marina Rossi di Game Happens nel suo intervento a Videogiocanda, negli ultimi anni anche la rappresentazione femminile all’interno del medium è migliorata, ma i videogiochi con protagoniste femminili restano pochi e le donne nell’industria sono ancora una minoranza, tra l’altro spesso lontana da ruoli di primo piano. Tra i videogiochi presenti nello showcase spiccava a proposito delle disparità di genere Two Interviewees (Due colloqui di lavoro) di Mauro Vanetti. In Two Interviewees due persone, un uomo e una donna, sostengono due diversi colloqui di lavoro dando le stesse risposte, e il videogioco mostra come queste risposte, scelte dal giocatore, siano interpretate e recepite diversamente dal potenziale datore di lavoro in base al genere con cui viene etichettata la persona che sta conducendo il colloquio. Two Interviewees è disponibile gratuitamente online.
LA PARABOLA DEI POLIGONI
Le opere di Nicky Case hanno la capacità di trasformare l’esplorazione di temi complessi in attività giocose, in cui l’interazione invita le persone a provare con mano i fenomeni raccontati. Parable of the Polygons del 2014 (un altro dei videogiochi inseriti nello showcase di Videogiocanda) spiega come da gesti semplici possano nascere tragedie come la segregazione su base etnica: è dalle piccole intolleranze degli individui che sorgono le grandi intolleranze della società. Parable of the Polygons è disponibile gratuitamente online.
TECNOFOBIA
Durante Videogiocanda la psicologa Viola Nicolucci, esperta del rapporto tra psicologia e nuove tecnologie, e lo psicologo Alessandro Pieri, presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Kósmos, hanno cercato di costruire una narrazione del mondo del videogioco alternativa a quella che troviamo normalmente nei media. A causa di una stampa generalista attenta al videogioco solo quando è utile ad articoli scandalistici (Nicolucci lo ha definito “mercato della tecnofobia”) e di un’affrettata inclusione di un non ben definito “gaming disorder” tra i disturbi mentali riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, i videogiochi sono ora causa di timori tra genitori e insegnanti. Si parla così di “dipendenza da videogiochi”, finendo per trascurare le cause (personali, ma soprattutto sociali) che portano le persone a cercare nei videogiochi una compensazione. “Il cyberspazio, essendo totalizzante, può aggravare problemi già esistenti” ha affermato Pieri. Soprattutto, si trascurano anni di studi che hanno per esempio ormai ripetutamente negato l’esistenza di correlazioni dirette e immediate tra videogiochi e violenza, e si ignorano tante storie positive che raccontano come il videogioco possa essere occasione di espressione, incontro e socializzazione.
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