Art City Bologna 2020: CUBO punta sull’arte di Alessandro Lupi

Parallelamente ad Arte Fiera 2020, si rinnova l’appuntamento con das-dialoghi artistici sperimentali, il progetto espositivo e culturale promosso dal Museo d'impresa del Gruppo Unipol. Tutte le novità della terza edizione raccontate dai protagonisti

A poco più di un mese dall’inizio di Art City Bologna 2020, Lorenzo Balbi torna a commentare il ricchissimo programma del circuito off della fiera bolognese, definendolo “privo di eguali su scala nazionale”. L’occasione è la presentazione di das-dialoghi artistici sperimentali, il format sviluppato da CUBO (il museo d’impresa del Gruppo Unipol) in concomitanza con Arte Fiera 2020. Per Balbi si tratta di un esempio virtuoso della fertile rete di istituzioni e soggetti attiva in città, che in particolare quest’anno è stata in grado di pianificare un calendario di opening accurato e gestibile. L’appuntamento cardine di das.03 è One too free. Specchi, ombre, visioni, la personale dell’artista genovese Alessandro Lupi inserita anche tra i main projects di Art City Bologna 2020. Curata da Ilaria Bignotti, costituisce la prima retrospettiva italiana dell’autore classe 1975, già da alcuni anni di base a Berlino. Quattro gli interventi installativi site-specific che andranno a comporre il percorso espositivo, in un itinerario distribuito tra spazi interni ed esterni di CUBO. Alla mostra è affiancato il Public Program das.03, coordinato da Federica Patti: dal 21 al 26 gennaio, si susseguiranno incontri e live performance.

Alessandro Lupi, border

Alessandro Lupi, border

UN GIOCO SERIO

“One too free: fin dal titolo la mostra si presenta come un gioco serio, un progetto che punta a mettere in discussione l’univocità del linguaggio e dell’immagine”, ha raccontato Bignotti, evidenziando come all’ascolto le tre parole rimandino a una successione numerica che viene in realtà smentita dalla lettura della parola scritta. Anziché di fronte a un susseguirsi di numeri, infatti, assistiamo a una “moltiplicazione semantica”. Mentre ‘one’ resta invariato, “‘too’ rimanda a un avverbio di quantità e ‘free’ evoca un’idea di libertà e liberazione”. I tre vocaboli identificano le principali traiettorie del percorso artistico di Lupi, con ‘one’, che “racchiude tutta la sua attenzione per il rapporto tra individualità e collettività. Per lui essere artista significa offrire un lavoro rivolto all’altro”, ha precisato la curatrice. Il ‘too’ attesta la ricchezza di direzioni sperimentate dall’autore, sempre accompagnate dall’impiego di materiali diversi, da una forte propensione alla manualità e dall’interesse verso la componente inventiva. Nel rapporto con la storia e con la critica, infine, si manifesta il concetto di libertà, pur nel confronto aperto con esperienze riconducibili all’arte cinetica e con artisti come Olafur Eliasson e Louise Bourgeois. Proprio questo atteggiamento libero è alla base del dialogo attivato da CUBO tra Alessandro Lupi e Concetto Pozzati. Alla figura del pittore scomparso due anni fa, Art City Bologna 2020 riserverà una speciale attenzione, con l’inserimento nel programma off del multiforme progetto, già in corso, curato da Elena Di Gioia e comprensivo degli spettacoli diretti da Angela Malfitano.

VISIBILE, INVISIBILE. PRESENZA, ASSENZA

In attesa di poter osservare dal vivo la monumentale Frammenti di realtà, un cono alto circa 25 metri “fatto pezzo per pezzo a mano con decine di specchietti”, Ombre, Seconds e Antiego negli spazi di CUBO, è stato lo stesso Alessandro Lupi a introdurre i confini concettuali delle quattro opere al centro della personale. Pur nell’autonomia dei singoli interventi, emerge una costante volontà di incoraggiare i visitatori a riflettere sulle canoniche categorie interpretative della realtà, dando vita a processi influenzati dallo scorrere del tempo, dalla mutevolezza delle condizioni climatiche, dalla posizione assunta dall’utente stesso e da altri fattori ancora. Antiego, ad esempio, pone l’individuo di fronte a “uno specchio che non permette di vedersi. Nel momento in cui una persona si avvicina per specchiarsi, il suo volto non è visibile. Al suo posto, una forma di luce tridimensionale. Lo specchio, tuttavia, consente di vedere gli altri”. In un certo senso, l’opera è “un lavoro collettivo, nel quale nessuno può riconoscersi, pur essendo visto dagli altri e vedendo gli altri. Una sorta di doppia intimità, che permette di sperimentare la liberazione dal proprio Ego, questa sorta di cane bulimico che ci portiamo dietro”. Soprattutto nell’attuale fase storica.

-Valentina Silvestrini

http://www.cubounipol.it/

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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