Nei primi Anni Zero l’artista Marisa Olson coniò il termine ‘Post-Internet’ per sottolineare l’importanza del web nella propria pratica artistica. Il neologismo descriveva un certo modo di fare arte che nasceva dopo essere stati online: Olson sosteneva infatti che la sua intera produzione, e non solo le opere Internet-based, fosse influenzata dall’esperienza quotidiana della Rete.
(S)FORTUNA CRITICA DI UN VOCABOLO
In poco tempo il termine conobbe una grande diffusione, arricchendosi di significati, interpretazioni, usi e abusi. Da descrittore di una condizione culturale si trasformò rapidamente in un’etichetta, facilmente applicabile a una generazione di artisti influenzata dalla cultura del web, ma il più delle volte estranea a qualsiasi approccio politico o critico.
Un caso emblematico è quello di The Jogging, progetto collaborativo lanciato da Brad Troemel e Lauren Christiansen nel 2009 incentrato attorno all’uso di un blog Tumblr. Attraverso il sito, un gruppo di artisti condivideva le foto di improbabili composizioni di oggetti presentandole come opere d’arte. In alcuni casi le immagini rimanevano dei collage digitali, altre volte sfondavano il limite dello schermo e venivano tradotte in singolari sculture. Il linguaggio digitale iniziava dunque a spostarsi offline, diventando una forma mentale attraverso la quale approcciare il mondo. E, come ha sostenuto Hito Steyerl, artista e teorica, Internet diventa ogni giorno più importante e potente proprio perché si sta espandendo anche offline. Allo stesso modo l’arte Post-Internet è entrata negli spazi espositivi fisici e nelle gallerie white cube con un’attitudine impensabile fino a un decennio prima.
D’altro canto, artisti e opere hanno dovuto spesso affrontare una critica insistente e impietosa, quella che li tacciava di essere un’arte leggera, a favore di obiettivo, che aveva come fine ultimo soltanto la produzione di una documentazione da far poi circolare online. Eppure forse non si trattava di una pecca, quanto invece dell’ulteriore affermazione, seppur di ritorno, della centralità della Rete. A ogni modo, il fenomeno Post-Internet ha vissuto un rapidissimo successo e un altrettanto rapido crollo, ma un merito gli va riconosciuto: quello di aver sdoganato la presenza di Internet – e, per estensione, delle tecnologie – nel panorama culturale dell’arte contemporanea.
INTERNET QUEER?
La questione che rimane aperta riguarda le possibili prospettive future: una questione complessa che apre a scenari poliedrici ed entusiasmanti. La fase presente è caratterizzata da una crisi che riguarda la Rete in generale, che si sta trasformando in qualcosa di molto diverso dalle intenzioni utopiche degli albori. Quali modelli di network si affermeranno nei prossimi anni? È possibile immaginarne di alternativi? Quali possono essere le conseguenze in positivo o in negativo?
Una risposta ha provato a fornirla Zach Blas con il progetto Contra-Internet (2014-18). L’artista americano, adottando l’approccio del filosofo Paul B. Preciado, immagina lo sviluppo futuro della Rete secondo una logica queer, che si smarchi dalla normalizzazione esercitata dalle forze di sistema, sociali, economiche, politiche e identitarie.
GRANDE È LA CONFUSIONE SOTTO IL CIELO…
In generale, il discorso culturale attorno ai temi della Rete è oggi estremamente allargato, tanto ampio quanto il ventaglio di funzionalità e problematiche che questa tecnologia porta con sé. I campi di indagine che si aprono sono molteplici: privacy e sorveglianza, social network e gestione e controllo di dati sensibili, lavoro digitale e immateriale, un linguaggio comunicativo in piena evoluzione fatto da meme e shitposting. Ma anche intelligenza artificiale e machine learning, così come la creazione di nuovi modelli di Rete, come nel caso di blockchain, che hanno già portato alla creazione di nuove monete, nuove forme di contratti e tanto altro ancora.
Più che di una crisi, quindi, si tratta di un momento di grandissima fioritura, in cui le possibilità e le prospettive sono molteplici e possono evolversi in modo imprevedibile e incontrollabile.
‒ Matteo Cremonesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #52
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