L’architettura e il videogioco. Doom compie 27 anni
In ventisette anni, il più celebre degli sparatutto in soggettiva ne ha viste delle belle. Non solo le tante versioni, più o meno ufficiali, ma anche le ambientazioni. Qui vi raccontiamo proprio come è evoluta l'architettura e l'urbanistica di Doom.
I primi “sparatutto in prima persona”, un genere di videogiochi incentrato sull’attraversare livelli in una visuale in soggettiva sparando con varie armi ai nemici, sono Maze War (1973) di Steve Colley, Howard Palmer e Greg Thompson del NASA Ames Research Center, e Spasim (1974) di Jim Bowery della University of Illinois at Urbana–Champaign. Ma è stata la compagnia id Software, nata nel 1991, a perfezionare la formula prima con Catacomb 3-D (1991) e Wolfenstein 3D (1992) e poi con Doom (1993), definendo quello che lo sparatutto in prima persona sarebbe stato negli Anni Novanta, prima di diventare più lento, realistico e narrativo. Doom è veloce, buio e viscerale, l’incontro perfetto tra il design di John Romero, il motore di gioco (il “Doom engine”) programmato da John Carmack, l’arte di Adrian Carmack, ispirata al body horror di Cronenberg e alle fusioni di carne e metallo di Hans Ruedi Giger, e la musica di Bobby Prince, ispirata a metal e hard rock. La trama, simile in tutti i giochi della serie, è una mera scusa: un soldato deve farsi strada tra i demoni che hanno invaso fantascientifiche basi su Marte e i suoi satelliti e chiudere i portali da cui provengono i nemici.
Doom ha contribuito al posteriore successo di videogiochi online come Fortnite di Epic Games e alla popolarità del modding, la creazione di versioni modificate (mod) di un gioco, per esempio con nuove mappe e livelli. La diffusione del codice sorgente del videogioco, nel 1997, ha permesso di realizzarne nuove versioni non solo compatibili con le macchine moderne ma anche capaci di cose impossibili al momento dell’uscita, e grazie a queste nuove versioni e alle sue mod Doom è tuttora giocato, espanso e rielaborato.
Nonostante Doom abbia lasciato un segno tanto grande, c’è un suo aspetto che non è mai stato davvero replicato: la sua architettura. Doom, e in generale lo sparatutto in prima persona, non nasce come tentativo di rappresentare in digitale lo spazio reale, ma come tentativo di rappresentare per la prima volta in 3D e in soggettiva lo spazio bidimensionale del videogioco. Il risultato è gli spazi di Doom non sembrano luoghi che potrebbero esistere nella realtà. “Il nostro cervello interpreta gli spazi in modo molto diverso da come interpreta le persone, non cerca precisi indizi e non rischia di trovare inquietanti [uncanny] le loro rappresentazioni digitali”, ci ha spiegato via email lo sviluppatore e appassionato di Doom JP LeBreton. “Tolleriamo e anzi apprezziamo molta astrazione, concettuale e visiva, nelle rappresentazioni dello spazio. E gli spazi creati dall’uomo non sono incisi così profondamente nella nostra psiche, perché alla fine costruiamo architetture solo da qualche migliaio di anni. Abbiamo una mentalità in qualche modo aperta riguardo a queste architetture, e l’architettura stessa è alla fine una conversazione con il possibile”.
Nell’anno di uscita dell’ultimo episodio, Doom Eternal, e della prima riedizione del dimenticato Doom 64, ripercorriamo allora la storia degli spazi di digitali di Doom.
– Matteo Lupetti
GLI SPAZI ASTRATTI DI DOOM
La prima mappa di Doom, Hangar, valorizza molte delle caratteristiche dell’architettura del gioco: finestre che mostrano spazi esterni (raggiungibili, perché secondo Romero uno spazio visibile deve essere anche raggiungibile), scale, soffitti e pavimenti ad altezze diverse e dalla forma irregolare, piattaforme che si alzano e abbassano, stanze non rettangolari, pavimenti (di acido o lava) che danneggiano il protagonista. Ma, nonostante si chiami “Hangar,” questa mappa non rappresenta in nessun modo un hangar. “Quello che chiamiamo ‘level design astratto’ è un modo di creare architetture che siano incentrate sulle meccaniche di gioco e sull’impatto visivo e che non provino a essere realistiche”, ci ha scritto John Romero via email. “La mappa è progettata per supportare una grande giocabilità e non assomiglia a qualcosa che vedresti nella vita reale. […] Le meccaniche di gioco che avevamo negli Anni Novanta erano molto innovative. Non dovevi aderire a un qualche realismo e quindi potevamo fare qualsiasi cosa, soprattutto per sorprendere chi giocava. Il realismo è costoso, e i giochi moderni che vogliono avere un aspetto realistico sono costosi, quindi il design delle mappe tende a essere molto più semplice per minimizzare i costi delle componenti artistiche e dei test”.
SPAZI CHE EVOCANO EMOZIONI
“Penso che [gli spazi di Doom] catturino una sorta di sensazione di oscurità o di minaccia che attende sotto la superficie”, ci ha scritto via email la musicista e critica Liz Ryerson. “Nella vita reale, spesso incontriamo spazi e architettura con aspetti piuttosto mondani e incapaci di catturare le emozioni e gli eventi che accadono al loro interno. Gli spazi di Doom, nei suoi momenti migliori, sono capaci di tirar fuori alcune di queste emozioni, emozioni che non è facile descrivere a parole”.
GLI SPAZI INTERCONNESSI DI DOOM
Doom propone spesso porte chiuse di cui bisogna trovare la chiave, o puzzle in cui tasti e meccanismi modificano e aprono altre zone della mappa, obbligandoci a tornare indietro in luoghi già visti e incoraggiandoci così a comprendere la natura interconnessa dei suoi spazi. Spesso, tornando indietro scopriamo che però gli ambienti sono cambiati: alcuni muri si sono aperti, liberando nei corridoi nuovi nemici che erano prima imprigionati nelle pareti.
L’EREDITÀ DI TOM HALL
Tom Hall, designer originale di Doom, voleva realizzare un’esperienza incentrata sulla narrazione e se ne andò quando il videogioco prese una direzione diversa. Restano però livelli iniziati da lui e caratterizzati da un aspetto più realistico e squadrato, da una piantina rettangolare e compatta pensata per imitare uno spazio reale e in cui percorsi segreti e opzionali riempiono gli spazi vuoti. Per completare i livelli iniziati da Tom Hall, e realizzarne altri da zero, id Software assunse Sandy Petersen, che rimaneggiò le mappe di Hall rompendone la progressione e aggiungendo texture (le immagini che coprono le superfici, come muri, soffitti e pavimenti) con abbinamenti caotici, incoerenti e sorprendenti. La tensione tra il design di Hall e quello di Petersen è il vero valore dell’architettura delle mappe di Doom: l’incursione di Petersen nelle mappe di Hall diventa l’incursione del caos demoniaco nella realtà.
DA UMANO A DEMONIACO
Doom è diviso in tre sezioni, chiamate “episodi”, e la successione tra questi episodi rappresenta, approssimativamente, il percorso del protagonista dal mondo umano (e fantascientifico) dell’orbita di Marte all’inferno. Dal primo episodio, Knee-Deep in the Dead (prevalentemente realizzato da Romero e caratterizzato dal grigio di computer e metallo), arriviamo al terzo episodio, Inferno (prevalentemente realizzato da Petersen e caratterizzato dal rosso della lava), passando attraverso la base sulla luna marziana Deimos del secondo episodio, The Shores of Hell (prevalentemente realizzato da Petersen sulla base di mappe di Hall), un luogo umano ormai assorbito in una dimensione infernale.
GLI SPAZI INFERNALI DI DOOM
Nella terza sezione di Doom, Inferno, dominano le architetture di Petersen e, quindi, l’inferno vero e proprio. Se Hall realizzava mappe dall’aspetto regolare e dalla pianta complessivamente rettangolare, Petersen andava in una direzione completamente diversa: la seconda mappa del terzo episodio, Slough of Despair, ha forma di mano. “Per le mappe che creavo da zero, prima pensavo a qualche trovata interessante per la loro narrazione interna o a un elemento che potevo inserire”, ci ha scritto Petersen via email. “Una volta che avevo la mia idea che definisse le fondamenta della mappa, iniziavo a lavorarci, solitamente facendo un’area alla volta. Provavo e riprovavo quell’area sin quando non mi sembrava andare bene, poi ci costruivo intorno e continuavo così. A volte iniziavo invece scontornando una grande zona e poi iniziavo a riempirla. Per esempio, lavorando a ‘Slough of Despair’ prima ho creato una mappa dalla forma di mano, poi ne ho riempito le zone intorno alla parte iniziale [il palmo] e nelle dita. Una volta che una mappa è più o meno completata, la rigiocavo dozzine, centinaia di volte, e ogni volta cercavo cosa potessi cambiare per renderla più interessante o pericolosa. Se vedevo un’area vuota cercavo di riempirla, ci mettevo un segreto o una trappola. A un certo punto, quando mi sembrava di aver finito, passavo a un’altra mappa. Ma dopo qualche settimana tornavo a giocare le mappe già completate una o due volte per vedere se c’era qualcosa da aggiungerci ora che era passato un po’ di tempo”.
GLI SPAZI APERTI DI DOOM
La sesta mappa del terzo episodio di Doom, Mt. Erebus, è l’unica mappa all’aperto del gioco, un’isola circondata dalla lava con edifici da visitare per arrivare all’uscita. Questo genere di mappe, con una progressione di edificio in edificio, torna anche in Doom 2: Hell on Earth (1994) e diventa la base per altri sparatutto, come Duke Nukem 3D (1995) di 3D Realms. Mt. Erebus valorizza anche la capacità dei mostri di Doom di muoversi liberamente nella mappa, andando alla ricerca del protagonista dopo averlo visto o sentito (Doom ha infatti un sistema che simula la propagazione del suono e le sue mappe son pensate per sfruttare questa funzionalità). Le mappe di Doom non sono solo una serie di combattimenti separati e distribuiti in stanze e corridoi, ma spazi continui.
UNO SPAZIO MOLTO SEMPLICE
La settima mappa di Doom 2: Hell on Earth, Dead Simple di American McGee e Petersen, è un’arena squadrata in cui il protagonista affronta due ondate successive di demoni. Questa arena a ondate funziona grazie a funzionalità introdotte da Carmack appositamente per questa occasione, e chi realizza versioni modificate di Doom 2: Hell on Earth può sfruttare queste stesse meccaniche nella settima mappa della sua campagna personalizzata. Approfittando di questa opportunità, arene ispirate a Dead Simple sono diventate una presenza stabile nelle mod di Doom 2: Hell on Earth.
GLI SPAZI UMANI DI DOOM 2
Nella sequenza delle mappe di Doom 2: Hell on Earth mancano una successione cromatica (il colore prevalente è sempre il marrone) e la tensione tra gli stili di Hall e Petersen, ma il gioco oppone umano e demoniaco portando lo scontro sulla Terra e proponendo per la prima volta nella serie spazi umani (invasi e corrotti dai demoni) non fantascientifici ma mondani: città terrestri, fabbriche, zone industriali e aree residenziali.
LE FORTEZZE DI THE ULTIMATE DOOM
The Ultimate Doom (1995) è una versione aggiornata ed espansa di Doom e aggiunge al gioco un quarto episodio, Thy Flesh Consumed. Thy Flesh Consumed è incentrato sull’azione pura e sulla difficoltà e, dopo i cieli e i muri rossi di Inferno, mescola nuovamente ambientazioni fantascientifiche e tecnologiche con legno, metallo e marmi verdi che delineano fortezze goticheggianti e demoniache.
CAOS E NATURA IN FINAL DOOM
Final Doom (1996) è un’espansione per Doom 2: Hell on Earth e raccoglie due campagne aggiuntive, TNT: Evilution di TNT Team e The Plutonia Experiment di Dario e Milo Casali. TNT: Evilution, come molti lavori della comunità di Doom, è ispirato soprattutto al primo episodio di Doom e al suo stile tecnologico e fantascientifico (detto “techbase”), ma aggiunge a queste mappe percorsi pieni di sorprese e di passaggi controintuitivi. The Plutonia Experiment è una delle campagne che ha maggiormente influenzato i successivi lavori della comunità e inizia con un percorso tra caverne naturali nascoste nella giungla e strutture ispirate alla Mesoamerica precolombiana.
GLI SPAZI INQUIETANTI DI DOOM 64
Doom 64 (1997) di Midway per Nintendo 64 spinge Doom verso atmosfere horror, con una colonna sonora ambientale e inquietante (composta da Aubrey Hodges), effetti di nebbia, colori che virano verso il verde, il blu e il viola, luci colorate e architetture goticheggianti. Le mappe contengono percorsi interconnessi e sovrapposti spesso costruiti intorno a uno spazio centrale, e ci sono trappole che lanciano dardi e torrette che sparano missili a ricerca automatica, pericoli ambientali ispirati a un altro videogioco realizzato sulla base di Doom e con la collaborazione di id Software, Hexen: Beyond Heretic (1995) di Raven Software, videogioco di ruolo fantasy in prima persona. “Nintendo non voleva solo una versione dei vecchi Doom per la loro console”, ci ha raccontato il responsabile del comparto artistico di Doom 64, Sukru Gilman, durante una chiamata su Zoom. “Rifacemmo tutta la parte artistica da zero, ma Nintendo era preoccupata che il gioco risultasse troppo spaventoso, dovevamo mantenere un equilibrio tra le loro richieste e quelle di id Software”.
LE ARENE VERTICALI DI QUAKE 3: ARENA
Dopo aver terminato Doom, Doom 2: Hell on Earth e le loro espansioni, id Software realizzò l’erede di Doom nell’era del 3D, Quake (1996). In Doom i livelli sono sempre costruiti su un unico piano: per quanto sia possibile avere pavimenti a diverse altezze non è possibile avere due piani l’uno sopra l’altro, come non è possibile saltare. Con Quake, id Software cerca di dare invece una nuova verticalità alle mappe, come vediamo nel primo episodio della serie pensato prevalentemente per il multiplayer, Quake 3: Arena (1999): le sue arene hanno più piani, piattaforme sospese, teletrasporti e trampolini che permettono di compiere salti più ampi.
GLI SPAZI REALISTICI DI DOOM 3
Doom 3 di id Software è un gioco dalla spiccata vena horror e molto più lento di Doom e Doom 2: Hell on Earth, sia a causa di un sistema di illuminazione dinamica particolarmente complesso ed esoso sia per influenza di una nuova tendenza di sparatutto in prima persona narrativi e cinematografici. Aumenta quindi lo spazio per la narrazione, e aumenta il realismo di combattimenti e ambientazioni: la maggior parte del videogioco è ambientata nella base su Marte (anche qui invasa da demoni), ma i suoi spazi sono realistici, lineari, claustrofobici, pieni di oggetti e arredi che impediscono i rapidi movimenti che in Doom e Doom 2: Hell on Earth sono fondamentali per schivare i proiettili. L’unico livello ambientato nell’inferno si oppone a questa tendenza (di nuovo, il demoniaco si oppone all’umano) con una mappa pensata unicamente in funzione dei suoi scontri.
GLI SPAZI DELLE MOD DI DOOM
Secondo LeBreton le caratteristiche prevalenti oggi nelle mod di Doom e Doom 2: Hell on Earth sono “grandi mappe non lineari, un gran numero di mostri, un’architettura e un aspetto visivo molto curati (ma sempre all’interno dell’estetica tradizionale di Doom) e la tendenza a evitare quella bizzarria che le persone associano con le opere della metà degli Anni Novanta. Scythe 2 [2005] di Erik Alm è considerato un’opera fondamentale da questo punto di vista, e un altro punto di riferimento è il più tardo Back to Saturn X [2012, di Back to Saturn X Team] (che, va notato, è perfettamente compatibile con la versione originale del gioco nonostante il suo stupefacente aspetto visivo)”.
LE MEGASTRUTTURE DELLE SLAUGHTER MAP
“Il trend delle slaughter map, che iniziò con la 32esima e segreta mappa di The Plutonia Experiment in Final Doom, Go 2 It, è basato su quantità assurde di mostri, in grandi gruppi, in modo da obbligare chi gioca a combattere, nascondersi, e sfruttare la possibilità di far combattere i mostri tra loro in modi molto diversi da come accade normalmente in Doom”, ci ha spiegato LeBreton. “Oggi le slaughter map sono un sottogenere ampiamente riconosciuto, e la campagna, non ancora completata, Sunder [2009, di Insane_Gazebo] è uno degli esempi più celebrati”. Siccome le slaughter map devono contenere un numero tanto elevato di nemici, le loro architetture tendono a essere colossali, con enormi spazi costruiti all’interno di megastrutture.
LE ARENE DI DOOM 2016
Le mappe del nuovo Doom di id Software, uscito nel 2016, non sono grandi spazi interconnessi come in Doom e Doom 2: Hell on Earth ma alternano arene in cui il protagonista deve sconfiggere ondate di mostri per poter proseguire e corridoi che collegano le arene tra loro. Queste arene sono un’evoluzione di Dead Simple di Doom 2: Hell on Earth e soprattutto delle mappe di Quake 3: Arena: nate inizialmente per la modalità multiplayer del gioco, le arene di Doom 2016 hanno verticalità, portali capaci di teletrasportarci in altre parti dell’area e trampolini. Sono costruite con oggetti riconoscibili ma, un po’ come gli spazi dei primi Doom, sono progettate unicamente in funzione dei loro combattimenti. Gli edifici umani di Doom 2016 alternano però queste parti più astratte a luoghi familiari simili a quelli di Doom 3, come bagni, sale di controllo e reception.
TRASFORMARE DOOM IN SUPER MARIO BROS
La mod Doom: The Golden Souls 2 (2018) dell’italiano Andrea “Batandy” Gory è uno degli esempi più interessanti di come la comunità abbia radicalmente modificato Doom negli anni. Pur essendo ancora un videogioco sparatutto, Doom: The Golden Souls 2 inserisce in Doom elementi da videogioco di piattaforme, quei videogiochi incentrati sul saltellare da una piattaforma all’altra come la serie Super Mario Bros. “Gzdoom [una delle versioni moderne di Doom] di base offre come [caratteristica non presente nel gioco originale] il salto”, ci ha spiegato Gori attraverso la chat di Facebook. “Quando lavorai a Golden Souls 1, decisi di sfruttarla senza modificarla, il risultato fu che il platforming [il saltare da una piattaforma all’altra] diede un’identità alla mod, ma allo stesso tempo risultò frustrante per i giocatori. Tuttavia una parte di loro era anche abbastanza di parte sul platforming in un[o sparatutto in prima persona, cioè pensava che non potesse funzionare], per cui mi sono posto come obiettivo provare che è possibilissimo creare un platforming piacevole in prima persona. Per il seguito, Golden Souls 2, ho deciso di incrementare l’altezza del salto e anche dare al giocatore più controllo del personaggio in aria, così facendo ho aggiunto una verticalità dei livelli mai vista prima in una mod di Doom”.
I CORRIDOI DI DOOM ETERNAL
Il cambiamento più importante nel passaggio da Doom 2016 al suo seguito Doom Eternal (2020) riguarda quello che succede tra un’arena e l’altra: se i corridoi di Doom 2016 sono principalmente collegamenti tra le sue arene astratte, gli spazi di attraversamento di Doom Eternal si arricchiscono di nuovi elementi, anche grazie a nuova abilità del protagonista che ne accrescono la mobilità e creano sia nuove opportunità nelle arene sia nuove possibilità di attraversamento dei livelli. Gli spazi tra le arene diventano allora più ricchi di nemici, di pericoli ambientali (lava, acido, tentacoli demoniaci che escono dal pavimento, gelatina che rallenta i movimenti, scariche elettriche, raggi laser, trappole e cannoni automatici) e costringono spesso a lunghe sequenze di salti tra piattaforme sospese, aste afferrabili e muri scalabili.
LO SPAZIO DI DOOM ETERNAL COME PUZZLE
Doom Eternal è, come Doom 2016, un percorso prevalentemente lineare tra arene e corridoi che le collegano. Ma entrambi i giochi, come Doom e Doom 2: Hell on Earth, inseriscono nelle mappe segreti opzionali da scoprire esplorandone attentamente gli spazi. Ecco che quindi esperienze che sarebbero prive dei puzzle che caratterizzano invece Doom, Doom 2: Hell on Earth e, soprattutto, Doom 64, presentano comunque i loro spazi come enigmi da risolvere. In Doom Eternal capita spesso di poter vedere a occhio nudo o sulla mappa nel menù del gioco la posizione di un segreto, e di dover però ragionare su come riuscire a raggiungerlo combinando conformazione dello spazio architettonico e abilità del protagonista.
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