Monologhi al Telefono raggiunge Paolo Canevari (Roma, 1963), figlio, nipote e pronipote d’arte. Con questo enorme carico “sulle spalle”, sin dal 1988 ha avviato una ricerca artistica che, pur attingendo da un immaginario culturale condiviso, approda in uno spazio del tutto personale. Nelle sue opere la memoria storica e privata, le questioni sociali, geopolitiche, religiose ed ecologiche innescano una nuova poetica di denuncia che ha l’intento di produrre una rinnovata consapevolezza. In questo monologo l’artista riflette sul significato dell’arte e della vita in un periodo incerto e oscuro come quello attuale. Una visione secondo la quale i ragionamenti sono il luogo in cui risiedono la ragione e il senso dell’arte e del vivere. “L’arte conserva le risposte anche alle più antiche domande dell’essere umano, salva dall’effimero della vita, vince sulla morte, resiste. Racchiude il valore stesso dell’esistere, ed è così che questo passaggio dell’artista da sempre trova una ragione“.
CANEVARI E LA SUA ARTE
Potremmo definirlo un artista raffinato e brutale, ironico e violento, minimale e barocco, senza però inquadrarlo all’interno di uno schema estetico. Nella sua pratica, infatti, usa diversi materiali e media che vanno dalla scultura all’installazione, dal disegno al video, anche se è principalmente conosciuto per aver utilizzato nelle sue opere, fin dai primi anni Novanta, la gomma delle camere d’aria e degli pneumatici. Dopo aver vissuto e lavorato per quasi quattordici anni negli Stati Uniti e in particolare a New York, attualmente vive a Roma dove insegna all’Accademia di Belle Arti. Per il progetto OFF in mostra al Museo Novecento di Firenze ha presentato recentemente un’opera composta dalla scritta “Ho Fame” tracciata in bianco sul parabrezza di una Rolls Royce nera, componendo un aberrante messaggio tra ricchezza e povertà. Ha attualmente in corso una mostra personale presso il Palazzo Collicola, nelle sale della Galleria d’Arte Moderna G. Carandente di Spoleto.
– Donatella Giordano
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