Terzo appuntamento con la rubrica dedicata all’uso della realtà virtuale, accelerato dal lockdown, nell’ambito espositivo. Abbiamo intervistato Matteo Esposito, CEO di inVRsion.
Ti risulta che ultimamente ci sia molta richiesta di spazi virtuali per mostre da parte di gallerie e musei?
C’è assolutamente molto interesse perché tutti i luoghi che esigono una presenza fisica per fruire dei contenuti o per completare dei processi commerciali soffrono il social distancing imposto dal Covid-19 e la chiusura delle frontiere, dei voli ecc.
Quali sono secondo te gli esempi più interessanti, le eccellenze in quest’ambito?
Siamo solo all’inizio di un’era e non sono a conoscenza personalmente di soluzioni rivoluzionarie che abbiano applicato la realtà virtuale come quella offerta dalla nostra azienda a questo tipo di contesto. Tuttavia esistono molti esempi di avvicinamento alla virtualizzazione, non necessariamente fruibili da un visore VR. Penso ad esempio al Rijksmuseum di Amsterdam, al Prado a ai nostri Uffizi: tutti hanno la possibilità di entrare in una virtualizzazione mediante foto a 360 gradi. La VR immersiva a 6 gradi di libertà (6DOF) darà nuovi orizzonti alla virtualizzazione, specie se chi produrrà la digitalizzazione di opere e spazi espositivi avrà la tecnologia e la competenza per sfruttare ciò che la tecnologia offre già oggi.
Hai realizzato qualche progetto in quest’ambito?
Non ancora, ma stiamo per rilasciare una nuova soluzione che è perfetta per questa applicazione. Si tratta di un’architettura software che consente al gallerista di progettare e allestire spazi virtuali fotorealistici ma fruibili con 6 gradi di libertà: non foto 360, quindi, ma simulazione di spazi espositivi in cui fruire gemelli digitali accuratissimi delle opere d’arte.
Rispetto a dieci anni fa nel campo degli spazi virtuali per esposizioni si sono fatti grossi progressi?
La tecnologia 360 esisteva già venti anni fa e non è stato fatto molto, se non quando si parla di video, dove qualche balzo in avanti è stato fatto. La simulazione attraverso real time rendering invece ha fatto balzi da gigante, raggiungendo livelli qualitativi inimmaginabili anche solo qualche anno fa. Tuttavia la fruizione tramite visore è ancora una pratica poco conosciuta e pertanto poco adottata.
Pensi che prevarrà il modello di visita non interattiva, sul genere dei musei resi disponibili virtualmente da Google, o quella interattiva nei musei virtuali?
Per ora e forse per qualche anno credo di sì. Poi arriveranno tecnologie abilitanti all’adozione di massa di visori a sei gradi di libertà e la simulazione real time rendering diventerà un nuovo paradigma per tanti settori, gallerie e musei compresi.
Ti risulta che ci siano già esperienze miste, di visite con gente presente in un certo momento in un museo che incontra altre persone nella versione virtuale del museo stesso?
Non ne sono a conoscenza ma sicuramente l’arte ha già conosciuto mondi virtuali e spazi digitali condivisi in passato, da Second Life in poi.
Per le gallerie non interattive si usa molto Unity. Ci sono altri motori grafici adatti per questo scopo?
Unity è un ottimo motore di real time rendering e può essere usato per gestire in verità anche contesti interattivi. La nostra piattaforma sfrutta in parte Unity per gestire l’interfaccia utente che consente al gallerista di allestire gli spazi, poi però sfrutta un altro motore di real time rendering – Unreal ‒ per creare la realtà immersiva a sei gradi di libertà, interattiva e multimediale.
Quali sono i mondi virtuali più adatti per creare spazi espositivi?
Sarò sincero, non sono un grande frequentatore di mondi virtuali. Sicuramente l’erede di Second Life è Altspace VR, dove mi risulta esistano già dei musei interattivi: non so quanto il vero mercato dell’arte trovi spazio in questa piattaforma, tuttavia, perché non credo che là ci sia il target.
Quando si diffonderanno i visori tipo Oculus per visite nelle gallerie e nei musei?
Credo che molti musei già offrano esperienze immersive attraverso visori basati su tecnologia Oculus, con il Samsung Gear VR prima, l’Oculus Go poi, l’Oculus Quest dal 2019 in poi. Tuttavia si parla quasi sempre di video a 360 gradi, l’unica tecnologia a funzionare benino su device standalone (e quindi senza fili) come questi. Il futuro a mio avviso passa dal 5G, quando il network a banda larga e bassa latenza consentirà di “streammare” contenuti immersivi di altissima qualità su device standalone a sei gradi di libertà spostando la potenza di calcolo da una workstation all’edge cloud. I primi device 5G stanno già facendo capolino grazie ad aziende come HTC e Pico.
‒ Mario Gerosa & Gianpiero Moioli
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