Musei e 5G: arriveremo preparati?

Anche i musei potrebbero sfruttare la tecnologia 5G per offrire nuovi servizi ai visitatori e stare al passo con le innovazioni digitali di cui spesso risultano carenti.

Con l’avvio del nuovo settennato e, soprattutto, con le indicazioni contenute in termini di recovery plan, risulta pacifico affermare che nei prossimi anni, con ogni probabilità, il 5G diverrà una realtà per il nostro Paese. Sebbene sia un tema che, a prima vista, può apparire distante dal mondo culturale, l’implementazione di tale tecnologia può avere degli effetti importantissimi sul settore, dalle trasmissioni di eventi (sportivi o di spettacolo) fino alle grandi innovazioni in termini di “ologrammi”, e l’applicazione del protocollo dell’Internet of Things. Soprattutto, la grande importanza del 5G è nelle nuove possibilità infrastrutturali che esso fornisce, da cui potrebbero derivare altrettante innovazioni a oggi ancora inesistenti.
Come già accaduto nel recente passato, tuttavia, non sempre le possibilità, specie quelle tecnologiche, sono state opportunamente colte dal nostro sistema culturale. Basti pensare che, ancora oggi, ci sono musei che non dispongono di una rete Wi-Fi per i visitatori, con tutte le limitazioni che tale disfunzione comporta, ad esempio la difficoltà di fornire app che funzionino online, o la possibilità di poter realizzare delle mappe di calore che restituiscano una visione dinamica dei percorsi dei visitatori all’interno dei musei.
A ben vedere, non si tratta solo di capire quanto i nostri musei siano o meno tech-friendly. Quella del 5G è semplicemente un’ulteriore occasione per poter riflettere su quanto l’organizzazione del nostro attuale sistema museale sia in grado di recepire e/o di rispondere alle innovazioni in corso. Riformulando, quindi, la questione diventa: in che modo è necessario agire affinché il nostro sistema museale, e, per estensione, il nostro sistema culturale, siano in grado di recepire le innovazioni?

UNA RIORGANIZZAZIONE DEI MUSEI

La risposta, ovviamente, non può che essere organizzativa: oggi i nostri musei hanno grandi direttori, che tuttavia sono chiamati a svolgere mansioni che spesso distano non poco dalla propria competenza diretta. E qui sta il punto: se da un lato non si può certo pretendere che una stessa persona possa essere esperta di storia dell’arte, di economia, finanza pubblica, gestione di impresa, tecnologia applicata, marketing e comunicazione, è altrettanto ovvio che non si possa prevedere che ogni museo disponga di quattro direttori diversi (Direttore Scientifico, Manager, Direttore Finanziario e Direttore Tecnologico).
Una possibile soluzione per questo dilemma apparente può essere la previsione di una apertura al “privato”: la creazione di team di soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione che coadiuvino il direttore nella definizione di strategie, e nella definizione di azioni da implementare all’interno del museo. A ben vedere, si tratterebbe di formalizzare quanto già avviene in molte strutture e istituzionalizzare una “figura collegiale di advisor” per i direttori. Costi meno ingenti per l’amministrazione, incarichi trasparenti con la previsione di obiettivi di risultato e un sistema museale più incline alle innovazioni.

In che modo è necessario agire affinché il nostro sistema museale, e, per estensione, il nostro sistema culturale, siano in grado di recepire le innovazioni?

Ma questa è solo una delle potenziali innovazioni organizzative: la previsione di strumenti tecnologici all’interno del nostro quotidiano, ivi inclusi i musei, può essere tanto importante e disruptive da poter prevedere la gestione, in appalto, di tutte le dimensioni tecnologiche legate al museo: dalla realizzazione di audioguide, app, display, alla biglietteria, alla creazione di modelli IoT per l’analisi dei visitatori. I servizi ausiliari e aggiuntivi sono stati introdotti nel nostro ordinamento molti anni fa e, per quanto figli di una visione lungimirante, rispondevano alle esigenze dell’epoca. Esigenze che potrebbero essere mutate. Chi lo ha detto che tali servizi non possano suddividersi in “Area Tech”, “Area promozione e comunicazione” e “Area mostre e accoglienza”?

Stefano Monti

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #58

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Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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