Pau Waelder è un critico, curatore e ricercatore spagnolo che si occupa da molti anni di new media art, con un focus particolare sul mercato. Abbiamo parlato con lui del recente boom della crypto art, degli NFT, ma anche del rapporto tra valore culturale e valore di mercato nell’arte contemporanea. Ecco cosa ci ha raccontato.
Nelle ultime settimane – dopo l’asta record di Beeple con Christie’s e la vendita del Nyan Cat sulla piattaforma Foundation – abbiamo letto numerosi articoli in cui si annunciava l’avvio di una nuova fase per “il mercato dell’arte digitale”. Alcuni si sono spinti oltre parlando addirittura di “un’era dell’arte digitale”. Tu che hai studiato per molti anni il mercato della new media art, cosa pensi di questo improvviso boom degli NFT? Sono davvero la “soluzione magica” per questo tipo di mercato, come sostengono alcuni?
Negli ultimi anni diverse case d’asta, e Christie’s in particolare, hanno deciso di portare l’arte digitale all’attenzione del grande pubblico. Nell’ottobre 2018, il Ritratto di Edmond de Belamy (2018) del collettivo artistico Obvious è stato venduto per oltre 430mmila dollari, affermando ‒ molto discutibilmente ‒ che si trattasse di un’opera d’arte interamente creata da un’intelligenza artificiale. La notizia è finita sui giornali di tutto il mondo e ha portato un’attenzione inedita sull’AI, spingendo molti artisti verso la creazione di opere generate da GAN (Generative Adversarial Networks). Dopo pochi mesi, nel marzo 2019, l’opera di Mario Klingemann AI piece Memories of Passersby I (2019) è stata venduta per una cifra consistente ma non spettacolare: 51mila dollari. La moda dell’AI sembrò poi raffreddarsi rapidamente, anche in conseguenza delle critiche mosse al lavoro di Obvious, che risultò essere il frutto di una piccola modifica sul GAN di un altro artista, Robbie Barrat (che non veniva citato), per ottenere un’immagine da inserire in una cornice dorata.
E gli NFT quando sono arrivati in asta?
Nell’ottobre 2020 Christie’s ha venduto il dipinto Block 21 (2020) di Robert Alice per più di 130mila dollari, dichiarando che si trattasse di un “nuovo e radicale medium artistico”: questo perché, oltre a essere una pittura reale, fisica, era stata registrata come NFT. Infine, l’11 marzo 2021, sempre Christie’s ha venduto Everydays: The First 5000 Days (2021) di Beeple per più di 69 millioni di dollari. C’è stata un’ondata crescente di vendite spettacolari nel mercato degli NFT, ma è stato il prezzo finale dell’asta di Beeple a provocare onde d’urto visibili all’interno del mercato dell’arte.
A me dispiace perché ora tutti parlano soltanto di soldi e mai delle opere e del loro contenuto (peraltro, se si guarda all’opera di Beeple con maggiore attenzione, come ha fatto Ben Davis su Artnet, si rivela terribile e dilettantesca). La mania degli NFT ha generato una catena di notizie una più assurda dell’altra: quelli che hanno bruciato un Banksy per poi venderlo come NFT, la vendita di meme, la vendita del primo tweet della storia, e così via. Mi aspetto che esca una docuserie su Netflix che riassume gli ultimi tre mesi, sarebbe meglio di Tiger King! :-)
Perché Christie’s ha scelto di imbarcarsi in questa impresa? Solo un’operazione di marketing, come molti hanno sostenuto?
L’obiettivo di Christie’s, e di tutte le case d’asta, è di vendere le opere al prezzo più alto possibile per poi far circolare ampiamente la notizia e attrarre nuovi clienti. Per questa ragione, tendono a spesso a presentare i lotti come opportunità inedite e di rilevanza storica. Ma quando si tratta di arte digitale, questo tende a distorcere la percezione di una vasta tipologia di pratiche artistiche, oltre che il lavoro di molti autori. Se un collezionista compra, ad esempio, un’opera che viene descritta come la prima opera creata interamente da un’intelligenza artificiale (storica! rivoluzionaria!), e poi viene fuori che non è così, il collezionista, e potenzialmente anche altre persone, potrebbero riversare tutta la colpa sull’AI art e andare a comprare qualcos’altro. Questo non è ancora successo con gli NFT, perché c’è una forte richiesta da parte di collezionisti giovani che sono in grado di comprendere la natura di un file, hanno dei ricchi portafogli digitali e sono felici di pagare con le crypto-monete.
NFT, MERCATO E SPECULAZIONE
La speculazione però è altissima in questo momento, giusto?
Sì, c’è molta speculazione, anche perché gli NFT sono facili da rivendere (a volte vengono rivenduti dopo pochi secondi) e il mercato è molto caldo. Questa tendenza continuerà ancora per un po’ probabilmente, anche perché anche molti artisti digitali che hanno una buona reputazione e un corpus di lavori molto solido stanno iniziando a vendere NFT. E questi NFT per assurdo possono raggiungere prezzi molto più alti rispetto ad altri lavori più originali ed elaborati. Per esempio, un NFT di Rafael Rozendaal è stato recentemente venduto per 102mila dollari, quando i suoi famosi website valgono circa 10mila dollari. Sono contento che l’artista guadagni queste cifre, ma dal punto di vista di un collezionista non ha senso pagare dieci volte di più per una gif animata quando può possedere un sito intero dello stesso artista, con un dominio originale e il suo nome inscritto nel codice html dell’opera.
Cosa vedi all’orizzonte per questo genere di mercato? Che futuro possiamo aspettarci?
Gli NFT sono destinati a restare in circolazione e rappresentano una modalità utile per introdurre l’arte digitale sul mercato. Rendendo facile per gli artisti la registrazione delle opere sotto forma di token su una blockchain, facilitano la vendita di arte digitale in edizioni limitate con una garanzia di autenticità e di proprietà. I non-fungible tokens con il tempo dovrebbero scomparire dai titoli dei giornali e diventare una nota a margine, un dettaglio tecnico che non oscura il valore dell’opera come artefatto culturale.
Per esempio Feral File, uno spazio espositivo online che pubblica edizioni limitate di opere d’arte digitale di Casey Reas, ha lanciato di recente la sua prima mostra presentando e vendendo le opere di artisti affermati a prezzi accessibili sotto forma di NFT sulla blockchain Bitmark. Questa informazione viene menzionata en passant nella sezione “about” del sito, mentre i lavori vengono presentati come esperienze estetiche accessibili a tutti. Tuttavia, a causa della frenesia che circonda gli NFT, solo due giorni dopo l’apertura della mostra tutti i lavori sono andati sold out e li stanno già rivendendo a prezzi esponenzialmente più alti. Anche se questo può sembrare molto redditizio, ho paura che presto possa generare un contraccolpo drammatico se il mercato non si stabilizza un po’. Inflazione e speculazione non sono buoni alleati.
Nonostante l’arte digitale esista ormai, in forme diverse, dagli Anni Sessanta del Ventesimo secolo, molte persone – anche professionisti del mondo dell’arte – sembrano ancora scettici sulla possibilità di acquisire e collezionare opere d’arte che consistono in file digitali (e che a volte sono anche accessibili online). Tuttavia, non sono altrettanto scioccati quando a essere venduta è una performance o un’opera concettuale. Perché secondo te? Esiste qualche forma di resistenza verso la tecnologia in sé?
Secondo me, la resistenza nell’accettare l’arte digitale, e la difficoltà nel comprenderla, non viene tanto dalla tecnologia, quanto dal contesto in cui viene prodotta l’arte. La performance art, la land art e l’arte concettuale sono emerse nel mondo dell’arte contemporanea, nate da artisti che avevano in gran parte un background nelle arti visive e che hanno sviluppato il loro lavoro nelle gallerie d’arte e in altri spazi integrati nella scena in città chiave come New York, Parigi o Londra (pensa, ad esempio, a Joseph Beuys con il coyote alla Rene Block gallery di New York). Erano supportati dai collezionisti, dai critici, dai galleristi e dai direttori di museo. Il loro lavoro era discusso nelle riviste d’arte, e, anche se alcune di queste pratiche erano volte al superamento del white cube come spazio espositivo o incentrate sul ripensamento della relazione tra l’opera e gli spettatori, alla fine sono state adattate alle esigenze del mercato dell’arte e dei musei.
Al contrario, l’arte digitale si è evoluta nel contesto dei festival di arte, scienza e tecnologia, nei musei della scienza e nei laboratori di ricerca. E anche se poi l’abbiamo vista anche nei musei d’arte, in alcune gallerie commerciali e in alcune fiere, il fatto che sia nata e cresciuta in spazi che sono considerati “non-artistici”, e che sia legata a narrative che non si allineano con i discorsi dominanti del mondo dell’arte, ha reso difficile l’accettazione di queste pratiche nel contesto della scena mainstream dell’arte contemporanea.
NFT E COLLEZIONISMO
Quindi è una questione di contesto? I collezionisti si sentono più sicuri per questo?
Sì, i collezionisti preferiscono acquisire opere che sembrano sicure da un punto di vista del valore culturale ed economico, create da artisti affermati e proposte dai musei e dalle gallerie più famose. La natura dell’opera è meno importante, finché il collezionista si sente sicuro del fatto che il lavoro è rilevante e che aumenterà di valore in futuro (indipendentemente dal fatto che intenda venderlo o meno). Un tipico esempio di questa dinamica sono le performance di Tino Sehgal che vengono vendute attraverso uno scambio verbale, senza alcun documento scritto. Per questo penso che se Gagosian vendesse arte digitale, i collezionisti la comprerebbero senza esitazioni.
Hai recentemente pubblicato un libro intitolato You Can Be a Wealthy /Cash Strapped Collector in the Digital Age, una specie di guida per i collezionisti che vogliono comprare arte in formato digitale. Puoi raccontarci qualcosa di più? Cosa contiene?
Il libro è una guida pratica per collezionare arte contemporanea usando gli strumenti disponibili online e su ogni smartphone o tablet, con un focus particolare sull’arte digitale e sui vantaggi e le sfide che questa pone ai collezionisti. L’ho scritto lo scorso anno (in parte durante il lockdown) con lo scopo di rendere l’arte digitale più comprensibile e attraente agli occhi dei collezionisti. Il titolo è un riferimento giocoso ai libri di marketing e di auto-aiuto, ma si tratta di un racconto molto documentato sul mercato dell’arte contemporanea e sulle differenti aziende che operano al suo interno. L’idea è di aiutare le persone intenzionate a collezionare arte, indipendentemente dalla loro conoscenza del mercato specifico, e anche dal loro budget. Ho pensato che un saggio molto asciutto e serio avrebbe attirato poche persone, forse solo studenti alle prese con le tesi di dottorato, allora ho deciso di strutturare il libro come una guida, in modo che sia più facile da leggere e magari anche divertente. Ho aggiunto molti grafici e inserti in modo da permettere al lettore di navigare liberamente attraverso i contenuti.
Il libro è diviso in due parti, giusto?
Sì, sono due manuali separati (ma collegati) e una guida per la risoluzione di problemi dedicata ai collezionisti di arte digitale. Il primo manuale, intitolato You can be a wealthy art collector in the digital age, affronta gli aspetti fondamentali del collezionismo di arte contemporanea, dal come trovare la motivazione per comprare arte ed esplorare il mercato, a come leggere le analisi quantitative delle opere, fino alla condivisione della propria collezione sui social network. Contiene inoltre approfondimenti e consigli per i collezionisti di opere interattive, software-based e web-based, oltre a un’analisi dell’impatto che tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain hanno sul mondo del collezionismo d’arte. Il secondo manuale, intitolato You can be a cash-strapped collector in the digital age, si concentra sulle modalità per collezionare arte contemporanea se si hanno piccoli budget (da 3 a 300 dollari), possibilità che oggi vengono offerte da store online, app store, e marketplace di edizioni digitali.
L’obiettivo è aumentare il popolo dei collezionisti d’arte?
Io credo che il mondo dell’arte (e non solo il mercato) abbia bisogno di più collezionisti, e in modo particolare di collezionisti che non comprano quello che comprano tutti gli altri, ma che, al contrario, sostengono la scena artistica locale e i giovani artisti; persone che non hanno paura di comprare opere in formati insoliti, che sia un software, un sito oppure un file.
CRYPTO ART E SICUREZZA
Parliamo di conservazione e di sicurezza. Quali sono le sfide che un collezionista di crypto art, ad esempio, potrebbe incontrare in futuro per mantenere la propria collezione accessibile e al sicuro?
Ci sono già stati casi di furto sistematico di crypto art, con hacker che sono entrati nei portafogli digitali dei collezionisti e hanno rubato token che valevano grandi somme di denaro. Questa è una conseguenza, a mio parere, dell’attenzione improvvisa, inedita e sproporzionata che è si è riversata su un sistema che ancora non è pronto per lavorare su questa scala, e con questo genere di incentivo per le attività criminali. Gli artisti hanno registrato opere sulle blockchain per anni, anche creando lavori in forma di crypto-moneta (come il progetto di Carlo Zanni ZANNI (Ẓ), una cryptocoin del 2018), e hanno venduto arte in bitcoin ed ether. La maggior parte però vendeva i propri lavori per piccole somme, e dunque era molto improbabile che a un hacker venisse in mente di rubarli. Ma se un single token può valere centinaia di migliaia di dollari, allora il panorama cambia radicalmente.
Ci sono quindi dei lati oscuri nel mondo degli NFT…
Molte cose che stanno accadendo ci mostrano il lato oscuro degli NFT. Ci sono persone che stanno “coniando” opere di altri artisti, vendendole come se fossero loro; altri stanno inflazionando artificialmente il valore dei token vendendoseli a vicenda, e infine non possiamo non considerare l’impatto ecologico di un’attività che produce più di 200 chilogrammi di CO2 per ogni NFT coniato, ossia l’equivalente del consumo energetico di una persona per un mese, secondo quanto ha calcolato l’artista Memo Atken. Se mettiamo insieme questi aspetti negativi con la promessa di fare tanti soldi in modo facile, il risultato può essere catastrofico.
Pensi che a un certo punto la situazione cambierà? La bolla è destinata a scoppiare?
Penso che cambierà gradualmente, e che ci sposteremo verso uno spazio maggiormente regolato, con pochi player importanti che possano offrire dei marketplace affidabili, dotati di protocolli di sicurezza per evitare i furti e blockchain basate su algoritmi Proof-of-Stake (PoS), che non richiedono molto potere computazionale e quindi consumo ingente di energia. Questi marketplace dovrebbero anche essere affidabili per quanto riguarda la garanzia di autenticità delle opere, come accade per le gallerie d’arte. Se ci fossero queste condizioni, dovrebbe essere sicuro per un collezionista comprare crypto art e conservarla nel suo “digital wallet”, sapendo che è originale e autentica.
Inoltre, dovremmo ricordare che, anche se si perde il token, si ha comunque l’opera: il file con l’immagine, il video, o qualsiasi cosa sia, può essere conservato nel computer e goduto in qualsiasi momento. Il token è soltanto un certificato di autenticità che ti permette di affermare la tua proprietà, e quindi anche di rivendere. Nel mercato attuale, guidato dalla speculazione, il token è diventato più importante dell’opera in sé. E naturalmente nessun collezionista vorrebbe essere privato del diritto di proprietà e del profitto potenziale che potrebbe venire dalla vendita di un’opera che possiede (anche se non è intenzionato a venderla). Ma finché si riesce a separare il valore culturale di un’opera da quello economico, la proliferazione della crypto art significa anche che c’è e ci sarà molta più arte in circolazione, arte che di cui possiamo godere, anche se non la possediamo.
‒ Valentina Tanni
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati