A marzo 2021 è uscita una grande quantità di videogiochi interessanti da giocare o almeno da discutere. Stavolta ne abbiamo quindi scelti dieci: un videogioco musicale ispirato ai videogiochi di ruolo (Everhood), opere che cercano di combinare narrazione e puzzle (Genesis Noir e Maquette), un’interpretazione per una sola persona di un ormai classico gioco di gruppo (Gnosia), un’esperienza unicamente cooperativa (It Takes Two), giochi che cercano di simulare meccanicamente la complessità della realtà (Loop Hero e Neurodeck), un videogiocattolo (Mitoza), un omaggio agli Anni Ottanta (Narita Boy) e un “simulatore di passeggiata” (Paradise Lost).
‒ Matteo Lupetti
EVERHOOD
In Everhood è chiara l’influenza di UnderTale di Toby Fox e, andando più indietro, quella del fumetto online Homestuck di Andrew Hussie (a cui Toby Fox ha lavorato come musicista) e di Earthbound di Nintendo, videogioco che ha a sua volta influenzato UnderTale e Homestuck. Ci sono altri percorsi, intrecciati a questo, che hanno portato a Everhood (Yume Nikki è un’altra evidente ispirazione), ma questo videogioco si mette esplicitamente in dialogo con UnderTale, chiedendo, come l’opera di Toby Fox, cosa voglia dire uccidere (e vivere) in un videogioco, e conducendo a finali diversi in base alla nostra risposta a questa domanda. La visione di UnderTale è alla fine piuttosto limitata, perché la violenza è ridotta a una scelta personale e non è mai inserita in un sistema di cui vengono investigate le radici, e Everhood non va molto più a fondo della questione. Ma i suoi combattimenti, gestiti come un rhythm game, come un videogioco musicale in stile Guitar Hero, e la musica che li accompagnano lo rendono comunque un’opera interessante. Everhood di Foreign Gnomes (Chris Nordgren e Jordi Roca) e Surefire.Games è disponibile per PC e Nintendo Switch.
GENESIS NOIR
Genesis Noir è contemporaneamente un video musicale jazz interattivo, una indagine ispirata alle ambientazioni e all’estetica del cinema noir (e del cinema muto) e la storia dell’universo e dell’umanità a partire dal Big Bang. Prendendo spunto dai racconti cosmicomici di Italo Calvino, Genesis Noir racconta e rende giocabile l’evoluzione dell’universo mettendola in scena come un mito noir: il Big Bang è qui il colpo di pistola con cui un sassofonista geloso tenta di uccidere la cantante, Miss Mass, con cui il protagonista ha avuto un breve flirt. Per fermare il colpo di pistola, e quindi il Big Bang, il protagonista inizia allora un viaggio attraverso il tempo. Questo avviene attraverso una serie di scene interattive, non tutte perfettamente riuscite anche a causa di controlli imperfetti e di meccaniche a volte troppo astratte, e le ambientazioni noir sono solitamente poco legate (o per niente legate) alle situazioni in cui ci troviamo. Genesis Noir sembra poi volerci far accettare la casualità, il caos, le possibilità della vita, ma ci mette spesso su percorsi lineari e guidati da cui non è possibile sfuggire. Le sue parti più riuscite sono quelle che ci lasciano invece maggiore libertà, come quella in cui dobbiamo comporre molecole, cellule e prime forme di vita sulla Terra e quella in cui improvvisiamo una sessione jazz per strada. Genesis Noir di Feral Cat Den e Fellow Traveller è disponibile per PC, Mac, console Xbox e Nintendo Switch.
GNOSIA
Dimitry Davidoff creò il gioco Mafia all’interno del dipartimento di psicologia dell’Università statale di Mosca nel 1986 e da allora la sua formula si è diffusa declinandosi spesso in ambientazioni fantastiche, come nelle varianti Lupus in tabula e Werewolves.
Si tratta di giochi basati sull’inganno e la deduzione in cui si confrontano due squadre con diverso accesso alle informazioni e non chiaramente distinte: una squadra, più piccola, conosce i propri membri e ha il compito di uccidere i membri della squadra più grande sino ad arrivare a essere la maggioranza senza farsi scoprire, mentre la squadra più grande non sa quali persone siano loro alleate e deve cercare di determinare e uccidere i membri della squadra più piccola. Tutto questo avviene attraverso una serie di dibattiti, dove i membri della squadra più grande devono discutere per identificare i traditori mentre i membri della squadra più piccola, mescolati agli altri, devono confondere le acque e magari indirizzare i sospetti verso persone innocenti. Gnosia, uscito nel 2019 su PlayStation Vita e arrivato ora in inglese su Nintendo Switch, parte da Mafia per costruire un racconto fantascientifico destinato a essere giocato, però, da una sola persona, togliendo all’esperienza la sua componente sociale. Non se ne sente la mancanza, perché il gioco è invece arricchito da elementi presi dal gioco di ruolo (abilità che migliorano da partita a partita) e da una storia ricca di personaggi eccentrici e queer. Il risultato è un videogioco che fonde meccaniche e narrazione e riesce a creare una trama complessa e a caratterizzare i suoi personaggi attraverso brevi partite da quindici minuti. Gnosia di Petit Depotto e Playism è disponibile per Nintendo Switch.
IT TAKES TWO
Nel videogioco cooperativo per due persone It Takes Two due genitori che hanno scelto di divorziare vengono trasformati in giocattoli dalla figlia e da un magico libro di autoaiuto e devono superare una serie di sfide per tornare umani e aggiustare la loro relazione. Questo permette a It Takes Two di far muovere i suoi protagonisti attraverso molteplici ambientazioni fantastiche degne di un film Disney Pixar, versioni magiche e ingigantite degli spazi della loro casa esplorate attraverso meccaniche cooperative sempre diverse. Spesso funziona, ma molti spunti, soprattutto nella parte centrale del gioco, vengono proposti e poi abbandonati prima di essere sviluppati in qualcosa di coerente o interessante, e l’esperienza diventa sempre più frammentaria man mano che proseguiamo nel gioco. Inoltre, anche se è possibile giocare online con una persona che non possiede l’opera come già accadeva in A Way Out, precedente gioco dello stesso studio, It Takes Two non è approcciabile quanto A Way Out da parte di un pubblico che non sia già abituato al medium e al genere dei “platformer 3D,” quelle opere incentrate sul saltare tra piattaforme sospese in ambienti tridimensionali. Il principale problema di It Takes Two è però la sua parte narrativa: il gioco non arriva mai ad approfondire realmente la relazione tra i due protagonisti e i loro problemi e ha una visione immatura e consolatoria, da commedia statunitense degli Anni Novanta, in cui un divorzio deve essere risolto “lavorando sulla relazione,” impegnandosi di più, e non deve invece essere accettato. È in fondo la visione prevalente nel medium videoludico, perché è la visione prevalente della società che ha prodotto questo medium: tutto può essere superato impegnandosi e seguendo le regole e il fallimento non è ammesso. It Takes Two di Hazelight ed Electronic Arts è disponibile per PC, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One e Xbox Series S e Series X.
LOOP HERO
Loop Hero è un videogioco tanto meccanicamente brillante quanto deprimente nella sua rappresentazione della realtà. All’inizio di ogni partita il protagonista inizia il suo cammino da un accampamento, che possiamo ingrandire nel tempo, e attraversa un mondo fantasy combattendo nemici e percorrendo una strada che gira e torna all’accampamento stesso, facendo compiere al personaggio principale i “loop” che danno il titolo al gioco.
Il protagonista cammina e combatte automaticamente, mentre noi abbiamo il compito di modificare il suo equipaggiamento con oggetti sempre più potenti conquistati in battaglia e di usare carte/luoghi, anch’esse ottenute in battaglia e sbloccate di partita in partita, per costruire il mondo in cui il personaggio gira. I luoghi che piazziamo influenzano la nostra forza, cambiano i nemici che incontriamo e ci permettono di conquistare oggetti ancora più potenti per prepararci infine allo scontro contro un “boss” che, se sconfitto, ci fa avanzare nella trama del videogioco. Esistono interazioni tra carte/luoghi diverse, e anzi sono essenziali per ottenere alcuni effetti e alcune risorse, ma il mondo che creiamo in Loop Hero non ha mai l’aspetto di un ecosistema vivo e credibile. Il mondo di Loop Hero è invece una macchina folle, una catena di montaggio che torna ogni volta al punto di partenza, una fabbrica da rendere sempre più efficiente nell’esecuzione di un continuo progetto di creazione e distruzione volto alla massimizzazione del potenziale distruttivo dell’essere umano. Loop Hero di Four Quarters e Devolver Digital è disponibile per PC, Mac e Linux.
MAQUETTE
Maquette è un videogioco puzzle con visuale in soggettiva in cui possiamo manipolare modellini dei luoghi in cui ci troviamo, spostando o aggiungendo parti, per manipolare i luoghi stessi. Per esempio, aggiungere un ponticello nel modellino lo farà apparire anche nel mondo a dimensione reale (o che a noi appare a dimensione reale). Inoltre, come il modellino è presente nel mondo a dimensione reale, così anche il mondo a dimensione reale in realtà è contenuto in un mondo identico ma più grande, che possiamo esplorare sfruttando le nostre ridotte dimensioni in quella iterazione. Un’architettura ricorsiva che diventa spunto per una serie di enigmi che, pur non sfruttando mai fino in fondo le opportunità di questa premessa e pur presentando diverse sbavature, mostrano una certa creatività (e, nelle fasi più avanzate, mettono un po’ alla prova software e hardware). Il problema è che queste meccaniche non c’entrano molto con la storia raccontata da Maquette, che è il banale racconto della relazione tra due persone dal loro primo incontro sino alla rottura. Maquette funziona meglio, invece, come racconto del panorama architettonico e musicale di San Francisco, qui rappresentato in una versione onirica (la cupola al centro dello spazio geografico del gioco è per esempio chiaramente ispirata al Palace of Fine Arts). Maquette di Graceful Decay e Annapurna Interactive è disponibile per PC, PlayStation 4 e PlayStation 5.
MITOZA
Mitoza è un videogiocattolo in cui partiamo da un seme e, scegliendo da una serie di coppie di alternative rappresentate da icone stilizzate (le prime due sono un vaso e un uccellino), seguiamo una storia audiovisiva guidata dalle nostre decisioni. Inizialmente le azioni che possiamo compiere sembrano avere un senso logico: clicchiamo sull’uccellino e allora lasciamo che il seme sia mangiato da un uccellino, che poi depone un uovo. Oppure clicchiamo sul vaso e allora mettiamo il seme in un vaso, poi usiamo del fertilizzante e otteniamo una pianta carnivora. A un certo punto, a volte lentamente a volte improvvisamente, la logica inizia però a venire meno: clicchiamo sull’icona di una mosca e alla pianta carnivora si avvicina una mosca, la pianta cerca di mangiarla ma è la mosca a divorare la pianta, diventando enorme. Allora proviamo a scacciare la mosca gigante con uno scacciamosche, ma l’insetto si trasforma in uno sciame di mosche più piccole che inscenano uno spettacolo teatrale e dobbiamo decidere se ci è piaciuto o no. E anche il legame tra icona e azione conseguente comincia a vacillare, a sorprendere. Alla fine torniamo sempre al seme di partenza, incuriositi da cosa sarebbe successo se avessimo scelto di cliccare sull’icona con il simbolo di un ragno invece che su quella con il simbolo di una mosca. Mitoza di Gal Mamalya e Second Maze è disponibile gratuitamente per PC, Mac e dispositivi Android e iOS.
NARITA BOY
Narita Boy è un esempio di dove possa arrivare questa odierna e superficiale nostalgia degli Anni Ottanta. Il protagonista viene trasportato all’interno di un videogioco per console e in un mondo digitale dal sapore fantasy da salvare attraverso esplorazione, salti e combattimenti, sbloccando via via nuove abilità. Le meccaniche non sono mai particolarmente riuscite: il combattimento non va mai più in là di una serie di piccoli spazi in cui sconfiggere ondate di nemici usando gli attacchi corretti (ma sono più interessanti gli scontri contro i boss, i nemici di fine livello), le sezioni platform (quelle incentrate sul saltare) sono spesso frustranti e l’esplorazione è particolarmente confusa e serve soprattutto per allungare forzatamente l’esperienza. Quello che resta è un omaggio urlato, realizzato in modo magistrale e contemporaneamente banale all’estetica visiva e musicale degli Anni Ottanta, con la solita grafica, il solito richiamo all’estetica del tubo catodico e la solita colonna sonora synthwave. Non mancano spunti stimolanti nel modo in cui il mondo del gioco intreccia tecnologia e misticismo e c’è comunque una certa problematizzazione del passato che viene richiamato, ma manca quel salto che renda Narita Boy un’opera che abbia oggi un senso che vada oltre la continua infantilizzazione di un pubblico che non accetta di non avere più dieci anni e di non dormire più nella sua cameretta. Narita Boy di Studio Koba e Team17 è disponibile per PC, Mac, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch.
NEURODECK
Neurodeck: Psychological Deckbuilder si pone esplicitamente sulla scia del videogioco Slay the Spire di Mega Crit Games: all’inizio di ogni partita scegliamo un personaggio e dobbiamo poi superare una serie di combattimenti a turni usando le carte/abilità pescate da un mazzo di carte digitali che possono essere sbloccate e guadagnate nel tempo. Neurodeck sovrappone a questa struttura il tema della malattia mentale: le partite sono esplorazioni della mente dei personaggi e combattiamo contro le loro fobie usando carte/abilità che dovrebbero richiamare i modi in cui le fobie vengono risolte. Ma si tratta, appunto, di una mera sovrapposizione: sono scarsi sia i rapporti tra i nemici che affrontiamo e le fobie che dovrebbero rappresentare sia i rapporti tra le carte/abilità e i loro effetti meccanici sul gioco (in questo videogioco farsi tatuaggi aiuta a sconfiggere le fobie ma fa impazzire, a quanto pare). Non è insomma un gioco da cui imparerete qualcosa sulla salute mentale. È soprattutto problematico, come accade anche in Darkest Dungeon di Red Hook Studios, voler dare una tale rappresentazione meccanica e computazionale, con statistiche e valori che indicano “la sanità mentale,” al disturbo mentale, alla fobia e, in generale, a come funzioni la mente umana. Neurodeck di TavroxGames, Goblinz Publishing e Maple Whispering Limited è disponibile per PC.
PARADISE LOST
Esiste una vera e propria tradizione videoludica di “esplorazione di luoghi abbandonati e utopie/distopie fallite” che ha, tra i suoi rappresentanti più importanti, la serie System Shock, poi la serie BioShock (che già dal nome si richiama alla precedente) e poi ancora, attraverso Gone Home di Fullbright, un genere di videogiochi esplorativi in prima persona chiamati “walking simulator,” cioè “simulatori di passeggiata.” Tutti i videogiochi citati cercano di creare spazi credibili e interconnessi, luoghi che possiamo in qualche modo capire e imparare a conoscere nel tempo, affidando la narrazione in gran parte a note, diari e registrazioni e senza doversi preoccupare troppo di mostrare complesse interazioni con altri personaggi umani perché essi sono o totalmente assenti, o presenti solo in sequenze come flashback o ridotti prevalentemente a nemici. Parte da qui Paradise Lost, in cui esploriamo un bunker nazista abbandonato (ispirato ai bunker del reale e ancora misterioso progetto Riese) in un Novecento alternativo dove il Terzo Reich ha portato il mondo alla guerra nucleare. Ma in Paradise Lost gli spazi sono ridotti più che altro a un percorso lineare da attraversare molto lentamente e con una scarsa interazione, compiendo a volte piccole scelte con piccole conseguenze. Un’esplorazione più complessa dello spazio avrebbe permesso a Paradise Lost di esplorare in modo più approfondito la sua storia. Paradise Lost di PolyAmorous e All in! Games è disponibile per PC, PlayStation 4 e Xbox One.
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