Palestina e social media. Riflessioni sul potere delle immagini
Quale potere hanno davvero le immagini e quanto, invece, sono strumentalizzate dal linguaggio? Approfondiamo un tema fortemente attuale a partire dalla maniera in cui i media italiani commentano il conflitto tra Israele e Palestina.
Con il recente rogo della moschea di Al-Masqa, i diversi video dei bombardamenti israeliani e il silenzio manipolatorio della stampa, la sensazione è che oggi le immagini fisse e in movimento presenti sul web siano tutte immagini morte. Dal punto di vista visivo, Il brulicante web altro non è che un cimitero asignificante. Se la tesi a senso unico oggi sostiene che le immagini abbiano enorme potere, siamo tentati dal sostenere il contrario: le immagini oggi non hanno alcun potere in sé, e non si arricchiscono grazie all’esperienza inter-relazionale che abbiamo con esse.
NEUROESTETICA E WEB-IMMAGINI
Negli studi di neuroestetica, la scienza che studia la risposta neurobiologica dello spettatore nei confronti delle immagini, abbiamo sostanzialmente due modalità che intercettano esperienze percettive diverse. Nell’arte astratta, linee, colori accesi e astrazione, appunto, permettono allo spettatore di godere di un senso di ricompensa immediato, di una scarica elettrica immediata. In questo senso, l’arte astratta esercita una forza maggiore nei confronti della nostra elaborazione bottom-up, ovvero la prima fase percettiva, quella che si occupa delle forme, dei colori e del riconoscimento formale delle figure all’interno delle immagini. Quelle più complesse – ad esempio un tradizionale dipinto figurativo – esercitano invece una forza maggiore sulla nostra elaborazione top-down, la quale è necessariamente conseguente a quella bottom-up. Nell’elaborazione top-down riconosciamo le figure, il contesto, i significati. In questa fase applichiamo la nostra memoria, le nostre esperienze e tutto il nostro bagaglio mentale, culturale e ideologico.
Lasciando i dipinti figurativi della storia dell’arte, parte di un’elaborazione top-down sono anche molte delle immagini – fisse e in movimento – presenti sul web, comprese quelle politiche, come il recente video dei festeggiamenti sionisti durante il rogo della moschea Al-Maqsa, triste frammento audiovisivo di una lunga serie di azioni criminali israeliane contro i palestinesi, in cui i civili rimasti uccisi aumentano giorno dopo giorno.
Se la percezione e l’interpretazione personale di un’immagine avviene dal mix dato dal connubio tra elaborazione top-down dello spettatore e immagine, allora dovremmo attribuire alle immagini un grande potere e a noi la capacità interpretativa. I dipinti dell’arte figurativa cristiana servivano a narrare in modo semplice delle storie a persone analfabete. Oggi abbiamo l’analfabetismo funzionale, un fenomeno che delinea una difficoltà di comprensione e che si amplifica ancora di più con il digitale. Nel web, le immagini complesse sono quelle più manipolabili, soprattutto attraverso l’accostamento di un testo.
L’architettura dei social predispone una fruizione sempre più rapida, sempre meno riflessiva e più impressiva, intesa come impression, una traccia. Ormai la navigazione è diventata come una corsa in picchiata, dove ogni immagine che vediamo è solo l’orma che ci porta a quella successiva, e così via. Con la progressione dei social media – pensiamo ad esempio a Clubhouse ‒, non siamo sicuri che l’immagine sia – e resterà ‒ il dispositivo di cattura principale per lo spettatore.
IMMAGINI E LINGUAGGIO-VIRUS
Nei recenti scontri tra Israele e Palestina, molti giornali italiani hanno intitolato i propri articoli definendo gli attacchi israeliani come un “contro attacco”, eludendo magistralmente tutti i soprusi, la violenza, le intrusioni nelle abitazioni private, l’oppressione, il terrorismo della polizia e il totale strozzamento dei diritti umani ai danni dei palestinesi. A questi articoli si aggiunge sempre l’elemento immagine o video da supporto.
Secondo Burroughs, la parola è un virus “che invade e danneggia il sistema nervoso centrale”. Il linguaggio è anche quel salto evolutivo che permette le contraddizioni, i conflitti e le manipolazioni ideologiche. Nella narrazione informativa, l’immagine viene completamente rimontata e manipolata dal linguaggio. In questo senso, le immagini non hanno alcun potere in sé. È il linguaggio a significarle e renderle vive, a determinarne la lettura. Il potere delle immagini nel web si trova nel linguaggio che si accosta a esse, e questo linguaggio è il virus che ospitiamo all’interno del nostro corpo, ed è il ventriloquo che simula la percezione di quello che definiamo come “potere delle immagini”. Le immagini possono essere fondamentali testimonianze di verità, rivelazioni di eventi che la storia e la politica cercano di coprire, tuttavia le manipolazioni narrative possono essere il cancro e il ribaltamento di queste possibili testimonianze.
La declassificazione dell’immagine come potere significante trova la sua apoteosi nel codice crittografico degli NFT. Ovviamente in questo caso si tratta di un linguaggio macchina utile a generare un valore economico, similmente però al linguaggio dei media italiani: parzializzano il racconto attraverso il linguaggio, utilizzano le immagini come veicolo e testimonianza, e il linguaggio assume un valore economico nel momento in cui si difende Israele o si minimizza un “cessate il fuoco” in favore di un pacifico proseguire dei rapporti commerciali. Anche la censura oggi non opera direttamente sulle immagini, ma in funzione della narrativa. Una stessa immagine può essere oscurata o meno in base al testo di accompagnamento.
DECOSTRUIRE LINGUAGGI PER DECOSTRUIRE IMMAGINI
Senza decostruire il linguaggio, non possiamo decostruire le immagini. Senza scavare al di là dell’informazione superficiale, siamo solo vittime di una manipolazione visiva, all’interno di una cultura retinocentrica. In questo senso, creare una visione di parallasse che slitta e taglia il retinocentrismo come il bisturi in Un Chien Andalou di Buñuel può essere il primo passo per iniziare a interpretare meglio non solo le immagini, ma anche le manipolazioni ideologiche presenti nell’architettura visiva dei social media e del web in generale.
Non ci si può liberare del virus del linguaggio, ma si può problematizzare, magari iniziando a informarsi in maniera più esaustiva. Per non essere vittime passive delle immagini, quello che ci resta è non dare mai per scontato l’accostamento del testo, dubitare degli altri e di se stessi. Le immagini ormai non parlano più da sé. L’informazione – ma soprattutto la disinformazione – utilizza le immagini come veicoli da manovrare per enunciare messaggi. La prima rivoluzione di massa per non essere spettatori passivi delle immagini è prima di tutto pensarle non più come portatrici in-sé di un messaggio, ma problematizzando il linguaggio di cui si fanno veicoli. Fortunatamente – soprattutto nei giovani ‒ questa rivoluzione è già in atto.
‒ Christian Nirvana Damato
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