Art Layers: 10 filtri d’artista per Artribune. Intervista a Kamilia Kard
Art Layers è una mostra di filtri Instagram d'artista curata da Valentina Tanni per il decennale di Artribune. Il progetto include le opere di dieci artisti italiani, visibili sul nostro profilo ogni due settimane. Il nono filtro, online da oggi, è quello di Kamilia Kard, che abbiamo intervistato.
Cominciamo dal filtro che hai realizzato, “Fall?in?g L?ve”. Come funziona?
Fall?in?g L?ve è un videogioco che usa una particolare espressione del volto: il bacio diventa il controller dell’interazione con il filtro. Per muovere il cursore a destra e sinistra e acchiappare più cuori possibili – evitando quelli neri del game over – le persone devono allungare le labbra, protenderle in avanti nella comune mimica del bacio e mostrarle molto bene alla camera. Send a Kiss diventa l’istruzione da seguire per ricevere i punti Love e l’amore viene tradotto in un valore numerico. Alla fine, che il tuo punteggio sia 0, 1 o 999, vinci sempre.
Da dove nasce l’idea?
L’idea nasce dalla mia ricerca sulle emozioni espresse e provate online e di come queste ultime vengano poi strumentalizzate per la profilazione dell’utente singolo e conseguentemente delle masse. Sono tanti i filtri interattivi – anche non videogame – che si attivano con la richiesta “manda un bacio”, ed è curioso notare come un gesto così, definito intimo nella maggior parte dei casi, si attui invece a comando, svincolato da ogni forma di sentimento o romanticismo, un mero input. L’interazione tra camera e persona è la parte più interessante e divertente da osservare, la teatralità con cui ammicchiamo allo schermo: aprire la bocca, fare occhiolino o come in questo caso mandare baci è funzionale alla natura del filtro e genera quelle che chiamo espressioni senza sentimenti. I filtri facciali sono generatori di espressioni su scala globale. Solo in un secondo momento la performatività del filtro viene rivolta a terze parti, nel momento della condivisione con il pubblico. Prima di allora rimane un’azione intima, un porre la propria figura al centro della finestra rettangolare del display e giocare con essa. Possiamo scegliere se giocare e basta, se giocare e archiviare o infine se condividere con la rete. In questo caso, la condivisione online di foto e video con i filtri non è solo una condivisione del proprio aspetto, ma anche un’esibizione della propria espressività, anche se dettata dalle esigenze di funzionalità di una programmazione.
In Fall?in?g L?ve, grazie al videogame e al raggiungimento di un punteggio, forzo le persone alla ripetizione costante del gesto, il risultato: una raffica di baci ? e una regina o re in cuori.
So che hai realizzato altri filtri in passato. Quando ti sei avvicinata per la prima volta a questo strumento?
Mi sono avvicinata a questo strumento come “user” nel 2013, attraverso Snapchat. Ricordo filtri molto carini come il famoso arcobaleno che usciva dalla bocca, le facce arrotondate con gli occhi giganti e le orecchiette da animaletto, le ghirlande di fiori e gli effetti super illuminanti del volto. Gran parte di questi filtri ci sono ancora, la scelta si è solo ampliata perché se prima i filtri erano fatti solo da persone che lavoravano come interni delle varie app di appartenenza, con l’introduzione di programmi come Lens, SparkAR e Effect House la realizzazione di filtri è diventata alla portata di chiunque, e la creazione amatoriale ha preso sempre più piede.
Più che da creatrice, inizialmente mi sono avvicinata a questo strumento come performer di filtri facciali: dal 2014 al 2020 ho archiviato in maniera costante immagini o video in cui interpreto i filtri che trovo online e che considero interessanti da usare.
Quando hai iniziato a creare i tuoi filtri, invece?
Nel 2018. Inizialmente cercavo di riprodurre in forma di filtro facciale piccoli elementi presenti in alcuni dei miei lavori; principalmente erano volti 3D che applicavo come maschera tridimensionale, come il character grottesco presente nell’ambiente virtuale Untitled esposto a Digitalive – Romaeuropa Festival a Roma. In seguito, mi sono staccata dall’idea di usare il filtro facciale come riproposizione di qualcosa che avevo già fatto, e mi sono orientata verso la programmazione di filtri che avessero una vita autonoma e/o che potessero essere usati come strumento per realizzare nuovi lavori.
Performing Filters – Estratto archivio immagini Snapchat 2017-2018 from kamilia kard on Vimeo.
Ad esempio?
È il caso di Compulsive Love, un filtro che applica al volto lacrime glitter, l’ho usato per l’installazione video site specific che ho esposto sulla facciata dell’EP7 di Parigi (2019, curata da Carlos Sanchez Bautista) nella quale reinterpreto dei frame tratti dal film di Baz Luhrmann Romeo + Juliet (1996). Con questo filtro è vietato ridere: se lo fai, ai lati del volto appaiono due segni rossi. Compulsive Love ha fatto piangere lacrime brillanti anche all’artista italiana Mara Oscar Cassiani, che lo ha usato insieme ai suoi performer #bewater nel suo lavoro online La Fauna 2K20 (2020). Dall’emo-glitter-chic di questo filtro ho cambiato completamente estetica e ho pubblicato Heart-Shape-Face, un filtro che deforma le teste trasformandole in cuori. Grottesco e divertente, è sicuramente a oggi tra i miei filtri quello più utilizzato e che ha avuto riscontri più positivi stando alle statistiche che l’hub di Instagram ha raccolto per il mio account.
Le deformazioni facciali sono molto amate nel mondo dei filtri, vero?
Si, le deformazioni facciali vengono usate da un pubblico più ampio in termini di genere ed età. Molto spesso sono usate come “variante della persona” nelle performance amatoriali che vediamo su TikTok (quando il tiktoker vuole rappresentarsi bambino, vuole trasformarsi nel padre per raccontare una vicenda famigliare e via dicendo), per dare un impatto visivo della conseguenza emotiva di qualcosa o di un discorso, o semplicemente vengono condivise come immagini e/o video divertenti e grotteschi. Diversamente dai filtri che richiedono un’espressione da parte dell’utente ai fini dell’interazione, in questo tipo di filtri la performatività dell’espressione nasce spontanea, provocata dall’esplorazione dei nuovi limiti di contorno che la camera applica al viso.
Il filtro più recente che ho fatto è Warp Clouds: un foreground su cui scorrono le nuvolette del videogioco Super Mario Bros, tanto amate dagli artisti. L’azzurro del cielo cambia gradazione, mentre le nuvolette bianche quando entrano in contatto con il volto diventano trasparenti, come dei piccoli portali che lasciano intravedere quelle che c’è al di là del filtro.
Chi sono le autrici e gli autori di filtri Instagram che segui?
Esploro e uso talmente tanti filtri che faccio fatica a seguire qualcuno in particolare. La mia attuale timeline di filtri – la selezione personale che ti appare quando apri la camera di Instagram e che mostra sia gli ultimi filtri utilizzati, sia quelli che hai salvato che quelli di amici con cui interagisci più spesso – oggi è composta dai filtri di #artlayers, di Bubble sd, Medusa, Cosmos, Fire Wings, AmoOk, e molti altri. Cerco filtri tramite gli hashtag, a volte mi invento anche delle parole e trovo sempre qualcosa. A parte le mie ricerche casuali, tra gli artisti che hanno fatto filtri trovo interessanti quelli di Caroline Delieutraz, di Soliman Lopez, i filtri fluidi e cangianti di Ines Alpha, le alterazioni del volto di Vince Mc Kelvie, i filtri 3D dai colori pastello del Howie Kim, Miyo Van Stenis e molti altri. Durante le mie lezioni in Accademia tengo anche un modulo laboratoriale in cui insegno a fare filtri facciali: questo mi dà modo di seguire anche i progetti di giovani promettenti come Laura Tura e Carla Rossi, che ho esposto nella mostra online let me feel you streaming curata con Domenico Quaranta per la Milano Digital Week; e ho seguito come relatrice di tesi progetti interessanti come @side_effects_2020 di Maria Chiara Gagliardi, in cui un gruppo di artisti italiani è stato invitato a “performare” i filtri creati appositamente da lei e tuttora reperibili sull’account Instagram.
Nella tua ricerca artistica hai spesso affrontato il tema della rappresentazione del sé online. Quali sono le tendenze più evidenti che individui in questo momento storico? In che modo le persone si mostrano e si raccontano su internet?
Ho cominciato la mia ricerca sulla rappresentazione del sé online nel 2012 con il progetto Best Wall Cover (2012-2015). Dopo pochi mesi dall’introduzione su Facebook delle cover come ulteriore personalizzazione degli account, avevo notato che molti utenti creavano composizioni interessanti con l’immagine di profilo e la copertina. il progetto è un archivio che raccoglie su una pagina Tumblr le screenshot delle combinazioni immagine profilo+cover, raccolte da me o inviate da altre persone. La condivisione della propria immagine rappresenta un potente mezzo per emergere dall’appiattimento della cornice grafica blindata di alcuni social network, e allo stesso tempo è un terreno fertile per la sperimentazione del sé (soprattutto nelle nuove generazioni). La possibilità di cambiare continuamente il proprio profilo, di essere avatar, cosplayer, immagine scaricata da internet, meme, memoji, immagine autoprodotta, render 3D, faccia filtrata, deformata e molto altro allo stesso tempo genera una pluralità nella rappresentazione che si può definire un pacchetto identitario che si modifica in continuazione seguendo ritmi accelerati. Tutto passa sui profili delle persone, entra nel flusso, esiste per ventiquattro ore, diventa storia, stato, impressione. In questa evanescenza temporanea, prendono piede le condivisioni di immagini selfie, come temporary self arricchiti, estesi grazie all’utilizzo di filtri facciali: “avatarizzazioni” di volti.
Noti differenze tra l’uso che ne fanno le nuove generazioni rispetto a quelle precedenti?
Le nuove generazioni si divertono a condividere i propri volti con bocche larghe, occhi che escono fuori dall’area del volto, fronti alte ecc., le persone di età più avanzata tendono a preferire la versione che migliori il loro aspetto, un’illusione di eterna bellezza. Ma parlando di sé online, a mio parere non ci limitiamo a parlare di rappresentazione: a quest’ultimo dobbiamo affiancare termini come customizzazione, configurazione, assemblaggio, equipaggiamento, skill. Il sé online è una composizione che tiene in considerazione una moltitudine di esperienze: “not only decentered but multiplied without limit”, come scriveva Sherry Turkle già alla fine deglianni Novanta.
Le quattro macro-classificazioni di rappresentazione del sé che possiamo trovare online corrispondono grosso modo a queste categorie: rappresentazione realistica, idealistica, fantastica e role-playing. Ognuna di queste classi pone la rappresentazione del nostro io online, o avatar, in relazione con il nostro sé reale, e il grado di empatia e fedeltà con esso ne determina l’appartenenza. C’è una tendenza di TikTok che spiega bene questi concetti: quei video amatoriali che mostrano, al centro della ripresa, persone a figura intera muoversi come avatar in fase di selezione (dunque con delle piccole oscillazioni verticali delle ginocchia). La selezione è simulata anche nel video, che di solito propone quattro o più skin, spesso ironiche, che enfatizzano l’umore o le skill del performer. Questi video ci parlano di avatar, gaming, simulazione, rappresentazione, cosplaying. Sono un’interessante ibridazione amatoriale di linguaggi.
Hai realizzato anche diversi progetti usando la realtà virtuale. Ci puoi spiegare il tuo personale approccio al mondo delle realtà estese?
Il mio approccio alle realtà estese negli anni è oscillato tra l’attività artistica e l’attività di ricerca. I primi ambienti virtuali che ho creato erano legati a lavori stampati di grande formato, come Rainbowdream, esposto per la prima volta al Fotomuseum Winterthur nel 2017, in cui l’obbiettivo era quello di dare allo spettatore l’opportunità di poter circumnavigare la composizione 3D della stampa all’interno dell’ambiente virtuale, osservandola da diversi punti di vista e andando oltre la facciata dell’opera su carta. Scoprire cosa c’è oltre l’arcobaleno ti proiettava in un mondo completamente diverso da quello che si vedeva nella prospettiva di apertura dell’applicazione, prospettiva che combaciava a quella stampata. Ci sono piante, fuochi, cascate, un impianto sonoro più realistico e meno ovattato. In Moonligh Thoughts, esposto alla Triennale di Milano, ho creato un’atmosfera totalmente surreale, ambientata sulla luna: ti muovevi in mezzo a un testo, con frase personali e intime che avevano forma tridimensionale, e che lette al contrario diventavano una composizione di fonemi che non coincideva con il significato. Sometimes I Feel like that inside of Me invece è un ambiente virtuale buggato e glitchato, nel quale un plotone di animali della foresta replicati in maniera casuale si muove convulsamente sopra un piano.
L’attività di ricerca si è ibridata con il mio linguaggio artistico in lavori come l’ambiente VR Untitled (2018): qui lo spettatore quando indossava il visore si ritrovava in un ambiente asettico, una piattaforma bianca, con bianchi busti di donna presi dalla mia serie Woman as a Temple, e teste dal volto grottesco che si potevano lanciare come palle. La fruizione del lavoro doveva essere posta su una piattaforma rialzata di 20 cm che richiamava quella all’interno dello spazio virtuale. La consapevolezza di essere su un piedistallo forzava la persona che indossava il visore a non lasciare mai la connessione con lo spazio circostante per abbandonarsi al mondo virtuale. L’osservazione di come le persone reagissero a quest’ultimo fattore costituiva parte della mia ricerca scientifica.
Mi ricordo anche di un progetto sull’ASMR…
Bit Time Thing (2019) è un ambiente VR creato in seguito all’analisi linguistica di 50 testi di video ASMR. Ho estrapolato i 30 sostantivi più frequenti (con valore neutrale secondo il dataset Wiki Art Emotions) e li ho riprodotti come oggetti nell’esperienza virtuale. Quando una persona è in prossimità dell’oggetto una voce sussurrante – tipica dei video ASMR – ripete la parola a esso associata, in un gioco linguistico tradizionale. L’obiettivo era capire come cambia la percezione della sensazione di piacevole benessere che crea l’audio dei video ASMR attraverso l’interazione, quando per attivare l’audio bisogna navigare in un ambiente; e come cambia quando ci si ritrova davanti alla rappresentazione tridimensionale della parola stessa. Nel 2020, appena prima che la pandemia bloccasse il mondo intero, sono stata Visiting Fellow presso l’Ensad Lab, a Parigi, dove ho approfondito la mia ricerca delle emozioni esperite in VR nel gruppo di ricerca Spatial Media.
In breve, approccio le AR coi filtri facciali, un’attività quotidiana, a volte performativa, a volte narcisistica, a volte effimera. Uso i mondi virtuali navigabili su desktop come indagine per capire cosa si cela al di la delle apparenze di un’opera o di una frase. Uso il VR per esplorare sia artisticamente che scientificamente il mondo dei sentimenti, delle percezioni e dell’agentività. E uso il videogame per simulare attivamente la sensazione di uno stato d’animo.
A cosa stai lavorando in questo periodo? Qualche anticipazione sui progetti futuri?
Ho da poco esposto a Milano nello spazio di Care/of un progetto su cui lavoravo da tempo. Il lavoro è un’installazione composta da un videogame e da un machinima girato all’interno dello stesso, fruibili da due monitor affiancati su una postazione pink-gaming. Il mini-videogame che ho sviluppato, ancora in versione beta, è una singola scena di combattimento melee (corpo a corpo) nella quale una guerriera equipaggiata di spada e scudo rosa affronta un uomo completamente disarmato e in mutande. Nonostante la superiorità della donna in termini di abilità e equipaggiamento, l’uomo in mutande vincerà sempre. L’unico modo che ha la protagonista di sfuggire alla morte è quello di rifugiarsi nella safe zone, il corridoio poco illuminato alle spalle del maschio antagonista: rimanere confinata dunque, senza però finire nel portale invisibile che le farà ricominciare tutto il loop (prendere la spada e lo scudo, andare nel corridoio, lottare contro l’uomo in mutante ecc.). Il machinima usa il linguaggio gaming delle istruzioni di gioco presenti negli RPG: mentre aspetti che il gioco si carichi appaiono delle immagini statiche o con una minima animazione accompagnate da consigli o istruzioni utili allo svolgimento del gioco, inserite come sottotitoli. A metà strada tra ironia e denuncia, Loading instructions (mansplaining) mette in sequenza frasi tipiche del “mansplainer” sotto forma di consigli e suggerimenti per soddisfare il suo gioco. Alcune delle frasi inserite nel video sono risposte a una call sul mansplaining che avevo postato nelle storie di Instagram. Se con questo lavoro recentissimo volevo esprimere una sensazione di impotenza e vulnerabilità psicologica legato alla tematica del mansplaining, ho in previsione di sviluppare con gli stessi linguaggi altri due stati emotivi, che inserirò in contesti e scenari diversi.
Oltre a questo, sto sviluppando -in collaborazione con altre persone – il lavoro Dance Dance Dance una performance partecipativa basata su Roblox in cui gruppi estemporanee di avatar vengono coinvolti in balli di gruppo sincronizzati (con coreografie prese da librerie mocap, videogiochi famosi, videoclip, TikTok, e dalla danza contemporanea) all’interno di un ambiente virtuale programmato e disegnato da me.
– Valentina Tanni
Kamilia Kard è un’artista e docente nata a Milano. Dopo aver conseguito una laurea in Economia Politica, passa a studi artistici ottenendo un diploma triennale in Pittura e una laurea specialistica in Cinema e Video, Net Art all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Attualmente è dottoranda in Digital Humanities all’Università degli Studi di Genova. Insegna Comunicazione Multimediale all’Accademia di Brera e Modellazione Digitale 3D all’Accademia di Carrara. La sua ricerca esplora come l’iperconnettività e le nuove forme di comunicazione online abbiano modificato e influenzato la percezione del corpo umano, della gestualità, dei sentimenti e delle emozioni. Le sue opere sono state presentate a livello internazionale, tra cui Galerie Odile Ouizeman a Parigi, Dimora Artica a Milano, Metronom a Modena, Victoria & Albert Museum a Londra, P7 a Parigi, IMAL a Brussels, Fotomuseum a Winterthur, Svizzera, La Triennale di Milano, il Museo di Contemporary Art, São Paulo, Brasile, La Quadriennale di Roma al Palazzo Delle Esposizioni, Hypersalon, a Miami and il Museo del Novecento, Milano. Ha curato Alpha Plus. An Anthology of Digital Art (Editorial Vortex 2017). Ha partecipato come relatrice alla conferenza Machine Feeling (Transmediale e Cambridge University), una serie di panel focalizzati sul tema dell’intelligenza artificiale, del machine learning e delle nuove forme di linguaggio sociale e culturale da loro derivanti. È stata Visiting Fellow a Paris Sciences et Lettres EnsadLab nel gruppo di ricerca di François Garnier Spatial Media, focalizzandosi sui temi della cognitività e agentività all’interno degli ambienti VR.
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