La collettiva di undici artisti internazionali allestita a Milano presso l’Osservatorio Prada riunisce fotografia, video, performance e avrà il suo spin off dall’altra parte del globo, negli spazi di Prada Aoyama a Tokyo (a partire dall’11 marzo). A Milano le opere sono state letteralmente messe “a bagno” in una luce blu pensata per attenuare ogni caratteristica del luogo, creando un alter-ego spaziale che oscura l’identità architettonica dei due piani dell’Osservatorio. Ad aprire il percorso c’è la serie fotografica A Piece for A Peace. Si tratta di una performance realizzata all’interno di un videogioco online dove Darius Mikšys cerca di affermare la propria leadership proponendo agli altri partecipanti una sessione fotografica di gruppo. Poco più in là su due schermi compaiono gli avatar di padre e figlio, che danno vita attraverso voci robotiche a un intenso dialogo tratto dalle chat di Facebook. Con Consciousness Engine 2: absentblackfatherbot Bogosi Sekhukhuni ha voluto rappresentare il rapporto dell’artista con il padre che l’ha abbandonato.
LA MOSTRA ROLE PLAY A MILANO
Melissa Harris, la curatrice delle due esposizioni, ha dato un titolo a tutto ciò: Role Play. Ma questa espressione non l’ha inventata lei e nemmeno i gamer del Metaverso. L’ha coniata nel 1934 Jacob Moreno Levy, psicologo, filosofo e sociologo considerato un protagonista della disciplina psichiatrica, capace di spingersi oltre le ipotesi freudiane. Nel 1930 Moreno (origine rumena, residente a Vienna) emigra negli Stati Uniti, dove mette a punto lo “psicodramma”, tecnica che induce il paziente a recitare un avvenimento traumatico del suo passato prevedendo la presenza di un “nemico” (assistente medico). Il paziente di seguito entra lui stesso nel ruolo del suo antagonista, così da capire che cosa abbia provato nel momento del trauma. A questa prima accezione del termine si sono poi sovrapposti significati che riportano ad attività ludiche quali i wargame: simulazioni di conflitti effettuate dapprima con miniature o pedine, poi attraverso videogame sempre più sofisticati, violenti e immersivi. Nella mostra all’Osservatorio né l’accezione originaria né le successive paiono escluse. Piuttosto gli artisti qui rappresentati ne aggiungono altre. Un alter ego è foriero di aspirazioni: è noto come nella scelta degli avatar una percentuale non irrisoria di player sceglie di appartenere a una razza o a un sesso non corrispondenti alla propria persona “naturale”. Così come è noto che qualsiasi abito indossiamo nella vita reale sia una dichiarazione del ruolo che intendiamo interpretare nel contesto sociale che ci circonda.
GLI ARTISTI IN MOSTRA ALL’OSSERVATORIO PRADA
Di Cao Fei viene qui presentato un video dove i protagonisti sono “cosplayer” (un individuo che indossa nella vita reale il costume di un personaggio di un videogioco) spesso in lotta tra loro dentro a spazi immaginari. Un cosplayer si aspetta che il suo costume sia dotato di un potere magico che lo pone al di sopra di ogni preoccupazione.
Carica di empatia è la serie fotografica OMIAI♡ di Tomoko Sawada, dove l’artista trasforma se stessa in decine di diversi personaggi utilizzando costumi tradizionali, parrucche, trucco e aumentando di peso. Si tratta di immagini che si rifanno all’uso tradizionale giapponese dell’omiai, secondo il quale le famiglie scambiano le foto dei loro figli nella speranza di accasarli in modo adeguato.
Assai complesso è poi lavoro di Meriem Bennani, Guided Tour of a Spill (CAPS Interlude). Combina video amatoriali provenienti da canali online marocchini e mediorientali, filmati della raccolta Getty e materiali d’archivio dell’artista. Bennani l’ha definito “un documentario speculativo ambientato nel futuro in cui gli attori del cast (per la maggior parte appartenenti alla stessa famiglia) mettono scena se stessi, immaginandosi in un tempo futuro su un’isola chiamata CAPS”.
– Aldo Premoli
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