Il successo delle mostre immersive spiegato da un esperto

Parola a Massimiliano Siccardi, creatore di “Immersive Van Gogh Exhibit”, l’esperienza immersiva che sta spopolando oltreoceano

La pandemia è stata un momento di successo per le cosiddette esperienze immersive dedicate ai grandi artisti del passato. Tra tutte, la più celebre e influente è stata probabilmente Immersive Van Gogh Exhibit, incentrata su Vincent van Gogh e ora disponibile in venti città diverse tra Stati Uniti d’America e Canada. A fine 2021, la sua compagnia di produzione Lighthouse Immersive parlava di una vendita complessiva di 4,5 milioni di biglietti e di 250 milioni di dollari di incassi (a cui andavano aggiunti 30 milioni di dollari di merchandise). Come e più di un colossal cinematografico.
Il suo creatore è italiano e si chiama Massimiliano Siccardi: con una lunga esperienza in questo settore, dopo Immersive Van Gogh Exhibit Siccardi ha poi realizzato anche Immersive Klimt: Revolution, su Gustav Klimt, e la recente Frida: Immersive Dream, su Frida Kahlo. Lo abbiamo raggiunto via Zoom, per capire cosa offrano queste esperienze immersive e che posto abbiano nella divulgazione della storia dell’arte e nella scena artistica contemporanea.

Massimiliano Siccardi

Massimiliano Siccardi

INTERVISTA A MASSIMILIANO SICCARDI

Come nasce Immersive Van Gogh Exhibit?
È stata un po’ una scommessa. Io ho iniziato questo percorso in un posto che si chiama Carrières des Lumières a Les Baux-de-Provence. Prima si chiamava Cathedrale d’Images, è una cava di pietra calcarea di 4000 metri quadrati e alta 12 metri in cui fai un percorso dentro l’opera e dove Albert Plécy ha cominciato a proiettare negli Anni Settanta. Il mio primo contributo, all’interno di un’opera di Gianfranco Iannuzzi e Renato Gatto è stato nel 1996, in un momento in cui non si parlava proprio di questo genere di installazioni immersive. Quindi, io avevo già fatto due spettacoli su van Gogh, uno per Carrières des Lumières e uno per L’Atelier des Lumières di Parigi. A un certo punto ho interrotto la mia collaborazione con la società di produzione francese, avevo voglia di cambiare. Questa società di produzione canadese, Lighthouse Immersive, aveva visto a Parigi l’esperienza su van Gogh che avevo fatto, ma i miei coautori non erano intenzionati a dargliela e quindi ho proposto di farne una nuova per loro. Volevo realizzare uno spettacolo su van Gogh dal punto di vista di Vincent, dal punto di vista umano, della persona, invece che dell’artista. Mentre la produzione francese voleva che fosse messo in evidenza l’aspetto artistico.

Come funziona?
Entri in uno spazio grande, normalmente parliamo di 1500-2000-3000 metri quadrati… negli Stati Uniti d’America abbiamo aperto venti location in otto mesi e ognuna è diversa dall’altra e quindi ogni spettacolo è diverso dall’altro. Il pubblico entra in questo mondo di immagini enormi di 8-9 metri che lo avvolgono completamente e scorrono anche sul pavimento.

Tecnicamente c’è qualche particolare innovazione?
In realtà tecnicamente è una installazione relativamente normale, con proiettori e computer, come si fa da anni. La parte importante sono i contenuti e il connubio tra parte musicale e parte visiva.

Ha scelto un approccio esplicitamente non didascalico e non didattico. Perché?
Credo che per approfondire van Gogh si debba andare nei musei e guardare i quadri. Non è possibile riportare quella matericità in una proiezione digitale, quello che possiamo fare è valorizzare e mettere in scena il movimento che l’opera ha in sé. Non c’è bisogno di parlare e lo spettatore non ha bisogno di sapere: ha bisogno di sentire. Poi in spazi così grandi hai infiniti possibili punti di vista, sei tu che cuci la tua storia. È uno spettacolo immersivo emozionale. Un lavoro fatto di musica e suoni che ti porta dentro la testa e la storia di van Gogh senza mediazione. Non un lavoro didattico, ma un’opera su un’opera.

Immersive Van Gogh. Photo credits Jonathan Zizzo

Immersive Van Gogh. Photo credits Jonathan Zizzo

LE MOSTRE IMMERSIVE SU VAN GOGH E NON SOLO

Mi sembra che ci sia sempre il rischio di centrare tutta l’esperienza artistica nell’esperienza umana, persino psicopatologica, di van Gogh, togliendola dal contesto storico e, appunto, artistico di cui fa parte. Allo stesso tempo, il successo di queste esperienze immersive suggerisce che le persone vogliano entrare in contatto con l’arte del passato anche in questi modi, modi che forse i musei tradizionali non stanno offrendo. C’è qualcosa che le esperienze museali tradizionali potrebbero imparare da queste installazioni?
Credo che tutti i musei stiano andando verso l’immersività, verso la fruizione totale dell’opera attraverso varie tecnologie. È anche una moda: oggi tutto viene detto “immersivo.”

Il suo lavoro su van Gogh per L’Atelier des Lumières è finito nella serie televisiva Netflix Emily in Paris nel 2020, e poi Immersive Van Gogh Exhibit è stata spesso presentata dalle testate nordamericane come “l’esperienza su van Gogh dallo stesso autore di quella che avete visto nella serie.” Quanto ha contribuito al successo?
Intanto, la regia del lavoro di Parigi non era soltanto mia, ero insieme a Iannuzzi e Gatto, mentre stavolta è soltanto mia. Questa cosa di Emily in Paris, come il fatto che a New York sia venuta Madonna a vedere il mio spettacolo e poi ne abbia parlato sui suoi canali social, ovviamente aiuta tanto a spingere la comunicazione. Il fatto che i curatori della mostra di Chicago siano riusciti pure a far andare Lily Collins, l’attrice che interpreta Emily nella serie, a girare lì una piccola promozione è stata mediaticamente una cosa geniale.

Perché in questo momento le installazioni immersive stanno funzionando tanto bene? C’entra il fatto che oggi ci sia lo smartphone, cioè la possibilità di raccontare e condividere la propria esperienza?
Non so se lo smartphone abbia reso più interessanti queste installazioni, ma ha sicuramente amplificato il passaparola. Noi siamo capitati in un momento molto difficile, e quando le persone hanno potuto nuovamente uscire sono andate a cercare tutte le forme d’arte.

Immersive Van Gogh. Photo credits Jonathan Zizzo

Immersive Van Gogh. Photo credits Jonathan Zizzo

COME FUNZIONA UNA MOSTRA IMMERSIVA

È stato un problema l’arrivo di altre esperienze immersive simili alla vostra, anche incentrate proprio su van Gogh? O più ce ne sono meglio è?
Il mio punto di vista è che siamo in un mondo libero e anche se ce ne fossero cinquecento di esperienze su van Gogh io sarei una persona felice. Ognuno ha il suo punto di vista, e molte installazioni immersive che vedo hanno obiettivi didattici diversi dai nostri. La produzione ha espresso più timori, che alla fine però sono passati: da giugno a settembre abbiamo venduto più di 600mila biglietti solo a New York.

Vede le sue installazioni come opere d’arte indipendenti rispetto all’opera di van Gogh?
Sì, pensiamo che l’installazione immersiva sia un’opera d’arte. Lavoriamo sui grandi pittori perché è più facile: l’iconografia è già nota, c’è già una narrazione. Ma a un certo punto si andrà oltre, si faranno cose anche più interessanti: l’installazione immersiva è un nuovo medium. Ora va di moda, ma se non vogliamo che resti solo una moda e si esaurisca si deve evolvere.

Normalmente la sua opera viene descritta come “un modo per introdurre le persone a van Gogh”. Potremmo allora rovesciare il discorso e dire che “van Gogh è un modo per introdurre le persone al medium dell’installazione immersiva”?
Quello che io penso è esattamente questo. Quando un’installazione immersiva come questa fa grandi numeri, significa che il pubblico è pronto anche per altro.

Questo spiega perché una persona dovrebbe andarsi a vedere la sua installazione immersiva invece che il dipinto originale di van Gogh nel museo: perché non sono solo due modi diversi di raccontare la stessa cosa, ma sono proprio due opere diverse.
Esatto. È come andare a vedere un film su van Gogh: è un film su van Gogh, non è van Gogh.

Matteo Lupetti

https://www.immersivevangogh.com/

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Matteo Lupetti

Matteo Lupetti

Diplomato in Fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze nel 2010, gestisce il collettivo di fumettisti indipendenti Gravure e scrive di videogiochi per varie testate italiane ed estere. È diplomato in sommelerie all’interno dell’associazione FISAR ed è direttore artistico…

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