A tre anni dalla mostra alla Galleria Civica di Modena, Jon Rafman (Montréal, 1981) torna in Italia e porta le sue inquietanti (re)visioni degli angoli remoti di Internet a Milano negli spazi di Ordet. A prima vista si notano “arredamenti” meno sontuosi e allestimenti più “asciutti”, ma la carne al fuoco si conferma “grondante sangue”.
LA RICERCA DI JON RAFMAN
L’idea che attraversa la ricerca (e l’approccio) di Rafman fin dagli esordi è quella di un osservatore, di un sorvegliante, l’Egregore (2021), per citare il titolo del trittico che funge da fulcro dell’esposizione meneghina. Occhi puntati sullo schermo e capacità di scovare dettagli che definiscono gruppi, micro comunità, raggruppamenti spontanei, per poi introiettarli e utilizzarli come campionario da cui attingere nella formulazione di sintesi stranianti. CGI, 3D animation e immagini trovate si incontrano dando vita a un quadro composito che, pur mantenendosi aggrappato alla realtà così come la conosciamo, è in grado di aprire varchi verso una dimensione parallela.
L’IDENTITÀ SECONDO JON RAFMAN
Se da un lato si riflette sulla perdita dell’identità messa a rischio dalle potenzialità del deep fake come in ᖴᗩᑕIᗩᒪᔕ I, dall’altro si gioca a costruire mitologie contemporanee (Minor Daemon): per entrambi gli scopi la narrazione torna preponderante. In Punctured Sky, proprio come nella serie Prime Dark | Web, la scrittura della storia che sta alla base del video-racconto sembra mescolare vicende biografiche e fatti immaginari, così come nel genere creepypastas, che sfociano spesso nell’oscuro mondo dell’horror. Laddove reale e virtuale trovano la vera connessione.
‒ Claudio Musso
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