Gli studi postcoloniali si occupano di come l’eredità del colonialismo permanga nella nostra cultura e nei Paesi colonizzati, e almeno dalla metà degli Anni Dieci di questo millennio i loro strumenti sono stati usati anche per leggere i videogiochi e le loro meccaniche.
“La dimensione ludica è da molto tempo occasione per esplorare le possibilità di espansione imperialista” ha scritto Souvik Mukherjee in Videogames and Postcolonialism: Empire Plays Back (Palgrave Macmillan). “I videogiochi sono solo il medium più recente che ci permette di giocare a fare i generali (o i governanti) dalle poltrone di casa, simulando le meccaniche di controllo e di espansione territoriale”.
VIDEOGIOCHI E COLONIALISMO
Vengono subito in mente i videogiochi di strategia, come la serie Civilization (ora proprietà di Take Two), che ha un’espansione chiamata proprio Colonization per il suo quarto capitolo. Ma l’eredità del pensiero colonialista è ovunque: nell’esplorazione spaziale di No Man’s Sky di Hello Games, basata sull’estrazione di risorse da pianeti a cui possiamo anche dare il nome, e nel modo in cui opere come Elden Ring di FromSoftware, il videogioco scritto in collaborazione con George R. R. Martin (Cronache del ghiaccio e del fuoco), contengono segreti che sono pensati unicamente per essere scoperti e violati. Finito lo spazio fisico sulla Terra, e in attesa che inizi veramente la conquista del nostro sistema solare, il videogioco ci permette di giocare al colonialismo in una frontiera virtuale pensata per noi.
Alla conferenza DiGRA India del 2021 la narrative designer angloindiana Meghna Jayanth portò un interessante intervento intitolato White Protagonism and Imperial Pleasures in Game Design (Protagonismo bianco e piaceri imperialisti nella progettazione di giochi).
“I videogiochi sono possibili solo grazie alle tecnologie, ai sistemi di conoscenza, alle collaborazioni, alle piattaforme, alle strutture e persino agli eccessi di capitalismo e colonialismo” dice Jayanth. E sono formati intorno a fantasie tipiche del pensiero colonialista: controlliamo personaggi principali che sono caratterizzati dalla loro libertà di scelta e d’azione e da cui dipende il destino di un mondo che invece è descritto proprio come privo di libertà di scelta e d’azione. Noi siamo gli unici soggetti in un mondo di oggetti, di risorse da sfruttare e di entità che esistono solo per aiutarci o per impedirci (ma solo temporaneamente) di ottenere tali risorse.
Alcune opere hanno proposto alternative a queste meccaniche e a queste narrazioni. Ne sono esempio i videogiochi di Elizabeth LaPensée, come When Rivers Were Trails, una rilettura del classico videogioco educativo The Oregon Trail dedicata alle conseguenze del Dawes Act del 1887, una legge che costringeva le popolazioni native americane ad accettare un sistema di gestione delle loro terre basato sulla divisione in lotti e sulla proprietà privata. O i videogiochi di Studio Oleomingus (Dhruv Jani e Sushant Chakraboty) come The Indifferent Wonder of an Edible Place, che parla della distruzione dei luoghi e della conseguente scomparsa delle loro storie. L’intera opera di Studio Oleomingus è incentrata sulla critica alla storia ufficiale come prodotto prima di forze colonizzatrici e, dopo e in opposizione al colonialismo, di nuove élite nazionaliste che sono oggi “colonizzatrici della loro stessa gente”.
THE VIRTUAL FRONTIER DI SJORS RIGTERS
Il rapporto tra videogioco e colonialismo è anche il tema affrontato nel video-saggio The Virtual Frontier di Sjors Rigters, di cui abbiamo già discusso su queste pagine l’opera Polarized Interactions, che parla invece del comportamento dei “personaggi non giocanti” (le entità controllate dal software e non da chi gioca) in Grand Theft Auto 5 di Rockstar Games. In The Virtual Frontier Rigters discute il videogioco Minecraft (Microsoft), che ci mette a disposizione un mondo quasi infinito in cui tutto (persino la popolazione) può essere trasformato senza conseguenze in risorse per costruire quello che vogliamo. Minecraft è uno dei prodotti culturali più rilevanti al mondo: con i suoi 238 milioni di copie è oggi considerato il videogioco in assoluto più venduto nella storia del medium e ha anche una Education Edition pensata per l’uso nelle scuole, cioè è esplicitamente proposto come videogioco educativo. Ma già nel 2016 lo studioso Daniel Dooghan scriveva che videogiochi “come Minecraft normalizzano nelle persone che li giocano quei miti su imperialismo e capitalismo che cercano di giustificare l’ineguaglianza politica ed economica. Minecraft non offre a chi gioca una pagina bianca su cui scrivere, ma ci premia se accettiamo di considerare naturalmente nostre le risorse del suo mondo e, quindi, se accettiamo di considerarci naturalmente superiori ai suoi abitanti”.
The Virtual Frontier di Sjors Rigters è disponibile online fino al 5 maggio 2022 all’interno della rassegna VRAL, supplemento del Milan Machinima Festival, il festival italiano dedicato ai film realizzati dentro videogiochi o con strumenti legati allo sviluppo di videogiochi.
‒ Matteo Lupetti
https://milanmachinimafestival.org/vral-screening
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