Una riflessione sugli NFT: il caso Decentral Art Pavilion a Venezia
Ultimi giorni per visitare a Venezia la mostra dedicata interamente al mondo degli NFT che, fino al 20 giugno, trasforma Palazzo Giustinian Lolin nella sede espositiva di Decentral Art Pavilion. Tra molti dubbi, e certezze non troppo rassicuranti, ecco la nostra impressione
Fra le innumerevoli rassegne inaugurate a Venezia durante il periodo della Biennale non poteva mancare un progetto incentrato completamente su uno dei temi più caldi per l’attuale sistema dell’arte: gli NFT. Stiamo parlando di Decentral Art Pavilion, la rassegna curata da Florencia S.M. Brück, Javier Kasuk, Simone Furian e Diego Lijtmaer che prova a convincere l’opinione pubblica sulla validità qualitativa della cosiddetta criptoarte. Prima di muoverci su questo terreno scivolosissimo urge però fare un po’ di chiarezza, partendo da un fraintendimento enorme che si trova proprio alla base di questo fenomeno, ovvero il suo stesso nome.
L’EQUIVOCO DEGLI NFT
Superato un primo periodo di hype clamoroso sull’argomento, bisogna fare un passo indietro per comprendere che il termine “NFT” (acronimo di “non-fungible token”, ovvero “gettone non sostituibile”) non può e non deve essere usato come sinonimo di “opera d’arte”, in quanto esso altro non è che un mero certificato di autenticità di un’opera digitale, né più né meno. Definire quindi un artista come “autore di NFT”, o parlare di un lavoro in termini di “opera NFT” corrisponde a una inesattezza che si insinua nell’immaginario collettivo donando all’intero fenomeno un’aura che purtroppo non gli appartiene; che poi un’artista possa avere anche competenze informatiche e generare/mintare autonomamente un NFT è un altro discorso. Capito questo primo passaggio fondamentale, possiamo finalmente concentrarci sul problema successivo: la qualità delle opere vendute tramite gli NFT.
PRO E CONTRO DELLA CRIPTOARTE
Per quanto questo sistema possa creare perplessità e dissapori, bisogna effettivamente constatare i risvolti positivi per tutti quegli artisti digitali che fino a ora non si sono mai sentiti così tutelati da un punto di vista sia legale sia intellettuale. Difatti ogni eventuale transazione viene registrata e resa nota all’interno di una “blockchain”, ovvero (come spiega Domenico Quaranta nel suo Surfing con Satoshi) “un database distribuito le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia”. Dall’altra parte, una categoria come quella dell’artista digitale è stata ora completamente sdoganata risucchiando al suo interno tutti quegli autori, illustratori e graphic designer che, nascendo e sviluppandosi attraverso piattaforme quali Tumblr, DeviantArt ecc., si sentono giustamente legittimati a conquistarsi un piccolo posto all’interno del mercato, senza però brillare quanto un artista a tutti gli effetti. Cosa significa questo? Che, puntando principalmente sull’“effetto wow” – dettato il più delle volte da un’alta padronanza della tecnica –, la stragrande maggioranza degli elaborati venduti tramite NFT rimane a un livello molto povero e superficiale, impedendo inevitabilmente l’individuazione di concetti solidi e di motivazioni concrete solitamente interconnesse all’aspetto artistico/umano.
IL PROGRAMMA DEL DECENTRAL ART PAVILION A VENEZIA
Allestito all’interno dello spettacolare Palazzo Giustinian Lolin, Decentral Art Pavilion si compone di una mostra principale, Singularity, e di altre sei esposizioni concepite per susseguirsi a rotazione fino al 20 giugno; fra queste ricordiamo: Photography & NFTs (a cura di Arianna Grava e con la partecipazione di autori del calibro di Stefano Babic, Cristina De Middel e Bruce Gilden), Fashion and Luxury NFTs, in collaborazione con Dolce&Gabbana, e Women & NFTs, dedicata al lavoro di ventisette artiste. Nonostante le diverse iniziative proposte, nel complesso Singularity si presenta come un’esposizione algida costituita prettamente da svariati display (il più delle volte verticali e monolitici) all’interno dei quali si alterna un numero altissimo di immagini digitali. Trattati alla stregua di carne da macello, i quasi cento artisti selezionati – fra i quali non potevano mancare Federico Clapis e Giuseppe Veneziano – si mescolano tra di loro risultando più vicini a dei bravi creatori di screensaver piuttosto che ad autori intenzionati a parlare veramente di qualcosa. Fra mondi futuristici, personaggi cyberpunk e discutibili virtuosismi digitali, la mostra porta lo spettatore a soffermarsi di più sui costi di un’operazione simile (se si calcolano le spese relative ai dispositivi tecnologici, al trasporto degli stessi e al consumo di elettricità) piuttosto che sul valore intrinseco delle singole opere: un pensiero poco rassicurante se si prende in considerazione il sottotitolo del progetto, Decoding NFTs and the future of art. A chiudere in bellezza la rassegna è una stanza immersiva nella quale poter ammirare Everydays, l’oramai iconico lavoro di Mike Winkelmann, in arte Beeple.
‒ Valerio Veneruso
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