Giovanni Motta è nato a Verona nel 1971. Da sempre dotato di creatività, capacità realizzative e soprattutto abilità nel disegno, ha continuamente sentito la necessità di esprimersi attraverso l’arte: ha recitato, ha disegnato e ha realizzato scenografie. Ha sempre immaginato di diventare un artista, ma, condizionato dalla percezione che vivere d’arte fosse quasi impossibile, ha lavorato nel mondo pubblicitario e in quello della comunicazione come direttore creativo. A fine giornata, però, si è sempre ritagliato uno spazio per dedicarsi alla pittura, la sua grande passione. Con i suoi dipinti ha anche partecipato a varie mostre personali e collettive in Italia e all’estero, ma rimaneva insoddisfatto, perché non aveva la possibilità di dipingere a tempo pieno.
Così, nel 2018, a 47 anni, ha deciso di chiudere tutte le sue altre attività e di dedicarsi interamente all’arte. Questa svolta radicale lo ha portato a definire ancora meglio la sua visione. Nel 2020 è stato uno dei primi artisti ad avvicinarsi al mondo della criptoarte ed è oggi uno degli artisti italiani più importanti di questo ecosistema. Dal 20 al 24 luglio sarà presente a Videocittà, Festival della Visione presso il Gazometro di Roma.
INTERVISTA A GIOVANNI MOTTA
Nelle tue opere è molto presente il tema del bambino interiore: come è nato?
Ho cominciato molto presto la ricerca che mi ha portato alla scoperta del bambino interiore attraverso il recupero di memorie emotive.
Intorno ai vent’anni ho sentito l’esigenza di cercare e recuperare il mio personale bambino interiore. L’ho identificato nel periodo della pubertà (8-12 anni circa), perché penso che in quel periodo debba essere successo qualcosa o qualcosa mi debba essere mancato. Se non avessi fatto questa ricerca su me stesso, credo che mi sarei ammalato… Ho usato l’arte come cura e ho esplorato questo tema con letture di Proust, Hillman e di autori che trattano di viaggi temporali che permettono di recuperare sensazioni.
Johnny Boy, protagonista delle tue opere, è nato dopo?
Sì, il tema del bambino interiore è stato il tema iniziale in cui mi sono cimentato. Dopo è nato Johnny Boy. Ho sempre avuto una grande passione per manga e anime giapponesi. Questo ha condizionato la mia estetica ed è stato il punto di partenza da cui ho cominciato a costruire la mia iconografia molto riconoscibile, composta da oggetti pop di uso comune e un bambino in stile cartoon: Johnny Boy. Tutta la mia arte è costituita da Johnny Boy e oggetti pop.
Gli oggetti comuni, riconoscibili da tutti, hanno una carica emotiva e portano un valore differente da persona a persona. Ed è proprio grazie a questi oggetti che noi possiamo recuperare i fatti della memoria.
Spero che di fronte a una mia opera, grazie a Johnny Boy e agli oggetti che lo accompagnano, il fruitore recuperi i fatti della sua memoria e si metta in contatto con il proprio bambino interiore.
Come parleresti della tua poetica? Cosa significa per te fare arte?
Dall’esterno un artista dà sempre la sensazione di vivere una vita fantastica, molto creativa e brillante. In realtà, il mestiere dell’artista è molto difficile perché è essenziale vivere in una condizione quasi di crisi, trovarsi in una situazione di passaggio rispetto a ciò che si è, ciò che si dovrebbe essere e ciò che si desidera comunicare attraverso la propria visione.
Nella mia arte è fondamentale la ricerca. L’essere umano cresce, diventa adulto e dimentica il centro della propria esistenza perché vive in uno stato di continua preoccupazione, mentre il bambino sa vivere il presente.
Il motivo per cui ho cominciato a fare arte è stato curare il mio bambino interiore; il motivo per cui continuo a farla è permettere agli altri di fare la mia stessa scoperta, che secondo me è fantastica.
GIOVANNI MOTTA E GLI NFT
Come e perché sei arrivato a realizzare opere NFT?
Io uso i programmi di animazione digitale già dal 1999/2000, ossia da quando ho comprato Maya perché volevo modellare e animare il personaggio di Johnny Boy e farlo diventare un cartone animato. In seguito, nel 2009, ho comprato una stampante 3D e ho approfondito il character design del mio personaggio. Inizialmente, però, come sai, l’ho fatto solo per passione.
Nel 2020 è arrivata la svolta. Ho scoperto la Criptoarte grazie agli Hackatao, che mi hanno spiegato tutto di questo mondo e mi hanno aiutato a entrarci. Per me, il passaggio è stato semplice e abbastanza immediato. Non mi sono trasformato in un artista digitale, lo ero già da vent’anni. Avevo già del materiale pronto per essere ulteriormente elaborato e reso arte e così ho fatto: il primo gennaio 2021 ho venduto il mio primo NFT su SuperRare.
Continui a lavorare anche come artista nel mondo dell’arte tradizionale. Che rapporto senti tra questi due mondi?
La mia natura è quella di artista fisico e per questo continuerò a realizzare pitture in acrilico e sculture in stampa 3D. A settembre ci sarà una mia mostra personale nella galleria Func a Shangai e le venticinque opere che produrrò per questa esposizione sono già state vendute.
Il lavoro NFT lo porto avanti in parallelo, ma non è strettamente collegato alle opere fisiche. Grazie alla Criptoarte, sto sviluppando la mia ricerca, realizzando video e dando animazione e movimento a quello che i miei dipinti acrilici possono solo mostrare come immagini fisse.
Secondo te, che ruolo ha l’artista nel mondo di oggi?
Io penso che l’artista abbia una grande responsabilità. La prima responsabilità è offrire la possibilità di un punto di vista differente alle persone che vivono la quotidianità con una dinamica sempre uguale a se stessa e creare opportunità di confronto con se stessi su diversi piani di lettura.
In più, oggi, l’artista ha anche la responsabilità di essere un ponte tra due mondi: il mondo fisico (matita, blocco, pennello) e il mondo virtuale. Gli artisti come me “che stanno nel mezzo” devono traghettare le persone, raccontare il passaggio e rendere possibile la comprensione di questi due mondi.
Sei legato ad alcune gallerie? Ci racconti il rapporto con loro? Cosa è cambiato dopo l’avvento dell’NFT?
Il sistema dell’arte tradizionale esercita una forza che parte dall’alto e porta l’artista a un successo più o meno grande, seguendo le sue regole. Queste regole difficilmente permettono all’artista di mantenersi e di vivere d’arte.
La Criptoarte è sostanzialmente un’avanguardia e, come tutte le avanguardie, è spinta da una forza molto grande e disordinata che spinge dal basso, appoggiata su una community forte che vive sul web e si confronta attraverso i social network. Di conseguenza, l’artista emerge grazie alla spinta della community e non grazie alle regole del sistema dell’arte tradizionale.
Con l’avvento della blockchain e dell’NFT, che hanno permesso di rendere unico un file, si è venuto a creare un nuovo mercato con nuovi protagonisti e nuove regole.
Le gallerie, adesso, corrono il rischio di essere travolte dalle nuove gallerie che stanno nascendo, grazie a giovani che hanno compreso le dinamiche della community e creano entità con valori nuovi e diversi.
Io, per esempio, prima, lavoravo con gallerie in Colombia, in Belgio e in Svizzera, ma ho dovuto chiudere i miei rapporti con esse perché da una parte non erano in grado di comprendere il mio nuovo percorso e dall’altra ho sentito la necessità di occuparmi personalmente dell’aspetto commerciale. Ora mantengo solo la collaborazione con la galleria di Shangai, che ha l’esclusiva per l’Oriente, mentre per il resto del mondo sono io a gestire direttamente i rapporti con accordi particolari. In futuro, mi piacerebbe comunque incontrare un partner per l’Europa e per gli Stati Uniti.
LA CRIPTOARTE SECONDO GIOVANNI MOTTA
Pensi che il mondo della criptoarte abbia bisogno di coinvolgere critici o persone che possano mediare con voi artisti?
Sì, penso che questo sia fondamentale. C’è, però, un grande problema. Il critico che proviene dal mondo dell’arte tradizionale deve uscire dalla propria zona di comfort e capire che il mondo dell’arte NFT ha un’altra dinamica, quella dell’avanguardia, che parte dal basso. Deve quindi portare le proprie competenze entrando con molta delicatezza.
Inoltre, penso che sia vantaggioso avere una varietà di critici, una critica che arriva dal mondo dell’arte tradizionale e una che si formi nel mondo NFT. Molti artisti, infatti, sono già riusciti ad affermarsi in questo ecosistema e quindi non sulla base tradizionale di sistemi di lettura.
I critici dell’arte NFT dovranno studiare in modo autodidatta il linguaggio della digital art, delle varie correnti, interpretarli e avere il coraggio di esporsi, proponendo una visione indipendente.
Sarà anche interessante vedere come la critica dell’arte tradizionale interpreterà la Criptoarte.
Cosa ti aspetti dal futuro del mondo NFT?
Mi aspetto grandi cose. Penso che il mondo della Criptoarte possa dare la possibilità al mondo dell’arte tradizionale di trovare una nuova dimensione. Ci sono traguardi più vicini e traguardi più lontani, ma penso che il mondo dell’arte stia profondamente cambiando sia a livello curatoriale sia espositivo.
Quindi pensi che il mondo dell’arte NFT cambierà anche il mondo dell’arte tradizionale?
Credo di sì. Pensa che tutte o almeno la stragrande maggioranza delle nuove generazioni di artisti saranno native digitali. Nelle accademie e nei licei, davanti alla scelta tra pennello e penna ottica, sceglieranno la penna ottica. Nei prossimi quindici anni probabilmente avverrà un cambiamento: non ci saranno quasi più artisti fisici e dipingere sarà considerato “vintage”.
L’importanza della gestualità e del tratto quasi sicuramente si perderà, ma le idee avranno più rilievo e assumeranno sempre più importanza. Se tutti disegneranno con modalità simili, emergerà chi avrà l’idea più creativa e chi sarà in grado di trasmettere un qualcosa in più.
Cosa pensi del metaverso?
Penso che la vita nel mondo fisico sia molto complicata: bisogna prepararsi, leggere, osservare, prendere contatto con la propria mente e con la propria anima. Bisogna essere capaci di osservare gli altri, approfondire la propria passione, la propria cultura, la storia. È molto difficile strutturarsi per vivere nel mondo fisico, ma ogni cosa è complicata, se vuoi che ti dia soddisfazione.
Quindi succede questo: la massa non vuole fare fatica perché è pigra e vuole che le venga semplificata la vita e accoglie le innovazioni tecnologiche in grado di farlo.
Il metaverso è un viaggio straordinario che può aprire nuovi orizzonti e permettere nuove esperienze, se considerato nel verso corretto, ossia studiato e compreso nella propria essenza. Altrimenti, il metaverso rischia di diventare solamente una semplificazione ulteriore della vita e annullerà ciò che è difficile da accettare, ma interessante da scoprire.
Questo è il rischio che vedo per il metaverso: da una parte è una grande opportunità di ampliamento, dall’altra è una grande occasione di semplificazione.
I PROGETTI DI GIOVANNI MOTTA
Stai lavorando a qualcosa adesso?
Sto lavorando a due progetti: uno fisico e uno cripto. Il progetto fisico è una mostra personale composta da dipinti e sculture 3D che, come dicevo, esporrò nella galleria Func di Shangai a settembre. Il progetto cripto, invece, è un comic book NFT dal titolo Metaborg – fight to survive. Il drop è previsto il 7 luglio sulla piattaforma Nifty Gateway.
Puoi dirci qualcosa in più riguardo a Metaborg?
È un comic book NFT scritto e disegnato interamente da me. La storia è ambientata in un mondo distopico in cui sopravvivono solamente bambini maschi e una sola bambina, di cui non si conosce né il nome né dove sia.
I bambini per sopravvivere si uniscono in bande, eleggono un capo alpha e il loro unico mantra è: combatti per sopravvivere. Organizzano, quindi, tornei di lotta e si affrontano per determinare chi è il più forte e coraggioso. Johnny Boy, protagonista del comic book, affronterà diverse sfide per qualificarsi al Metaborg, grande torneo in cui partecipano trentadue guerrieri, ispirati da personaggi reali del mondo cripto.
Il fumetto sarà una open edition e saranno acquistabili tavole molto rare, tavole rare e tavole “comuni”, collezionabili da tutti.
Hai progetti per il futuro?
Il progetto Metaborg, per me, è solo all’inizio. Sto scrivendo e disegnando il secondo e il terzo volume. Sto lavorando per stamparli e renderli fisici. Realizzerò collectible di tutti i guerrieri presenti nel comic book. Insomma, il progetto non finirà. Ho anche già collaborato con GionnyScandal a una sigla in stile cartone animato.
Gionny è un mio caro amico, artista e cantante, che ha saputo interpretare alla perfezione il mio immaginario, realizzando una sigla che trovo assolutamente magnifica.
Dove ti troveremo fra un anno?
Fra un anno mi vedo ancora in laboratorio a dipingere e a disegnare opere nuove per far vivere la mia fantasia.
‒ Alessio Tozzi
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