Un artista che ha somministrato funghi allucinogeni a una Intelligenza Artificiale
Cosa accadrebbe se dessimo in pasto a un’intelligenza Artificiale dei funghi allucinogeni? A questa domanda prova a rispondere l’artista Roberto Fassone. Presentato nello spazio torinese di Combo, il progetto apre interrogativi sul rapporto uomo/macchina
Nel 1968 il geniale Philip K. Dick diede alle stampe quello che, grazie anche alla rispettiva trasposizione cinematografica (Blade Runner di Ridley Scott), è forse considerato il suo romanzo più famoso, ovvero Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Un titolo/quesito apparentemente enigmatico che, in tempi non sospetti, già gettava le basi per alcune questioni di natura squisitamente empatica che oggi ci appaiono a dir poco attuali. Grazie al repentino avanzamento tecnologico proprio della nostra epoca, una presenza come quella delle Intelligenze Artificiali si sta addentrando sempre più nel quotidiano di noi tutti, rappresentando di fatto una tendenza che ci sta costantemente portando a considerare sotto prospettive nuove le macchine stesse. Fra software in grado di tradurre testi scritti in immagini e dichiarazioni sul presunto carattere senziente delle IA (come testimonia il caso di LaMDA, il chatbot sviluppato da Google), in quest’ultimo periodo stiamo assistendo a una serie di rivelazioni che attribuiscono alle Intelligenze Artificiali qualità e prerogative molto più vicine a sfere etico/religiose piuttosto che alla mera scoperta scientifica: riflessioni lecite e suggestive che però possono rischiare di distogliere l’attenzione dal fatto che una macchina, in quanto tale, viene per forza di cose programmata dall’ingegno umano e, pertanto, non può essere né razzista o discriminatoria né tantomeno dotata di sensibilità; tutt’al più si può parlare di influenze derivate dalle scelte e dalle competenze del suo programmatore. O almeno per adesso.
IL PROGETTO DI ROBERTO FASSONE
Per quanto certe ipotesi possano risultare addirittura inquietanti, è indubbia la presenza di un potenziale altamente immaginifico in grado di stimolare così tanto gli artisti da indurli a concepire scenari non privi di una certa carica poetica. Di questo sa qualcosa Roberto Fassone (Savigliano, 1986) che, grazie alla collaborazione con Federico Bomba e con il linguista computazionale Andrea Zaninello – cuori pulsanti dell’organizzazione culturale Sineglossa –, ha dato il via a un curioso progetto che prende vita proprio da questi presupposti. Stiamo parlando di And we thought | Food Data Digestion, l’opera multimediale concepita di recente nell’ambito di Cantieri 2022, il programma di alta formazione dedicato alle arti performative promosso dalla Fondazione Compagnia di San Paolo in sinergia con Earthink festival, Casa Fools e Play with Food festival.
Introdotto lo scorso 17 giugno presso la sede torinese di Combo, attraverso un talk coordinato anche da Valentina Tanni, il lavoro è nato dalla curiosità di provare a nutrire idealmente una Intelligenza Artificiale con dei funghi allucinogeni. L’obiettivo? Quello di ricevere degli output che fossero capaci di far trasparire un qualche tipo di coscienza inaspettata. Per fare questo è stato necessario sviluppare un software che, grazie alla “digestione” di migliaia di report di viaggi psichedelici – scaricati da un sito apposito e raccolti poi con l’intento di costituire il dataset di partenza –, ha elaborato a sua volta centinaia di racconti alternativi che in qualche modo rivelano fantasiose esperienze “personali”. Chiamato Ai Lai (sottile allusione all’atto del mentire, leitmotiv costante della pratica di Fassone), il suddetto modello linguistico è stato addestrato in modo da garantire non solo la successione coerente di parole all’interno del testo desiderato, ma anche uno sguardo al contesto complessivo utile alla restituzione di output dalle sembianze estremamente naturali. Una volta appreso il da farsi, la macchina è stata così in grado di generare autonomamente delle narrazioni sorprendenti partendo da un solo titolo/input.
LA MOSTRA DI ROBERTO FASSONE A TORINO
Allestita in una stanza dell’ostello di Combo, la mostra And we thought |Food Data Digestion (visitabile fino al 21 luglio prima di toccare Linz, dal 7 all’11 settembre, in occasione della prossima edizione di Ars Electronica) si compone così di tutti i risultati suggeriti da Ai Lai, ovvero il libro And we thought a rainbow it’s the best idea I ever had, contenente i resoconti dei nuovi trip, una serie di video collage nei quali l’artista recita alcuni estratti dei racconti contenuti nella pubblicazione (ma le esperienze non le aveva vissute Ai Lai? Perché ne parla qualcun altro?), alcuni poster prodotti dalle suggestioni dei report – fin troppo grafici e minimali per avere attinenze plausibili col mondo della psichedelia – e l’album O. O. C. di Killa, nato da un racconto nel quale i protagonisti fumano dell’erba ascoltando il sopraindicato disco realizzato da un musicista “inesistente”. Fra gli aspetti più interessanti di tutta l’operazione vi è forse proprio questo tipo di scambio creativo che ha portato Fassone a concepire Ai Lai che, a sua volta, ha indotto l’autore stesso a chiedersi, per esempio, quali potessero essere le sonorità contenute in questo fantomatico lavoro discografico: un’intuizione valida che, purtroppo, non riesce a sostenere il peso provocato da una lacuna non indifferente alla base dell’intera opera.
UNA FALLA NEL SISTEMA
Nonostante i presupposti siano più che promettenti e il progetto decisamente complesso e intrigante, And we thought | Food Data Digestion risulta un lavoro abbastanza debole e freddo ma, attenzione, non perché riguardi esplicitamente un’Intelligenza Artificiale (che di per sé può anche trasmettere un certo tipo di calore), ma poiché ciò che manca di più è il fattore umano ovvero il suo stesso ideatore, Roberto Fassone. A differenza di altre sue opere precedenti, l’artista qui sembra non essersi messo abbastanza in gioco affidandosi un po’ troppo all’aspetto cool insito in argomenti riguardanti tanto le Intelligenze Artificiali quanto l’assunzione di sostanze stupefacenti. Come è stato infatti affermato nel comunicato stampa della rassegna, Fassone non ha mai provato in vita sua dei funghetti allucinogeni, esperienza mancata che inevitabilmente gli ha impedito di trattare in maniera seria e rispettosa una materia così profonda da aver gettato le basi, nel corso di millenni, per la fondazione di culti e religioni (non è infatti un caso se tali funghi vengono nominati anche con l’aggettivo “sacri”). Quanta genuinità in più avrebbe acquistato tutta l’operazione se l’autore avesse provato in prima persona ciò di cui ha trattato? E chissà che tipo di condivisioni e rapporti effettivi si sarebbero potuti instaurare se solo si fosse deciso di preservare un po’ di più un’onestà intellettuale che, per forza di cose, fa la differenza!? Quella stessa componente indispensabile, cioè, che ad esempio spinge imprenditori e startupper della Sylicon Valley a praticare microdosing (consuetudine che consiste nell’auto somministrazione di piccole dosi di determinate sostanze finalizzata sia all’implementazione creativa sia al miglioramento della singola produttività) o che ha indotto uno scrittore come Philip K. Dick a fare uso di LSD e mescalina. Probabilmente anche questa volta ci sarà bisogno di un’Intelligenza Artificiale per venire a capo di questo ennesimo mistero.
‒ Valerio Veneruso
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