Residenze Digitali, l’iniziativa che porta le arti performative online
Il digitale non come strumento aggiuntivo, ma come contesto autonomo in cui dare forma a contenuti performativi. È questo lo spirito di “Residenze Digitali”, l’iniziativa che sostiene progetti destinati al web
Si è appena conclusa la terza edizione di Residenze Digitali, iniziativa a sostegno di progetti performativi destinati all’universo del web. I vincitori di questo terzo bando, volto alla produzione di un lavoro originale, spaziano dal mondo delle performing arts (gruppo nanou e Teatrino Giullare) a quello del gaming (Kamilia Kard, Christina G. Hadley e Ultravioletto) e dell’interactive design (BOTH Industries), dimostrandoci che i confini tra queste discipline possono farsi sempre più labili. Un campo vastissimo ma ancora tutto da indagare, inquadrare, sviluppare. Ne abbiamo parlato con Luca Ricci, direttore di Capotrave/Kilowatt, tra i capifila del progetto.
INTERVISTA A LUCA RICCI
In quale contesto e da quali esigenze nasce il progetto Residenze Digitali?
Il contesto è quello della pandemia. All’inizio del lockdown, dopo aver improvvisato un primo progetto performativo destinato al web, che ebbe quasi duecentomila visualizzazioni, abbiamo sentito il bisogno di qualcosa di più strutturato per rispondere alla situazione di crisi.
Le residenze digitali vogliono spronare a utilizzare lo strumento digitale non come canale di trasferimento sul web di un prodotto pensato per la scena, ma davvero come un veicolo di creazione. Alla prima call, che abbiamo lanciato insieme ad Armunia ‒ centro di residenza della Toscana ‒ e a cui si sono subito aggiunti Amat e Anghiari Danse Hub, sono arrivate più di 300 proposte. Erano anni che non mi capitava di trovarmi di fronte a una tale mole di cose nuove, da imparare.
Cosa lega le realtà che compongono il network?
Il digitale è spesso visto come il nemico della scena, qualcosa che potrebbe “uccidere il teatro”. Il cinema lo ha fatto? No. La verità è che il teatro non muore mai.
Il motivo che ci tiene insieme credo sia stato proprio il vedere questo spazio come qualcosa di ulteriore, aggiuntivo, capace di moltiplicare la creatività, senza nulla togliere alla scena. Dall’estero oggi ci chiedono consigli per sviluppare progetti simili.
Come sono stati scelti i sei progetti vincitori?
Scegliamo su carta quelli che promettono di utilizzare il mezzo in una maniera creativa, poi li seguiamo per sette mesi.
Cosa accade durante questo tempo?
Ogni progetto riceve 3500 euro ed è sostenuto attraverso un percorso di accompagnamento. Ognuno degli enti facenti parte del network segue un progetto nello specifico, ne cura gli aspetti drammaturgici e tecnici. Una volta al mese ci riuniamo in una sorta di “agorà” in cui discutere di ognuno dei sei progetti. Talvolta sono gli artisti stessi che si aiutano tra di loro.
I VINCITORI DI RESIDENZE DIGITALI 2022
Cosa hanno in comune i sei vincitori e cosa li differenzia l’uno dall’altro?
Sono progetti intergenerazionali, provenienti da panorami diversi: non solo le performing arts, ma, sempre più presenti, anche le arti visive e il gaming. La liveness è un tema che accomuna quasi tutti i progetti vincitori. La dinamica interattiva è qui anche più forte di quella che si può costruire in una sala teatrale. Quest’anno da una parte la gaming culture è molto forte, dall’altro abbiamo scelto dei progetti che siano connessi a una lettura del presente e che sappiano uscire dalla propria comfort zone.
Ci parli brevemente dei sei progetti vincitori?
Due realtà sono legate alle performing arts, Teatrino Giullare, che ha riletto l’Orestea nel centenario di Pasolini con una forte estetica filmica, e gruppo nanou, che lavora sullo spostare la scrittura coreografica sulla telecamera, rendere l’occhio dello spettatore danzatore.
I progetti di Kamilia Kard e Christina G. Hadley richiamano la cultura del gaming, due percorsi con avatar all’interno di mondi fantastici, uno botanico e l’altro urbano ‒ il quartiere di Primavalle a Roma visto attraverso un prisma alla Wes Anderson. Ultravioletto, che viene dall’interaction design, ha dato vita a un deserto digitale, dentro cui scoprire tracce lasciate sui social media che indagano il rapporto tra vita e morte, schegge di realtà che ci riportano al mondo reale all’interno di un universo fantastico. Gli svizzeri Both Industries, che vengono dal cinema, sono andati invece in diretta costruendo una performance live.
PERFORMANCE E DIGITALE
Che ruolo assume il digitale nel panorama e nelle economie delle arti performative in questi ultimi anni e in particolare nel post pandemia?
La creazione digitale esisteva già, oggi si apre un vasto campo di indagine rispetto alle relazioni con le performing arts e siamo solo all’inizio, lo spazio di esplorazione è enorme. Ho la sensazione che fino a ora si siano privilegiate più le competenze tecniche e meno quelle in senso drammaturgico, di contenuto culturale per quanto riguarda la produzione digitale.
C’è anche un nuovo pubblico da indagare e coinvolgere, nuove modalità di fruizione.
Pensare che il web sia un campo più aperto in cui è più facile intercettare un pubblico più ampio è sbagliato. Il pubblico di questo tipo di contenuti non esiste, è da costruire portando a dialogare tra loro pubblici diversi: gli appassionati di tecnologia e i seguaci delle performing arts, A questo si aggiunge il discorso sui diversi modelli di visione: proprio come in teatro, il digitale utilizza diversi device e piattaforme ‒ fare un contenuto su Pitch non è la stessa cosa che farlo su Vimeo. Pitch è lo spettacolo in piazza, Vimeo è il teatro all’italiana; allo stesso modo utilizzare un cellulare o un pc cambia lo statuto dell’opera.
In quale modo affrontate il tema dell’accessibilità?
È un tema molto interessante collegato a quello tecnologico. Abbiamo sempre invitato gli artisti a favorire l’accessibilità massima, anche a discapito di una scelta tecnologica più avanzata. Talvolta questo problema ha innescato modalità creative alternative.
Chiara Pirri
https://www.residenzedigitali.it/
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