A inizio novembre due eventi italiani hanno raccontato come il videogioco si confronta con il cambiamento climatico. Prima c’è stato IVIPRO DAYS, il ciclo annuale di conferenze dell’associazione Italian Videogame Program che si occupa di valorizzazione di territorio e storia italiani attraverso il videogioco. E poi c’è stato RomeVideoGameLab, festival organizzato da Cinecittà e dedicato soprattutto agli applied game, i videogiochi che hanno obiettivi non giocosi, spesso educativi.
RACCONTARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO CON I VIDEOGIOCHI
Alcuni videogiochi commerciali usano cambiamento climatico e impatto antropico sugli ecosistemi come tema della loro narrazione. Durante IVIPRO DAYS si sono per esempio confrontati i game director del recente Venice 2089 di Safe Place Studios, un videogioco narrativo ambientato in una Venezia del futuro minacciata dall’innalzamento del livello del mare, e di Gibbon: Beyond the Trees di Broken Rules, che parla degli effetti di coltivazione, urbanizzazione e caccia sulle popolazioni di gibboni nel sudest asiatico.
Altri videogiochi sono invece pensati per scopi educativi, come Our Rights, Our Planet creato da Indici Opponibili con la Cooperativa Articolo12 per il Programma Ambiente delle Nazioni Unite e parte di un percorso sui diritti delle persone per quanto riguarda l’ambiente.
GIOCARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Diverso ancora è l’approccio di quei videogiochi in cui il clima viene simulato e che ci permettono allora di giocare con i sistemi climatici stessi, o almeno con i modelli che cercano di rappresentarli. Lo fa già SimEarth, videogioco del 1990 sviluppato da Maxis. Ma pure un videogioco mainstream come The Legend of Zelda: Breath of the Wild di Nintendo può raccontare qualcosa su questo tema: anche se non affronta esplicitamente il cambiamento climatico, il suo mondo di gioco fatto di sistemi interconnessi offre comunque una rappresentazione della complessità degli ecosistemi e del nostro ruolo al loro interno.
REIMMAGINARE LO SVILUPPO CON I VIDEOGIOCHI
Ci sono anche videogiochi che provano a immaginare presenti alternativi o possibili futuri. Per esempio, su Artribune abbiamo già parlato di Stereophyta di Kasrah Ghobadi, un videogioco che reinterpreta il filone dei “videogiochi di coltivazione” in un mondo in cui vento e acqua non sono stati sostituiti dai combustibili fossili come fonte di energia. Mentre Lichenia di Molleindustria reinterpreta in chiave post-antropocenica il “simulatore di città” in stile SimCity.
VIDEOGIOCHI A KM ZERO
Soprattutto, ed era questo il punto principale del mio intervento Le lampadine dei videogiochi consumano vera elettricità? a RomeVideoGameLab, sarebbe oggi importante smettere di vedere il videogioco, e più in generale il gioco, solo come un prodotto da consumare. L’impatto antropico sugli ecosistemi è legato alla visione degli esseri umani come consumatori di risorse, prodotti, software, hardware e intrattenimento globalizzati. Per soddisfare questo continuo consumo è necessaria una produzione altrettanto continua e un progresso tecnologico energivoro. “I videogiochi devono scegliere tra grafiche realistiche e sostenibilità ambientale” scriveva a fine ottobre The Washington Post. Oggi è allora necessaria un’educazione che permetta alle persone di creare giochi e videogiochi su scala locale, e questo vorrebbe anche dire imparare come funzionano i sistemi, come quelli climatici, non solo giocando simulazioni fatte da altre persone ma studiandoli e simulandoli noi. Come si parla di “alimenti a chilometri zero,” insomma, potrebbe essere il momento di cominciare a parlare di videogiochi “a chilometri zero.”
Matteo Lupetti
https://ivipro.it/
https://romevideogamelab.it/
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